La lettera di Papa Francesco: Dialogo aperto con i non credenti
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Discussione: La lettera di Papa Francesco: Dialogo aperto con i non credenti

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  1. #1
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    La lettera di Papa Francesco: Dialogo aperto con i non credenti

    PREGIATISSIMO Dottor Scalfari, è con viva cordialità che, sia pure solo a grandi linee, vorrei cercare con questa mia di rispondere alla lettera che, dalle pagine di Repubblica, mi ha voluto indirizzare il 7 luglio con una serie di sue personali riflessioni, che poi ha arricchito sulle pagine dello stesso quotidiano il 7 agosto.

    La ringrazio, innanzi tutto, per l'attenzione con cui ha voluto leggere l'Enciclica Lumen fidei. Essa, infatti, nell'intenzione del mio amato Predecessore, Benedetto XVI, che l'ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale, con gratitudine, l'ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce "un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth".

    Mi pare dunque sia senz'altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù. Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo.
    Esso, del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e del ministero dei Papi che, ciascuno con la sua sensibilità e il suo apporto, da allora sino ad oggi hanno camminato nel solco tracciato dal Concilio.

    La prima circostanza - come si richiama nelle pagine iniziali dell'Enciclica - deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell'uomo sin dall'inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d'ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d'impronta illuminista, dall'altra, si è giunti all'incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro.

    La seconda circostanza, per chi cerca di essere fedele al dono di seguire Gesù nella luce della fede, deriva dal fatto che questo dialogo non è un accessorio secondario dell'esistenza del credente: ne è invece un'espressione intima e indispensabile. Mi permetta di citarLe in proposito un'affermazione a mio avviso molto importante dell'Enciclica: poiché la verità testimoniata dalla fede è quella dell'amore - vi si sottolinea - "risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l'altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall'irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti" (n. 34). È questo lo spirito che anima le parole che le scrivo.

    La fede, per me, è nata dall'incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l'accesso all'intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa - mi creda - non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell'immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d'argilla della nostra umanità.

    Ora, è appunto a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell'ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con Lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme.
    Mi perdoni se non seguo passo passo le argomentazioni da Lei proposte nell'editoriale del 7 luglio. Mi sembra più fruttuoso - o se non altro mi è più congeniale - andare in certo modo al cuore delle sue considerazioni. Non entro neppure nella modalità espositiva seguita dall'Enciclica, in cui Lei ravvisa la mancanza di una sezione dedicata specificamente all'esperienza storica di Gesù di Nazareth.

    Osservo soltanto, per cominciare, che un'analisi del genere non è secondaria. Si tratta infatti, seguendo del resto la logica che guida lo snodarsi dell'Enciclica, di fermare l'attenzione sul significato di ciò che Gesù ha detto e ha fatto e così, in definitiva, su ciò che Gesù è stato ed è per noi. Le Lettere di Paolo e il Vangelo di Giovanni, a cui si fa particolare riferimento nell'Enciclica, sono costruiti, infatti, sul solido fondamento del ministero messianico di Gesù di Nazareth giunto al suo culmine risolutivo nella pasqua di morte e risurrezione.

    Dunque, occorre confrontarsi con Gesù, direi, nella concretezza e ruvidezza della sua vicenda, così come ci è narrata soprattutto dal più antico dei Vangeli, quello di Marco. Si costata allora che lo "scandalo" che la parola e la prassi di Gesù provocano attorno a lui derivano dalla sua straordinaria "autorità": una parola, questa, attestata fin dal Vangelo di Marco, ma che non è facile rendere bene in italiano. La parola greca è "exousia", che alla lettera rimanda a ciò che "proviene dall'essere" che si è. Non si tratta di qualcosa di esteriore o di forzato, dunque, ma di qualcosa che emana da dentro e che si impone da sé. Gesù in effetti colpisce, spiazza, innova a partire - egli stesso lo dice - dal suo rapporto con Dio, chiamato familiarmente Abbà, il quale gli consegna questa "autorità" perché egli la spenda a favore degli uomini.

    Così Gesù predica "come uno che ha autorità", guarisce, chiama i discepoli a seguirlo, perdona... cose tutte che, nell'Antico Testamento, sono di Dio e soltanto di Dio. La domanda che più volte ritorna nel Vangelo di Marco: "Chi è costui che...?", e che riguarda l'identità di Gesù, nasce dalla constatazione di una autorità diversa da quella del mondo, un'autorità che non è finalizzata ad esercitare un potere sugli altri, ma a servirli, a dare loro libertà e pienezza di vita. E questo sino al punto di mettere in gioco la propria stessa vita, sino a sperimentare l'incomprensione, il tradimento, il rifiuto, sino a essere condannato a morte, sino a piombare nello stato di abbandono sulla croce. Ma Gesù resta fedele a Dio, sino alla fine.

    Ed è proprio allora - come esclama il centurione romano ai piedi della croce, nel Vangelo di Marco - che Gesù si mostra, paradossalmente, come il Figlio di Dio! Figlio di un Dio che è amore e che vuole, con tutto se stesso, che l'uomo, ogni uomo, si scopra e viva anch'egli come suo vero figlio. Questo, per la fede cristiana, è certificato dal fatto che Gesù è risorto: non per riportare il trionfo su chi l'ha rifiutato, ma per attestare che l'amore di Dio è più forte della morte, il perdono di Dio è più forte di ogni peccato, e che vale la pena spendere la propria vita, sino in fondo, per testimoniare questo immenso dono.

    La fede cristiana crede questo: che Gesù è il Figlio di Dio venuto a dare la sua vita per aprire a tutti la via dell'amore. Ha perciò ragione, egregio Dott. Scalfari, quando vede nell'incarnazione del Figlio di Dio il cardine della fede cristiana. Già Tertulliano scriveva "caro cardo salutis", la carne (di Cristo) è il cardine della salvezza. Perché l'incarnazione, cioè il fatto che il Figlio di Dio sia venuto nella nostra carne e abbia condiviso gioie e dolori, vittorie e sconfitte della nostra esistenza, sino al grido della croce, vivendo ogni cosa nell'amore e nella fedeltà all'Abbà, testimonia l'incredibile amore che Dio ha per ogni uomo, il valore inestimabile che gli riconosce. Ognuno di noi, per questo, è chiamato a far suo lo sguardo e la scelta di amore di Gesù, a entrare nel suo modo di essere, di pensare e di agire. Questa è la fede, con tutte le espressioni che sono descritte puntualmente nell'Enciclica.

    Sempre nell'editoriale del 7 luglio, Lei mi chiede inoltre come capire l'originalità della fede cristiana in quanto essa fa perno appunto sull'incarnazione del Figlio di Dio, rispetto ad altre fedi che gravitano invece attorno alla trascendenza assoluta di Dio.
    L'originalità, direi, sta proprio nel fatto che la fede ci fa partecipare, in Gesù, al rapporto che Egli ha con Dio che è Abbà e, in questa luce, al rapporto che Egli ha con tutti gli altri uomini, compresi i nemici, nel segno dell'amore. In altri termini, la figliolanza di Gesù, come ce la presenta la fede cristiana, non è rivelata per marcare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri: ma per dirci che, in Lui, tutti siamo chiamati a essere figli dell'unico Padre e fratelli tra di noi. La singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l'esclusione.

    Certo, da ciò consegue anche - e non è una piccola cosa - quella distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica che è sancita nel "dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare", affermata con nettezza da Gesù e su cui, faticosamente, si è costruita la storia dell'Occidente. La Chiesa, infatti, è chiamata a seminare il lievito e il sale del Vangelo, e cioè l'amore e la misericordia di Dio che raggiungono tutti gli uomini, additando la meta ultraterrena e definitiva del nostro destino, mentre alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana. Per chi vive la fede cristiana, ciò non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all'uomo, a tutto l'uomo e a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia e tenendo desto il senso della speranza che spinge a operare il bene nonostante tutto e guardando sempre al di là.

    Lei mi chiede anche, a conclusione del suo primo articolo, che cosa dire ai fratelli ebrei circa la promessa fatta loro da Dio: è essa del tutto andata a vuoto? È questo - mi creda - un interrogativo che ci interpella radicalmente, come cristiani, perché, con l'aiuto di Dio, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, abbiamo riscoperto che il popolo ebreo è tuttora, per noi, la radice santa da cui è germinato Gesù. Anch'io, nell'amicizia che ho coltivato lungo tutti questi anni con i fratelli ebrei, in Argentina, molte volte nella preghiera ho interrogato Dio, in modo particolare quando la mente andava al ricordo della terribile esperienza della Shoah. Quel che Le posso dire, con l'apostolo Paolo, è che mai è venuta meno la fedeltà di Dio all'alleanza stretta con Israele e che, attraverso le terribili prove di questi secoli, gli ebrei hanno conservato la loro fede in Dio. E di questo, a loro, non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità. Essi poi, proprio perseverando nella fede nel Dio dell'alleanza, richiamano tutti, anche noi cristiani, al fatto che siamo sempre in attesa, come dei pellegrini, del ritorno del Signore e che dunque sempre dobbiamo essere aperti verso di Lui e mai arroccarci in ciò che abbiamo già raggiunto.

    Vengo così alle tre domande che mi pone nell'articolo del 7 agosto. Mi pare che, nelle prime due, ciò che Le sta a cuore è capire l'atteggiamento della Chiesa verso chi non condivide la fede in Gesù. Innanzi tutto, mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. Premesso che - ed è la cosa fondamentale - la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell'obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c'è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire.

    In secondo luogo, mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità "assoluta", nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l'amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant'è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt'altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: "Io sono la via, la verità, la vita"? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt'uno con l'amore, richiede l'umiltà e l'apertura per essere cercata, accolta ed espressa. Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione... assoluta, reimpostare in profondità la questione. Penso che questo sia oggi assolutamente necessario per intavolare quel dialogo sereno e costruttivo che auspicavo all'inizio di questo mio dire.
    Nell'ultima domanda mi chiede se, con la scomparsa dell'uomo sulla terra, scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio. Certo, la grandezza dell'uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà. Dio - questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! - non è un'idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell'uomo. Dio è realtà con la "R" maiuscola. Gesù ce lo rivela - e vive il rapporto con Lui - come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero. Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell'uomo sulla terra - e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno - , l'uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l'universo creato con lui. La Scrittura parla di "cieli nuovi e terra nuova" e afferma che, alla fine, nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa, Dio sarà "tutto in tutti". Egregio Dott. Scalfari, concludo così queste mie riflessioni, suscitate da quanto ha voluto comunicarmi e chiedermi. Le accolga come la risposta tentativa e provvisoria, ma sincera e fiduciosa, all'invito che vi ho scorto di fare un tratto di strada insieme. La Chiesa, mi creda, nonostante tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono, non ha altro senso e fine se non quello di vivere e testimoniare Gesù: Lui che è stato mandato dall'Abbà "a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore" (Lc 4, 18-19).

    Con fraterna vicinanza
    Francesco
    http://www.repubblica.it/cultura/201...glio-66283390/
    Cosa ne pensate? Cosa vorreste rispondergli? Visto che sappiamo tutti come vanno queste discussioni cerchiamo tutti di metterci un minimo di maturità.

  2. #2
    La risposta di Bergoglio è molto interessante, magari ne parlo in seguito.

    Il problema è stata la domanda che gli è stata posta, che a parer mio denota la debolezza del pensiero non-credente.

    Mi spiego: a Scalfari (che non è credente) che gliene importa di quale sia la sua sorte ultraterrena (paradiso.vs.inferno) nel caso dio esistesse e lo giudicasse dopo la morte?
    In base al pensiero di Scalfari dio non esiste, quindi (per Scalfari) chiedersi cosa farebbe dio di lui è come chiedersi se gli unicorni possano galoppare o solo limitarsi a trottare.

    Se il pensiero di Scalfari fosse solido e self-standing si risponderebbe da solo alla sua propria domanda, e si direbbe "fottesega".
    O qualcosa del genere.
    Invece gli viene da farsi questa domanda, perché buona parte del pensiero dei non-credenti vive di contrapposizione, non è indipedente.
    Non solo, anche la vita dei non-credenti spesso non è indipendente dalla fede, in quanto la religiosità aumenta tendenzialmente con l'avvicinarsi della morte.

  3. #3
    alcoholic delinquent L'avatar di >Klaser<
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    non ha neanche senso la risposta di Bergoglio.

  4. #4
    Citazione >Klaser< Visualizza Messaggio
    non ha neanche senso la risposta di Bergoglio.
    In che cosa non ha senso?

  5. #5
    alcoholic delinquent L'avatar di >Klaser<
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    In che cosa non ha senso?
    In tutto.
    Sono le solite chiacchiere religiose che un non credente fa fatica a capire o a seguire. il discorso e' esente di logica, presuppone una figura di Gesu' e della religione esclusivamente concentrata sull'amore e stare bene con gli altri, presuppone che la fede sia importante e rilevante, etc. etc. non sono d'accordo su tutto quello che dice e francamente e' come sentire parlare un testimone di geova davanti alla porta di casa.

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    Non solo, anche la vita dei non-credenti spesso non è indipendente dalla fede, in quanto la religiosità aumenta tendenzialmente con l'avvicinarsi della morte.
    questo solo perche' l'invecchiamento porta spesso a problemi mentali.
    Ultima modifica di >Klaser<; 11-09-2013 alle 17:51:48

  6. #6
    kLLB^
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    Il commento di Introvigne, forse uno dei cattolici che stimo di piu, sulla nuovabq.it


    Il Papa scrive. «La Repubblica» manipola

    Un gesto di frontiera. Papa Francesco lo aveva già spiegato all'inizio del suo pontificato, scrivendo il 25 marzo 2013 ai vescovi argentini, e lo ha ripetuto altre volte: «uscendo» per incontrare chi è lontano dalla Chiesa si corre il rischio d'incidenti. «Ma preferisco una Chiesa incidentata», aveva scritto allora Francesco, a una Chiesa che, con chi è lontano, o anche ostile, semplicemente non parla. Certo, il rischio d'incidenti è massimo quando si parla con chi dell'ostilità alla Chiesa ha fatto la sua ragione sociale, come il quotidiano italiano La Repubblica. Che non è un quotidiano qualunque, è la casa madre dei nemici della Chiesa. E infatti ha risposto con la consueta manipolazione all'offerta di dialogo di Francesco, che con una lettera pubblicata l'11 settembre ha risposto alle domande che gli aveva posto Eugenio Scalfari. Le lettere non hanno titolo, ma il quotidiano ne ha sparato uno in prima pagina: «La verità non è mai assoluta», seguita dalla firma Francesco, come ad arruolare anche il Papa nel partito della dittatura del relativismo, quello per cui va esposto - e se del caso imposto - che la verità è sempre variabile e soggettiva.

    Il danno è fatto, perché la lettera è lunga e complessa e molti lettori leggono purtroppo solo i titoli dei giornali, così che l'episodio dovrebbe indurre a qualche riflessione sugli immensi problemi di comunicazione che pone, in piena dittatura del relativismo, la dialettica fra Chiesa chiusa e Chiesa «incidentata». Tuttavia, chi non si ferma al titolo scopre che il Papa a Scalfari ha scritto più o meno il contrario di quello che il titolo di Repubblica suggerisce. Parto dal brano sulla verità, anche se non viene all'inizio della lettera, perché ha un rilievo centrale. Scalfari, forse con qualche malizia, aveva chiesto al Pontefice «se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato». Francesco risponde che «per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità "assoluta", nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione». Per il cristiano invece «la verità è una relazione»: «non ha detto forse Gesù stesso: "Io sono la via, la verità e la vita"?». Attenzione, però, precisa subito Papa Francesco: «Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt'altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre è solo come un cammino e una vita».


    La distinzione è proprio quella che, con un gioco di prestigio manipolatore, viene fatta sparire nel titolo di Repubblica. Ma nel testo del Pontefice è chiara. In sé, la verità è non variabile e non soggettiva, dunque - in effetti - assoluta. Senonché la parola «assoluta» ha diversi sensi. Dal nostro punto di vista umano la verità - che in sé è assoluta, nel senso che non è affatto «variabile e soggettiva» - non è «assoluta» in un altro significato della parola, quello etimologico latino di «ab-soluta, soluta ab, "sciolta da"». Non è sciolta dalla relazione con Cristo, e non è sciolta dalla fatica di un cammino che dura tutta la vita e ci porta ad afferrare e comprendere gradualmente e faticosamente quel vero che di per sé è assolutamente oggettivo e non-variabile.


    Ma - si chiederà a questo punto il lettore cattolico - perché mai il Papa si esprime in questo modo, che per essere compreso richiede una pausa, una lettura attenta, una spiegazione? Non era più semplice ribadire semplicemente a Scalfari - Papa Francesco poteva citare se stesso, nel discorso al Corpo diplomatico del 22 marzo 2013 - che «la dittatura del relativismo mette in pericolo la convivenza tra gli uomini» e crea una «povertà spirituale» non meno grave della povertà materiale? Da un certo punto di vista, era più semplice e meno rischioso non scrivere a Scalfari. Ma, una volta presa la decisione e assunto il rischio, Francesco non può che impiegare il metodo che ha tante volte proposto per «uscire» verso le «periferie esistenziali» - da non confondere con le periferie materiali e fisiche delle città - dove vivono i poveri più poveri, quelli che hanno magari tutte le ricchezze tranne la ricchezza essenziale, la fede. E tra questi «poveri spirituali» c'è senz'altro anche Scalfari. Il modo di accostare questi «lontani» che il Papa propone non è partire dalla polemica - che sarebbe comprensibile e del tutto giustificata, ma certo non li avvicinerebbe alla fede - ma dalla persona di Gesù Cristo, additata come via, verità, vita ma anche come perdono e misericordia. Questo «dialogo aperto», sulla scia del Concilio Ecumenico Vaticano II e di Benedetto XVI - che per primo aveva parlato di un «cortile dei Gentili» da proporre alla cultura di derivazione illuminista e atea - è quello che il Pontefice regnante offre a Scalfari, e ai tanti come lui, a partire dall'enciclica «Lumen fidei», che Francesco ribadisce di avere ricevuto dal suo «amato Predecessore» già «in larga misura redatta» ma di avere «con gratitudine» fatta sua.


    Che cosa offre ai non credenti il Papa? Anzitutto l'essenziale: la testimonianza che l'incontro con Gesù «ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza», e che questo incontro Gesù lo offre a tutti coloro che non chiudono il loro cuore, anche dopo una vita lontana dalla fede, Scalfari compreso. Ma attenzione, aggiunge il Pontefice: questo incontro non è mai offerto fuori della Chiesa: «Senza la Chiesa - mi creda - non avrei mai potuto incontrare Gesù». È un tema che il Papa ha illustrato anche all'udienza generale dell'11 settembre dove, riprendendo le catechesi sulla Chiesa, ha proposto una meditazione sulla Chiesa come madre. «A volte io sento - ha detto il Pontefice - io credo in Dio ma non nella Chiesa». Ma «la Chiesa siamo tutti e se tu dici che credi in Dio e non credi nella Chiesa, stai dicendo che non credi in te stesso, questa è una contraddizione!». Quello che è difficile spiegare ai non credenti è che «il nostro far parte della Chiesa non è un fatto formale, non è riempire una carta, è un atto interiore. Non si appartiene alla Chiesa come si appartiene a una società, a un partito o a una qualsiasi altra organizzazione. È un legame vitale come quello che si ha con la propria mamma», che ha anche dei difetti ma che va seguita quotidianamente con rispetto e con affetto.
    A Scalfari, che rimprovera all'enciclica una scarsa attenzione alla critica storica dei Vangeli, Francesco risponde che il tema della «Lumen fidei» è riproporre non i dettagli, ma in tutta la sua «concretezza e ruvidezza»
    l'essenziale della missione di Gesù: la sua predicazione con «exousia», con un'autorità che scaturisce da quello che il Signore effettivamente è e non da una semplice abilità nella predicazione.


    Alla fine, l'annuncio decisivo riguarda «l'identità di Gesù», che fa cose che già «nell'Antico Testamento sono di Dio e soltanto di Dio». Gesù è Dio, ed è risorto: questo è «il cardine della fede cristiana»: «questa è la fede, con tutte le espressioni che sono descritte puntualmente nell'Enciclica». E - come Scalfari sa, ma non vuole accettate - è proprio dalla fede trinitaria, dal fatto che tra Dio e la storia ci sia un mediatore insieme divino e umano, Gesù Cristo, che nasce la possibilità di una «distinzione fra la sfera religiosa e la sfera politica», che è così difficile da fondare in altre religioni e su cui invece «faticosamente si è costruita la storia dell'Occidente». Una distinzione che non è separazione, perché la fede è distinta dalla politica ma è chiamata a «incarnarsi» anche nella vita sociale, «nel diritto», «nella giustizia».


    Il problema di Scalfari è di fondo: non solo non crede, ma non vuole credere. Di qui allora alcune sue domande, che sono piuttosto confessioni di questa difficoltà a comprendere le questioni ultime se ci si pone da un punto di vista semplicemente umano. Come può Dio essere veridico - aveva chiesto il giornalista - se aveva promesso la sua amicizia al popolo ebraico e lo ha poi abbandonato all'inferno dell'Olocausto? La questione è immensa e misteriosa, risponde il Papa, ma da un certo punto di vista «mai è venuta meno la fedeltà di Dio all'alleanza stretta con Israele». Anche nelle prove più terribili la Provvidenza ha fatto sì che gli ebrei abbiano almeno «conservato la loro fede in Dio» e non siamo scomparsi come popolo, come volevano i loro persecutori.
    La scienza - chiede poi Scalfari - ipotizza una Terra futura dove non ci saranno più esseri umani: come potrà allora esistere Dio se non esisteranno più gli uomini che lo pensano? «Dio non dipende dal nostro pensiero», è la risposta ovvia del Papa. Francesco però aggiunge che la domanda è mal posta: gli uomini, se anche fossero spazzati via dalla Terra, non cesseranno davvero di esistere. L'anima umana è immortale, e tutti esisteremo ancora, in un'altra dimensione, anche quando la Terra non esisterà più.


    Ma la domanda di Scalfari che più sta a cuore al Papa è un'altra, che riporta alla questione della verità: Dio perdonerà anche chi non crede? «La misericordia di Dio non ha limiti», risponde Francesco, che però aggiunge: «se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito». Come si salva chi, sinceramente, non arriva alla fede? La risposta del Papa è chiara: la chiave «sta nell'obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c'è quando si va contro la coscienza». La coscienza, beninteso, non va intesa come sinonimo delle nostre opinioni soggettive o peggio dei nostri desideri. Nel fondo della coscienza tutti percepiamo le azioni «come bene o come male», e sappiamo che sulla scelta tra bene e male «si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire». Parlare di legge naturale farebbe venire l'itterizia a Scalfari, ma si tratta proprio di questo: se non la soffochiamo con l'ideologia e il vizio, nella nostra coscienza c'è un senso naturale del bene e del male, e c'è perché ce l'ha messo Dio. Seguire questa verità naturale iscritta nella coscienza è quanto è chiesto anche ai non credenti sinceri. Ma il relativismo rende tutto più difficile.
    http://www.lanuovabq.it/it/articoli-...uiw30.facebook

    Infatti non è di facile lettura, consiglio a tutti questo commento di uno che ne sa per comprendere al meglio anche l'errore di Francesco nel rispondergli.

    Incredibile come sempre La Repubblica, robe da matti.

  7. #7
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    Il commento di Introvigne, forse uno dei cattolici che stimo di piu, sulla nuovabq.it



    http://www.lanuovabq.it/it/articoli-...uiw30.facebook

    Infatti non è di facile lettura, consiglio a tutti questo commento di uno che ne sa per comprendere al meglio anche l'errore di Francesco nel rispondergli.

    Incredibile come sempre La Repubblica, robe da matti.
    Il problema di Scalfari è di fondo: non solo non crede, ma non vuole credere.

    è un problema o forse è un loro problema
    "Per il resto la serie TES cesserà di interessare quando Fulminato smetterà di fare errori di battitura nei suoi post"
    Dark_Angel83
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    Richard P. Feynman
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  8. #8
    Hail to the Prophet L'avatar di Asriel
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    klbb, vero o no che sia è un titolo.

    Le pippe a livelli inauditi proprio, oh.

  9. #9
    alcoholic delinquent L'avatar di >Klaser<
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    Il problema di Scalfari è di fondo: non solo non crede, ma non vuole credere.

    è un problema o forse è un loro problema
    perche' c'e' un motivo particolare per cui uno dovrebbe voler credere?

  10. #10
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    Il problema di Scalfari è di fondo: non solo non crede, ma non vuole credere.

    è un problema o forse è un loro problema
    Si infatti. Poi si parla di dialogo aperto. Con tali premesse risulta molto complicato.
    Agire e pensare come tutti non è mai una garanzia e non è sempre una giustificazione.

  11. #11
    Io ho dei dubbi su quello cui crede o non crede Scalfari (non che me ne freghi, eh).
    Per essere uno che non crede, parla un po' troppo di fede.
    Lui poi dice di "non voler credere", ma in realtà penso che "vorrebbe poter credere", cioè vorrebbe una ragione che lo autorizzi a farlo, e solo perché questa ragione non la vede allora si rifiuta di credere.

    Comunque, ripeto: il solo porre quelle domande dà l'idea della debolezza intrinsica del pensiero di chi le pone.

  12. #12
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    Citazione >Klaser< Visualizza Messaggio
    perche' c'e' un motivo particolare per cui uno dovrebbe voler credere?
    non capisco la domanda.
    nel testo di dice chiaramente che scalfari e brutto_sporco_cattivo non solo perchè non crede (lapalissiano, è un non-credente) ma perchè si ostina a non voler credere alla verità (della chiesa cattolica)

    ma questo è un problema di scalfari o un loro problema che non riescono ad accettare che qualcuno non voglia credere (a una verità rivelata), motivo per cui il dialogo inter-religioso funziona molto meglio.

    PS: la mia opinione su scalfari è terrificantemente bassa.
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  13. #13
    alcoholic delinquent L'avatar di >Klaser<
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    Io ho dei dubbi su quello cui crede o non crede Scalfari (non che me ne freghi, eh).
    Per essere uno che non crede, parla un po' troppo di fede.
    Lui poi dice di "non voler credere", ma in realtà penso che "vorrebbe poter credere", cioè vorrebbe una ragione che lo autorizzi a farlo, e solo perché questa ragione non la vede allora si rifiuta di credere.

    Comunque, ripeto: il solo porre quelle domande dà l'idea della debolezza intrinsica del pensiero di chi le pone.
    ma neanche per idea. sono domande del tutto lecite che qualsiasi persona potrebbe porsi, credente o non. Si vede che Scalfari e' scettico, ed e' molto importante esserlo. Non molto per il papa o i cattolici, altrimenti si rischia di trovare cose che non hanno senso nel proprio credo. Probabilmente il papa non ha risposto ad ogni suo quesito perche' non sapeva cosa dire. Dopo aver letto un po del suo articolo devo dire che Scalfari pare piu' intelligente del papa, che invece gli ha dato una risposta debole e priva di un vero significato agli occhi di un non credente.

    Citazione fulminato Visualizza Messaggio
    non capisco la domanda.
    nel testo di dice chiaramente che scalfari e brutto_sporco_cattivo non solo perchè non crede (lapalissiano, è un non-credente) ma perchè si ostina a non voler credere alla verità (della chiesa cattolica)

    ma questo è un problema di scalfari o un loro problema che non riescono ad accettare che qualcuno non voglia credere (a una verità rivelata), motivo per cui il dialogo inter-religioso funziona molto meglio.

    PS: la mia opinione su scalfari è terrificantemente bassa.
    mi sono sbagliato, pensavo che la parte in grassetto non fosse una citazione dell'articolo.

    infatti sono del tutto d'accordo con te.
    Ultima modifica di >Klaser<; 11-09-2013 alle 18:51:31

  14. #14
    Citazione >Klaser< Visualizza Messaggio
    ma neanche per idea. sono domande del tutto lecite che qualsiasi persona potrebbe porsi, credente o non. Si vede che Scalfari e' scettico, ed e' molto importante esserlo. Non molto per il papa o i cattolici, altrimenti si rischia di trovare cose che non hanno senso nel proprio credo. Probabilmente il papa non ha risposto ad ogni suo quesito perche' non sapeva cosa dire. Dopo aver letto un po del suo articolo devo dire che Scalfari pare piu' intelligente del papa, che invece gli ha dato una risposta debole e priva di un vero significato agli occhi di un non credente.
    Potrei ribattere che quel che dice Scalfari renderebbe un credente ancora più saldo nella sua fede: se vedi che il "nemico" ha paura, significa che stai vincendo.
    E il "nemico" (gli atei) ha paura: le domande di Scalfari saranno anche lecite, ma hanno un significato.
    Se un ateo si pone il problema di cosa farebbe una divinità che asserisce non esistere, sta dando credito a quel che pretende di negare.

    Bergoglio gli risponde di una divinità inclusiva e non esclusiva, che accetta le persone di buona volontà indipendentemente dal fatto che credano veramente nella sua esistenza o meno.
    Bergoglio parla di un dio che è una verità con la quale puoi relazionarti.
    Bergoglio non arriva a dire che dio è pura relazione in sé e per sé (sarebbe troppo), ma comunque afferma che parte del suo essere deriva dal poter essere messo in relazione con noi.

    Insomma, il messaggio di Scalfari è quello del vecchino che vede avvicinarsi la morte e vorrebbe avere garanzie di salvezza eterna, casomai il dio in cui dice di non credere esistesse davvero.
    Hai presente lo scherno di un vero miscredente duro e puro come Ser Ciappelletto di Boccaccio? Ecco, se Ser Ciappelletto sputa ideologicamente addosso alla religione anche in punto di morte, Scalfari è quello che si caca in mano un attimo prima della fine. Non una bella immagine.
    Il messaggio di Bergoglio al contrario è un Gesù immanente e inclusivo.

    Chiaramente quest'ultimo (Bergoglio) è il vincitore morale ed intellettuale di questo scambio di lettere.
    Ultima modifica di Nome utente già in uso; 11-09-2013 alle 20:30:52

  15. #15
    alcoholic delinquent L'avatar di >Klaser<
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    Potrei ribattere che quel che dice Scalfari renderebbe un credente ancora più saldo nella sua fede: se vedi che il "nemico" ha paura, significa che stai vincendo.
    E il "nemico" (gli atei) ha paura: le domande di Scalfari saranno anche lecite, ma hanno un significato.
    Se un ateo si pone il problema di cosa farebbe una divinità che asserisce non esistere, sta dando credito a quel che pretende di negare.
    non e' un segno di paura, e non e' un problema. e' solo una domanda giusto per vedere come ragiona il papa e come funziona il suo credo.

    Bergoglio gli risponde di una divinità inclusiva e non esclusiva, che accetta le persone di buona volontà indipendentemente dal fatto che credano veramente nella sua esistenza o meno.
    Bergoglio parla di un dio che è una verità con la quale puoi relazionarti.
    Bergoglio non arriva a dire che dio è pura relazione in sé e per sé (sarebbe troppo), ma comunque afferma che parte del suo essere deriva dal poter essere messo in relazione con noi.

    Insomma, il messaggio di Scalfari è quello del vecchino che vede avvicinarsi la morte e vorrebbe avere garanzie di salvezza eterna, casomai il dio in cui dice di non credere esistesse davvero.
    Il messaggio di Bergoglio al contrario è un Gesù immanente e inclusivo.

    Chiaramente quest'ultimo è il vincitore morale ed intellettuale di questo scambio di lettere.
    basta leggere la bibbia per capire che il dio accetta solo chi crede.
    Bergoglio puo' dire cosa vuole, ma dubito si possa mettere la sua parola contro quella delle scritture, anche se secondo i cattolici e' infallibile.

    non ho letto da nessuna parte nel discorso di Scalfari qualcosa che facesse pensare che lui abbia paura della morte e voglia in qualche modo avere una possibilita' di essere perdonato del suo ateismo casomai fosse vero il cristianesimo.

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