I Romani non avevano grandi problemi ortografici. È vero che presero l'alfabeto dai Greci, ma all'inizio non ebbero quell'atteggiamento di dipendenza nei confronti della cultura greca che invece li caratterizzò a partire dall'epoca delle guerre puniche. Essi quindi poterono adattare liberamente l'alfabeto greco alle loro esigenze, creando un sistema di scrittura in cui la corrispondenza tra segno e suono, se non perfetta, è superiore a quella che si verifica nella maggior parte delle lingue moderne; così come i Greci presero l'alfabeto dai Fenici, ma lo modificarono profondamente per adattarlo alle esigenze della loro lingua.
In tutte le lingue europee moderne, invece, la scrittura si sviluppò timidamente, accanto al permanere del latino come lingua di cultura. L'adattamento dell'alfabeto latino ai nuovi suoni procedette quindi in modo incerto.
L'italiano ha un alfabeto in gran parte fonetico proprio perché ha un sistema di suoni abbastanza simile a quello latino. Le principali differenze sono due.
1. Il passaggio da un sistema di dieci vocali (a e i o u lunghe e brevi) ad uno di sette vocali (a - e aperta - e chiusa - i - o aperta - o chiusa - u).
* Questo non ha comportato grandi problemi, anche perché i casi in cui la differenza di apertura della e e della o indicano una differenza di significato (i famosi pésca e pèsca, bótte e bòtte ecc.) sono in realtà rari e di scarsa rilevanza concreta. Fortunatamente il sistema vocalico dell'italiano, a parte le varianti regionali, di cui però non è il caso di parlare qui, è caratterizzato da una notevole stabilità; questo deriva dalla debolezza dell'accento tonico, mentre in altre lingue, come il francese e l'inglese, è soprattutto la forza dell'accento responsabile del mutamento fonetico; e questo è un tratto che l'alfabeto latino non riesce a rappresentare adeguatamente.
2. L'introduzione delle consonanti palatali (ci gi sci gli gn)
* Non è un caso che proprio qui si siano concentrate da sempre le difficoltà ortografiche dell'italiano; difficoltà che non si sono superate creando nuovi segni per rappresentare nuovi suoni (l'unica fondamentale innovazione è stata la distinzione del segno V dal segno U); ma combinando in vario modo segni già esistenti o di poco modificati. Di qui per esempio le grafie medievali c, ç z ecc. per indicare il suono della c dolce.
Lingue come il francese e l'inglese invece incontrarono maggiori difficoltà. Esse avevano - ed hanno soprattutto nelle epoche più recenti - suoni diversissimi da quelli latini. A questo si sono aggiunte, nei secoli passati, ulteriori complicazioni, consistenti spesso in grafie etimologiche, che il più delle volte sono in realtà delle false etimologie. Per non annoiare il lettore ricordo solo un esempio: l'inglese debt, che viene pronunciato /det/, in quanto deriva dal francese dette; la b della grafia è stata introdotta in base ad una arbitraria derivazione dal latino debitus. Anche l'italiano ha avuto di queste mode, basti pensare a tutte le parole inizianti con h (huomo, hora ecc.), all'uso fantasioso della y (Ytalia in Dante e Petrarca) ecc. Ma fortunatamente abbiamo fatto piazza pulita di tutto ciò.