Come si affronta il fine vita
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Discussione: Come si affronta il fine vita

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  1. #1
    Chuck Addicted L'avatar di Francutio
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    Come si affronta il fine vita

    Non so onestamente come strutturare il thread, non sapevo neanche se aprirlo, per cui sarà un po' buttato così.

    Data l'età media del forum, che pure ormai cresce di un anno ogni anno, in questo topic si intende il fine vita "degli altri", in particolare quello di propri cari, genitori, nonni, in generale affetti le cui cure sono affidate a noi.

    Una malattia fulminante è terribile, ma è uno shock, un frastuono, qualcosa che non fa pensare.
    Il lento incedere (a volte lucido, a volte no) verso la morte lascia invece enorme spazio ai pensieri a tutte le persone coinvolte, che condizionano quindi le azioni, le parole, tutto.
    Passerà, migliorerà, no, a un certo punto questi concetti non valgono più.

    E quindi?

  2. #2
    Utente
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    onestamente? La lenta agonia di una malattia degenerativa è tremenda per chi assiste.
    Si passa dalla preoccupazione iniziale, quando ancora ci sono pochi sintomi, alla sofferenza vera e propria nel vedere la persona cara che cambia/sta male/non ti riconosce. Il rapporto diventa univoco, calano le risposte, le interazioni. Ci si ritrova ad essere gli unici che ricordano i momenti assieme, salvo rari momenti di lucidità.
    Alla sofferenza si sostituiscono rabbia e sconforto, a causa della nostra impotenza. Segue l'insofferenza, per una situazione che si protrae lenta, ma dalla quale non possiamo sottrarci. Poi arriva la fine ed una colpevole sensazione di sollievo. Sollievo non perché la persona cara ha smesso di soffrire (nelle fasi finali a volte neanche ha la percezione di ciò che le succeda attorno), ma perché si è finalmente liberi. Il senso di colpa per questa leggerezza d'animo è addirittura maggiore del dolore per la perdita.
    L'unica consolazione arriva nel momento in cui ci si rende conto che quella persona non ci ha lasciato in quel giorno; la malattia ce l'aveva portata via già da tempo.

    Non saremo mai pronti per affrontare la morte. Che sia un evento tragico ed improvviso o una lenta agonia, soffriremo. In maniera diversa, psicologicamente non allo stesso modo, ma soffriremo.
    C'è solo da prendersi del tempo per elaborare il lutto, ognuno a modo suo. Assorbire il colpo, prendersi il tempo necessario e poi ripartire.

  3. #3
    Utente L'avatar di zapwhites
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    Purtroppo mi è capitato troppe volte sia con malattie lunghe che con lutti improvvisi...Il consiglio più sensato? Accettalo e basta. Farsi troppe domande è peggio. Piangi disperati e accetta l'accaduto come conseguenza nefasta della vita. Tieniti stretto i ricordi, sii felice anche per loro e guarda avanti.

  4. #4
    Mr 4 cm L'avatar di titan2010
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    Citazione Doctor JJ Visualizza Messaggio
    onestamente? La lenta agonia di una malattia degenerativa è tremenda per chi assiste.
    Si passa dalla preoccupazione iniziale, quando ancora ci sono pochi sintomi, alla sofferenza vera e propria nel vedere la persona cara che cambia/sta male/non ti riconosce. Il rapporto diventa univoco, calano le risposte, le interazioni. Ci si ritrova ad essere gli unici che ricordano i momenti assieme, salvo rari momenti di lucidità.
    Alla sofferenza si sostituiscono rabbia e sconforto, a causa della nostra impotenza. Segue l'insofferenza, per una situazione che si protrae lenta, ma dalla quale non possiamo sottrarci. Poi arriva la fine ed una colpevole sensazione di sollievo. Sollievo non perché la persona cara ha smesso di soffrire (nelle fasi finali a volte neanche ha la percezione di ciò che le succeda attorno), ma perché si è finalmente liberi. Il senso di colpa per questa leggerezza d'animo è addirittura maggiore del dolore per la perdita.
    L'unica consolazione arriva nel momento in cui ci si rende conto che quella persona non ci ha lasciato in quel giorno; la malattia ce l'aveva portata via già da tempo.

    Non saremo mai pronti per affrontare la morte. Che sia un evento tragico ed improvviso o una lenta agonia, soffriremo. In maniera diversa, psicologicamente non allo stesso modo, ma soffriremo.
    C'è solo da prendersi del tempo per elaborare il lutto, ognuno a modo suo. Assorbire il colpo, prendersi il tempo necessario e poi ripartire.
    hai già detto tutto te...

    io onestamente non ho provato senso di colpa: dopo 10+ anni ad accudire mia madre, la fine è arrivata davvero come un sollievo, sia per lei che per noi. Al funerale avevo pianto come un vitello ed era stata davvero una liberazione, uno sfogo che non pensavo potesse essere così potente



  5. #5
    Chuck Addicted L'avatar di Francutio
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    Ragazzi intanto grazie per le risposte.
    Rileggendo l'OP mi rendo conto di non essere stato chiarissimo, provo a spiegarmi un po' meglio: il fine vita in questione riguarderebbe non la mia persona, ma i miei cari, ma non cercavo tanto conforto per me, quanto per loro, ponendomi però dal mio punto di vista e da quello che potrei fare per far stare "bene" o "meno peggio" loro.

    I momenti di non lucidità e non consapevolezza paradossalmente sono quelli forse più facili da affrontare (o almeno questa è la percezione, poi chi sa cosa gira nella testa di un'altra persona al di là degli stimoli che questa restituisce?), ma quelli di lucidità o pseudolucidità?
    Quelli di rifiutare un gesto o una proposta di attività - per quanto possano sembrare non all'altezza del trascorso - con una motivazione del tipo "no, ora no, quando starò meglio".
    Faccio un esempio banale che è capitato: uscire di casa, per una passeggiata, svagarsi, non è possibile ora per complicazioni fisiche o psicologiche... Ma sarebbe possibile sulla sedia a rotelle. Di fronte a un rifiuto è giusto insistere? E se sì quanto e come?

    Ad esempio mi piacerebbe quasi avere quel finto cinismo di facciata che ha ad esempio mia mamma nel dire diretta: oh, usciamo ora, che magari tra una settimana non ci sei più. Ma io non potrei mai dire una cosa del genere, anche se fatta con le migliori intenzioni, non la sento al momento proprio come un'opzione percorribile.
    Scusate ancora la confusione.

  6. #6
    *I and I* L'avatar di cesa
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    Ci stavo pensando ieri visto che un amico mi ha detto che una sua amica (che però non vedeva da tempo) gli ha detto di avere un tumore al cervello.

    Premesso che è ovvio che la vera sofferenza è della persona colpita dal male, ma tu, persona a lei vicina, come ti dovresti rapportare senza sembrare un coglione? ben sapendo che è una condanna a morte. "eheh dai dai che supererai anche questa" "dai che andrà tutto bene". E' straziante pensare di sbagliare praticamente ogni gesto o parola, con la consapevolezza che potrebbe essere l'ultimo, così, all'improvviso.
    - RastaMan vibration yeah -

    "Bob Marley. Il quale suonava, cantava, amava, fumava erba, e giocava a calcio. Anche nelle pause fra una prova e un concerto, come avvenne quella famosa volta che venne in tournée a Milano. Mentre aspettava di esibirsi davanti a ottantamila che provavano a essere più fumati di lui, "spallonava" felice sul prato di San Siro assieme ad amici e compagni di musica. Mi viene da rammentarlo sempre più spesso, in un presente che per il calcio non smette di essere triste, avvelenato, venduto, e privo di poesia."

  7. #7
    Mr 4 cm L'avatar di titan2010
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    Citazione Francutio Visualizza Messaggio
    Ragazzi intanto grazie per le risposte.
    Rileggendo l'OP mi rendo conto di non essere stato chiarissimo, provo a spiegarmi un po' meglio: il fine vita in questione riguarderebbe non la mia persona, ma i miei cari, ma non cercavo tanto conforto per me, quanto per loro, ponendomi però dal mio punto di vista e da quello che potrei fare per far stare "bene" o "meno peggio" loro.

    I momenti di non lucidità e non consapevolezza paradossalmente sono quelli forse più facili da affrontare (o almeno questa è la percezione, poi chi sa cosa gira nella testa di un'altra persona al di là degli stimoli che questa restituisce?), ma quelli di lucidità o pseudolucidità?
    Quelli di rifiutare un gesto o una proposta di attività - per quanto possano sembrare non all'altezza del trascorso - con una motivazione del tipo "no, ora no, quando starò meglio".
    Faccio un esempio banale che è capitato: uscire di casa, per una passeggiata, svagarsi, non è possibile ora per complicazioni fisiche o psicologiche... Ma sarebbe possibile sulla sedia a rotelle. Di fronte a un rifiuto è giusto insistere? E se sì quanto e come?

    Ad esempio mi piacerebbe quasi avere quel finto cinismo di facciata che ha ad esempio mia mamma nel dire diretta: oh, usciamo ora, che magari tra una settimana non ci sei più. Ma io non potrei mai dire una cosa del genere, anche se fatta con le migliori intenzioni, non la sento al momento proprio come un'opzione percorribile.
    Scusate ancora la confusione.
    A dire la verità sono più confuso da questo post, l'op mi sembrava abbastanza chiaro



    Citazione cesa Visualizza Messaggio
    Ci stavo pensando ieri visto che un amico mi ha detto che una sua amica (che però non vedeva da tempo) gli ha detto di avere un tumore al cervello.

    Premesso che è ovvio che la vera sofferenza è della persona colpita dal male, ma tu, persona a lei vicina, come ti dovresti rapportare senza sembrare un coglione? ben sapendo che è una condanna a morte. "eheh dai dai che supererai anche questa" "dai che andrà tutto bene". E' straziante pensare di sbagliare praticamente ogni gesto o parola, con la consapevolezza che potrebbe essere l'ultimo, così, all'improvviso.
    Secondo me è terribile il minimizzare o dire robe tipo "dai passerà".
    Mi ricordo che ero sclerato malissimo contro qualche utente nel thread di froppolo, quando era ormai chiaro che non avesse più speranze e loro continuavano con "ce la farai, ci andremo a mangiare una pizza tutti assieme" e robe così

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  8. #8
    Guerriero di Innos L'avatar di chepe
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    Citazione cesa Visualizza Messaggio
    Ci stavo pensando ieri visto che un amico mi ha detto che una sua amica (che però non vedeva da tempo) gli ha detto di avere un tumore al cervello.

    Premesso che è ovvio che la vera sofferenza è della persona colpita dal male, ma tu, persona a lei vicina, come ti dovresti rapportare senza sembrare un coglione? ben sapendo che è una condanna a morte. "eheh dai dai che supererai anche questa" "dai che andrà tutto bene". E' straziante pensare di sbagliare praticamente ogni gesto o parola, con la consapevolezza che potrebbe essere l'ultimo, così, all'improvviso.
    oddio, una condanna a morte no, nel senso che c'è anche chi guarisce eh cazzo, non siamo più a 50 anni fa. io conosco anche gente che ce l'ha fatta.
    ''USI A OBBEDIR TACENDO E TACENDO MORIR''
    5° BTG. CARABINIERI EMILIA-ROMAGNA

  9. #9
    Chuck Addicted L'avatar di Francutio
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    Citazione titan2010 Visualizza Messaggio
    A dire la verità sono più confuso da questo post, l'op mi sembrava abbastanza chiaro
    Eh, lo capisco, non è chiaro manco a me.

    In estrema sintesi il concetto è: cosa può fare stare "bene" una persona che sta morendo?

    E non dico in un momento unico, in cui si piange, ci si dice di volersi bene, ma in un crescendo che dura mesi se non anni e in cui si sa che non ci sono speranze. Magari a 20 anni uno può anche autoilludersi del miracolo della medicina, ma a 80 non può funziona neanche quello.

    Come avete detto tu e cesa, le sparate tipo andrà tutto bene non hanno senso, per cui resta un senso di impotenza relativo anche al solo creare un ultimo sollievo.

  10. #10
    Mr 4 cm L'avatar di titan2010
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    Citazione Francutio Visualizza Messaggio
    Eh, lo capisco, non è chiaro manco a me.

    In estrema sintesi il concetto è: cosa può fare stare "bene" una persona che sta morendo?

    E non dico in un momento unico, in cui si piange, ci si dice di volersi bene, ma in un crescendo che dura mesi se non anni e in cui si sa che non ci sono speranze. Magari a 20 anni uno può anche autoilludersi del miracolo della medicina, ma a 80 non può funziona neanche quello.

    Come avete detto tu e cesa, le sparate tipo andrà tutto bene non hanno senso, per cui resta un senso di impotenza relativo anche al solo creare un ultimo sollievo.
    eh, questa è una bella domanda. Avessi la risposta sarei molto ricco...ho anche lavorato su queste cose durante il dottorato, e purtroppo non è che abbia molto altro da dire. La solitudine gioca un ruolo chiave, ma:
    - se una persona è allettata ed immobilizzata, cosa puoi fare a parte lo starle fisicamente vicino? A maggior ragione se non puoi interagire, ma anche ci puoi parlare, ma non avrai nulla da dire per colmare il silenzio
    - se una persona è affetta da demenza, cosa comporta la tua presenza? Cambierebbe qualcosa se invece di te ci fosse qualcun altro?
    tutte cose che ti danno un senso di impotenza e paradossalmente peggiorano la situazione, perchè ti sembra addirittura di sprecare il tuo tempo
    Per questo secondo me la cosa migliore è cercare il più possibile di vivere la propria vita. Far star male sè stessi non servirà a migliorare la situazione, anzi...



  11. #11
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    oddio, una condanna a morte no, nel senso che c'è anche chi guarisce eh cazzo, non siamo più a 50 anni fa. io conosco anche gente che ce l'ha fatta.
    E' grande come una mela, nel cervello, probabilmente non sopravviverà all'operazione....
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    "Bob Marley. Il quale suonava, cantava, amava, fumava erba, e giocava a calcio. Anche nelle pause fra una prova e un concerto, come avvenne quella famosa volta che venne in tournée a Milano. Mentre aspettava di esibirsi davanti a ottantamila che provavano a essere più fumati di lui, "spallonava" felice sul prato di San Siro assieme ad amici e compagni di musica. Mi viene da rammentarlo sempre più spesso, in un presente che per il calcio non smette di essere triste, avvelenato, venduto, e privo di poesia."

  12. #12
    Tre volte zio L'avatar di Tripla Z
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    Io l'ho vissuto con le mie nonne che si sono "spente" piano piano una molto molto lentamente per via di un piccolo ictus che l'ha resa ancora più silenziosa di quel che era l'altra più per via dell'età (morta a 99 anni mentre la paterna a 87). Nessuna delle due fortunatamente è mai stata attaccata a tubi per mangiare\respirare\andare in bagno ma sono sempre state abbastanza autonome fino alla fine (tolti gli ultimi 3gg di mia nonna materna che non mangiava più, non parlava e quasi non apriva gli occhi) e con questo mi sono "preparato" all'evento. Mio nonno paterno è morto che ero piccolo (7 anni) mentre mio nonno materno nemmeno l'ho conosciuto perché è morto che aveva 8 anni mia mamma.

  13. #13
    Guerriero di Innos L'avatar di chepe
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    E' grande come una mela, nel cervello, probabilmente non sopravviverà all'operazione....
    si si per carità non voglio entrare nel caso specifico: rimanendo sul piano generale dico che per fortuna non è automatico ''diagnosi di tumore---> iniziamo subito a piangere perchè è una condanna a morte''.
    E' dura ma entro certi limiti la si può giocare. A me l'OP fa più venire in mente magari il nonnino con l'alzheimer o altra malattia degenerativa con un decorso lungo che li sai già di non avere chance.
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  14. #14
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    si si per carità non voglio entrare nel caso specifico: rimanendo sul piano generale dico che per fortuna non è automatico ''diagnosi di tumore---> iniziamo subito a piangere perchè è una condanna a morte''.
    E' dura ma entro certi limiti la si può giocare. A me l'OP fa più venire in mente magari il nonnino con l'alzheimer o altra malattia degenerativa con un decorso lungo che li sai già di non avere chance.
    Certo certo, in generale sì, era un riferimento ai casi in cui purtroppo si scopre troppo tardi ed è solo una lunga attesa
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    "Bob Marley. Il quale suonava, cantava, amava, fumava erba, e giocava a calcio. Anche nelle pause fra una prova e un concerto, come avvenne quella famosa volta che venne in tournée a Milano. Mentre aspettava di esibirsi davanti a ottantamila che provavano a essere più fumati di lui, "spallonava" felice sul prato di San Siro assieme ad amici e compagni di musica. Mi viene da rammentarlo sempre più spesso, in un presente che per il calcio non smette di essere triste, avvelenato, venduto, e privo di poesia."

  15. #15
    Chuck Addicted L'avatar di Francutio
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    eh, questa è una bella domanda. Avessi la risposta sarei molto ricco...ho anche lavorato su queste cose durante il dottorato, e purtroppo non è che abbia molto altro da dire. La solitudine gioca un ruolo chiave, ma:
    Braccia rubate all'agricoltura

    Citazione titan2010 Visualizza Messaggio
    - se una persona è allettata ed immobilizzata, cosa puoi fare a parte lo starle fisicamente vicino? A maggior ragione se non puoi interagire, ma anche ci puoi parlare, ma non avrai nulla da dire per colmare il silenzio
    - se una persona è affetta da demenza, cosa comporta la tua presenza? Cambierebbe qualcosa se invece di te ci fosse qualcun altro?
    tutte cose che ti danno un senso di impotenza e paradossalmente peggiorano la situazione, perchè ti sembra addirittura di sprecare il tuo tempo
    Per questo secondo me la cosa migliore è cercare il più possibile di vivere la propria vita. Far star male sè stessi non servirà a migliorare la situazione, anzi...
    Sì, capisco quello che vuoi dire.

    Nel mio caso mia nonna ha una malattia neurodegenerativa ormai in fase avanzata: non dice più mezza parola, non reagisce agli stimoli, non riesce più a camminare. A fianco mio nonno è sempre stato superattivo, fino a due anni fa l'ha seguita praticamente da solo, poi siamo riusciti a convncerlo a trasferirsi vicino a noi (dal Veneto al Piemonte, non potevamo essere di alcun aiuto ora), ma ha sempre voluto mantenere l'indipendenza il più possibile, finendo così pure per il farsi male cercando di "gestire" mia nonna, a dicembre è caduto e si è incrinato più vertebre in modo probabilmente irrecuperabile ormai, più tutti gli acciacchi dell'età, così ora anche lui è quasi totalmente dipendente. Ecco, se prima non era allegro, ora si chiude sempre più in un mutismo e in un isolamento che non può fargli bene, ma non sappiamo come interagire per ristimolarlo, dato che anche quello che sembrerebbe interessargli lo rimanda a "tempi migliori", solo che...

    Il punto è riuscire ad accettare aiuti o compromessi prima che sia tardi o che si facciano altri danni
    Perché uno deve ridursi a camminare tutto storto e affaticarsi prima di accettare un deambulatore?
    Perché deve farsi male sollevando carichi prima di chiedere aiuto?
    Perché deve rinunciare a un'uscita accompagnato per poi doverla fare in carrozzina?
    O perché rinunciare a un'uscita in carrozzina da lucido per poi farla "solo per prendere aria"?

    È questa combo di orgoglio+non accettazione apparentemente inscalfibile che ci frustra maggiormente, perché ci sembrerebbe di poter fare di più ma di non riuscire.

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