Melancholia e depressione. L'apocalisse secondo von Trier
Mercoledì, 12 ottobre 2011 - 13:23:46
di Lorenzo Lamperti
"Che cos'è?" "E' il film che hai fatto!" "Stai scherzando... che orrore." Lars von Trier ricorda un dialogo con la sua produttrice. E se il regista danese la pensa così su
Melancholia un po' si sarebbe pure tentati di credergli. Ma dopo la visione si capisce che si ritrova ancora una volta davanti all'adorata autocommiserazione che piace al "buon" Lars. Comunque non gli diremo appoggiando una mano sulla spalla: "Ma che dici, il tuo film è un capolavoro", come in tanti hanno fatto.
Eh già, perché von Trier avrebbe molto bisogno di essere coccolato, lui che soffre di depressione da diversi anni. Una depressione che in altri film aveva cercato di esorcizzare, allontanare, spendendosi in iperboli artistiche spesso fini a se stesse e volontariamente provocatorie ma sempre e comunque possedute dal suo indiscutibile talento visivo. Questa volta, invece, ha deciso di accompagnarla, attirarla come nel film la Terra attira a sé il pianeta che causerà la fine del mondo. Il risultato è un'opera che non poteva che essere deprimente. Ma anche bellissima.
Melancholia esce nelle sale italiane venerdì 21 ottobre, ed è una notizia niente affato scontata. Lars si era tirato la zappa sui piedi durante l'ultimo Festival di Cannes, dove la pellicola era in concorso, con le sue dichiarazioni sul nazismo e gli ebrei: "Per lungo tempo ho pensato di essere ebreo ed ero felice di esserlo. Ma dopo ho scoperto che in realtà ero un nazista. La mia famiglia era tedesca. E questo mi fa anche piacere. Cosa posso dire? Capisco Hitler, simpatizzo un po' con lui. Non sono contro gli ebrei, ma in realtà non troppo perché Israele è un problema, come un dito nel culo, fa cagare" aveva dichiarato von Trier. Concludendo: "Adesso come esco da questa frase?
Ok, sono un nazista".
Poche ore dopo Lars viene cacciato dal festival, bollato come "persona non gradita", ma Kirsten Dunst porta comunque a casa la Palma d'oro come migliore attrice, complici anche le sue scene di nudo che fanno discutere. C'era stato subito un fuggi fuggi dei distributori, solo nominare il film sembrava proibito. Insomma,
Melancholia sembrava destinato a diventare un reperto raro, possibile da trovare solo lontano dai grandi schermi. Invece alla fine la Bim ha deciso di rompere l'embargo.
Chi deciderà di vederlo si troverà davanti un film catastrofico che fa di tutto per non sembrarlo. L'incipit è un lento susseguirsi di quadri, cinematografici e non (insistente la ripresa del dipinto Il ritnro dei cacciatori di Brueghel il Vecchio), che mostrano l'avvicinarsi di un minaccioso pianeta,
Melancholia, alla Terra, fino alla collisione fatale. L'opera è nettamente divisa in due e ha come protagoniste due sorelle, Justine e Claire, interpretate da Kirsten Dunst e Charlotte Gainsbourg, che torna agli ordini di von Trier dopo aver già recitato in
Antichrist. Si comincia con la festa di matrimonio di Justine, organizzata dalla gigantesca tenuta del cognato. Tra una nervosissima camera a mano e primissimi piani sgranati, si vede una Justine che dietro i sorrisi nasconde più di qualche turba. Nel secondo atto si passa a una messa in scena elegante, quasi patinata e a una Justine passata dal malessere alla depressione che arriva a casa di Claire. Tutti aspettano il passaggio del pianeta: Justine anela la distruzione, Claire vuole continuare a vivere con tutta se stessa.
Melancholia è un film difficile. Non perché sia complesso nella tama o negli sviluppi narrativi. E' dalle primissime inquadrature che si sa come andrà a finire: muoiono tutti, inutile girarci intorno. Melancholia è un film difficile perché racconta l'evento più negativo possibile, la fine del mondo, con un'anima glaciale. "Siamo soli", dice Justine, e von Trier continua a ripeterlo in tutti i modi: nell'universo non c'è vita, ci siamo solo noi. Per questo la distruzione della Terra acquista un aspetto ancora più tragico, assoluto, definitivo. Non c'è pathos, solo un profondo senso di angoscia e di ineluttabile che il film riesce a veicolare nello spettatore in maniera sotterranea, epidermica. Si conosce l'epilogo, si sa anche come ci si arriverà, ma il sentimento di oppressione cresce con il progressivo avvicinarsi alla fine del film. Alla fine di tutto. Il film non è un capolavoro e a tratti irrita per la pedanteria e il compiacimento che von Trier trae dal suo nichilismo esistenziale. Nonostante questo,
Melancholia è una grande esperienza cinematografica.