Com'è noto, una recente sentenza del Gup di Milano, dottoressa Forleo, ha mandati assolti tre imputati islamici arrestati in precedenza per atti in concorso per scopi terroristici. In uno Stato di diritto e democratico la l'autonomia del giudice è sovrana ed è anche imperativo che la funzione di polizia e giudiziaria siano caratterizzate da un'azione preventiva piuttosto che punitiva. E' però altrettanto lecito il diritto di ciascun cittadino di esprimere un proprio pensiero e anche un proprio parere su una sentenza penale, fermo restando che comunque deve essere accettata e applicata senza discussione.
Per quanto reso noto dagli organi di informazione, il magistrato ammette che la sentenza "è stata sofferta e maturata nel pieno rispetto della legge". Queste posizioni e convinzioni vanno assolutamente rispettate, ma un'attenta valutazione di fatti - almeno per quanto noto e effettuata anche sulla base di conoscenze professionali specifiche di chi scrive - porta a porsi alcuni interrogativi. Non in ultimo se le conclusioni del giudizio penale sono derivate solo dalla valutazione del contenuto della documentazione prodotta dagli inquirenti e con un approccio puramente tecnico sotto il profilo giuridico o piuttosto si sia arrivati alle conclusioni considerando anche altri aspetti, forse ancora più rilevanti delle stesse prove.
Primo fra tutti il contenuto del Diritto Internazionale Bellico quando definisce il riconoscimento del "combattente" come tale e per cui è imposto ai belligeranti l'assoluto rispetto delle Convenzioni di Ginevra. In primo luogo i distintivi di appartenenza e l'uniforme, intesa non semplicemente come divisa militare, ma come "abito uguale a tutti e contraddistinto da particolari segni distintivi comuni e palesi". Quanto sta avvenendo in Iraq - e che la dottoressa Forleo sembra definire guerriglia - non appare invece conforme a questi vincoli internazionalmente riconosciuti. Infatti, almeno di qualche isolata eccezione, in Iraq a oggi sono pochi gli elementi comuni che hanno permesso di connotare chi "combatte la guerriglia". Volti mascherati da una sciarpa nera che di per sé già cancella alcune garanzie previste dalle Convenzioni sul rispetto del combattente e possesso dei machete utilizzati per decapitare e sgozzare i prigionieri. Forse tutto ciò è un'espressione di guerriglia moderna che solo pochi conoscono e accettano unicamente facendo riferimento a personalissime convinzioni e non certo con il riscontro di normativa giuridica nazionale ed internazionale.
La guerriglia rappresenta il diritto politico e giuridico di contrastare qualsiasi atto contro il proprio Stato sovrano e contro il proprio territorio con il ricorso anche all'uso delle armi. Non si può però accettare che si tratti di guerriglia quando chi la gestisce non appartiene allo Stato e al territorio che si vuole riscattare, altrimenti il mondo sarebbe in mano ai mercenari. I capi di Al Ansar e della stessa componente di Al Qaeda che in questo momento operano in Iraq portando avanti quella che attraverso la recente sentenza veniamo a scoprire essere guerriglia, non sono irachena. La maggior parte di costoro e che in questo momento esercitano il management della resistenza, sono giordani, sudanesi, arabi. Mercenari, quindi, della lotta armata che nulla hanno a che fare con azioni di guerriglia intese come resistenza contro l'invasore e che peraltro dovrebbero offendere coloro che in passato e in tempi recenti hanno fatto la Resistenza.
Peraltro questi guerriglieri fino a oggi non hanno combattuto applicando le più elementari regole del diritto umanitario e del diritto internazionale distilguendo - per quanto possibile in un'azione bellica - il soldato dal civile. Costoro hanno invece colpito quasi sempre indiscriminatamente e nella maggior parte dei casi scegliendo come target proprio i civili con lo scopo di seminare malcontento, terrore e indeterminatezza fra la popolazione. Questo è terrorismo e non è guerriglia.
Non ultimi, alcuni aspetti tecnici. Chi impiega autobombe ricorre a mezzi usati per scopi terroristici che nulla hanno in comune con le armi normalmente utilizzate da coloro che invece scelgono di combattere per affermare principi e diritti. Chi viene addestrato a preparare ordigni del genere non è formato con lo scopo di farne un soldato, ma per creare un tecnico del terrore. Possono essere costoro considerati guerriglieri? Una domanda che forse doveva entrare a far parte di quelle le cui risposte hanno portato a "una sentenza sofferta e in piena coscienza".
Quindi, quale sia il confine fra l'azione terroristica e la guerriglia è difficile da determinare esattamente ed è assolutamente impossibile farlo compiutamente e "in piena coscienza" se non vengono valutati tutti i parametri che concorrono a configurare il problema. Primi fra tutti il tipo di attori sul campo. Chi essi siano, come combattono, quali regole applichino, quale "etica della battaglia li contraddistingue" sono gli elementi fondamentali per capire e quindi pronunciare giudizi sullo scopo della loro azione e sulla natura di quello che è a base del loro comportamento. E' altresì fondamentale valutare i mezzi utilizzati per attuare la lotta armata. I pacchi esplosivi, le autobombe, le cinture esplosive dei kamikaze non possono sicuramente essere considerati come armi fra quelle riconosciute lecite in campo internazionale dalle diverse Convenzioni e Protocolli. E infine la natura degli obiettivi contro cui l'azione armata viene finalizzata. Se si tratta di obiettivi militari e quindi "leciti" o piuttosto di entità che di militare non hanno nulla, come ad esempio le sedi della nascente polizia irachena.
In buona sostanza non può essere definita un'azione di guerriglia quella che coinvolge gli stessi cittadini, che invece nella guerriglia dovrebbero individuare l'azione risolutiva per riconquistare la propria indipendenza nazionale e riaffermare la sovranità del proprio Stato. Il popolo che si reca nel venerdì di preghiera in Moschea dovrebbe poterlo fare in assoluta sicurezza e garantito da coloro che dicono di fare resistenza armata. Costoro sembrano invece rappresentare il target preferito di chi agisce in maniera terroristica, qualcuno dei quali forse arruolato e inviato in battaglia proprio da chi la sentenza italiana ha assolto.
Forse approfondendo questi parametri potrebbero sorgere ragionevoli dubbi sulla opportunità di valutare come lecite le azioni di chi agisce per incrementare il bacino di reclutamento per azioni che invece sono assolutamente terroristiche. Confondere il terrorismo con la guerriglia non giova a nessuno e non è segno di democrazia e garantismo inteso come rivalutazione di uno Stato di diritto, ma concorre invece a diminuire le condizioni della sicurezza nazionale e mondiale e non incrementa l'azione preventiva, che invece dovrebbe rappresentare lo scopo prioritario e di elevata valenza sociale e morale a base di ogni azione di polizia e giudiziaria.
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Qua potete trovare l'articolo
L'ho postato per chiarire che la "resistenza" irachena non è lecita, e poi sulla questione dei presunti terroristi assolti pochi giorni fa.