Medioriente, forse gli USA stanno vincendo ma non lo sanno
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Discussione: Medioriente, forse gli USA stanno vincendo ma non lo sanno

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    boh L'avatar di Jack89
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    Medioriente, forse gli USA stanno vincendo ma non lo sanno

    Vi presento questo interessante "punto della situazione" Medio-Orientale, pubblicato su Pagine di Difesa il 31 ottobre 2005. Come lo commentereste? (spero che possa nascere spontaneamente una discussione a riguardo).

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    Proprio quando le fortune mediorientali sembrano inaspettatamente arriderle, l’amministrazione Bush si trova sotto il fuoco di una serie di scandali, inchieste, rinunce cruciali e complotti partitici variamente orchestrati, che potrebbero impedirle di cogliere i dividendi internazionali - ma sopratutto domestici - della sua azione politica più caratterizzata: quella dell’offensiva diplomatica, militare e ideologica seguita all’11 settembre.


    Cominciamo dalle prime, le fortune. L’Iraq ha approvato la sua Costituzione con il concorso indiretto degli irriducibili sunniti, che stanno cominciando a preferire l’opposizione legale alla ribellione aperta. Hanno legittimamente votato contro, nelle loro tre province etniche, non raggiungendo tuttavia i due terzi dei suffragi contrari, indispensabili per respingere a livello nazionale la bozza proposta. Meglio di così non poteva andare per gli americani. Lo Stato iracheno è pienamente legittimato. Il governo che seguirà, dopo le elezioni di dicembre, è quasi un corollario. Qualsiasi elezione legislativa genera un governo; al massimo, se non succede al primo colpo, la si ripete.

    Sembra incredibile - e occorre dirlo a bassa voce incrociando le dita - ma dal punto di vista istituzionale il nuovo Iraq è una realtà, non solo un improbabile miraggio. Potrà cadere in convulsioni e dissolversi in una sempre possibile guerra civile, ma questo è verosimile per ogni stato, se non ha il consenso e la convinta partecipazione dei suoi cittadini. E’ successo per altri personaggi molto più blasonati, i cui epigoni oggi tengono lezione a Baghdad e altrove: Cromwell e i legittimisti, Lincoln e Jefferson, Petain e De Gaulle, Mussolini e Badoglio, Chang e Mao, e tanti altri. Ma l’impalcatura formale della convivenza associata è stata edificata fra il Tigri e l’Eufrate e ha retto all’unica verifica che conti veramente, quella dei conviventi.

    Per il futuro, chi vivrà vedrà. Se l’unico modo di tenere insieme l’Iraq dovesse risultare quello perpetrato da Saddam Hussein e dai sanguinari suoi predecessori, vorrà dire che Churchill era veramente sotto l’effetto della sua consueta ebbrezza alcolica, quando inventò lo Stato mesopotamico. O meglio, che il suo obiettivo lucido e del tutto condivisibile, nell’Inghilterra imperiale - quello di assicurare in pianta stabile le forniture petrolifere alla Royal Navy il cui passaggio dal carbone alla nafta come combustibile per le sue corazzate aveva catalizzato l’ascesa dell’oro nero come principale motore della storia - era veramente unico e solo e aveva trascurato il dettaglio di cosa ne pensassero i nativi.

    Se un Iraq unitario ancorché federale non dovesse reggere al cozzo dei desideri, interessi e valori del coacervo di etnie e culture stanziate all’interno dei suoi confini, non ci sarà formalismo che tenga. Non saranno sufficienti né la Costituzione attuale né il fantomatico intervento dell’Onu, invocato dagli arcobaleni di tutto il mondo (con una curiosa amnesia, quest’ultimo, dato che il Palazzo di Vetro è del tutto coinvolto nella vicenda, e non da poco). Vi potrebbe essere solo un'altra tirannia, ma è da dubitare che di questi tempi possa sorgere e affermarsi, sotto i riflettori della intrusione mediatica. Più probabile una soluzione balcanica, sotto il medesimo semiprotettorato della comunità internazionale che è in opera nell’ex Iugoslavia e il concorso delle multinazionali petrolifere a sud e a nord. Per gli invasori-liberatori americani, comunque, entrambe le ipotesi sembrano prefigurare l’intravedersi della luce in fondo al tunnel.

    Ma per loro non è la sola buona notizia dal fronte iracheno. I risultati dell’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite sull’Oil for Food stanno rovesciando sull’opinione pubblica mondiale un verminaio di corruttela (1.8 miliardi di dollari in bustarelle), che coinvolge soprattutto realtà governative ed economiche francesi e russe, anche se non solo. L’opposizione di Mosca e Parigi a Iraqi Freedom nel 2003 ha perso molti gradi di credibilità e quasi tutta la sua valenza etica. Invocare contro l’amministrazione Bush l’interesse economico per un’invasione che sta costando all’erario americano cinque miliardi di dollari al mese diventa veramente una barzelletta a fronte dell’enorme flusso di denari sporchi che si sono rovesciati nelle tasche di istituzioni, corporazioni e privati cittadini dei nobili difensori dell’intangibilità dei confini internazionali. Dell’ordine di Westfalia, per dirla alla Kissinger. Anche se la stampa internazionale - poco in sintonia con le iniziative neocon - evita di rilevare questo aspetto, non sembra che vi possano essere dubbi sulla sua corposità.

    L’improvviso attivismo investigativo delle Nazioni Unite - che potrebbe essere messo in relazione con la quasi messa in stato di accusa del figlio del segretario Koffi Annan a proposito dello stesso argomento, seguita dalla subitanea scomparsa di qualsiasi accenno al tema con l’uscita dei rapporti dei quali stiamo parlando – ha prodotto altri risultati non sfavorevoli al governo di Washington. Il primo è l’esplicita accusa lanciata da Detlev Mehlis, capo della commissione d’inchiesta Onu sull’assassinio dell’aspirante primo ministro libanese Hariri, verso la dirigenza siriana, accusata di aver coperto se non preparato l’attentato. Se non dovessero succedere fatti nuovi, come un’esplicita ammissione di responsabilità da parte di Assad, con rotolamento di numerose teste - in pratica la liquidazione dell’intero sistema di potere di Damasco - è probabile che l’accusa porterà a un deferimento della Siria davanti al Consiglio di sicurezza, con proposta di sanzioni di vario genere.

    A quel punto potrebbe darsi che la Russia opponga un veto, ma il fronte compatto di Usa, Regno Unito e soprattutto Francia – un interessante ritorno al fianco di Washington, sintomatico dei tempi – eserciterebbe la massima pressione e costringerebbe Mosca in un angolo. Di fatto la dirigenza di Damasco sarebbe delegittimata e isolata in ambito internazionale, con tutte le conseguenze del caso: la Siria è un paese senza risorse e non può reggere a lungo a un assedio, anche solo economico, dei potentati internazionali. Meno che meno il governo di Assad o chi per lui potrebbe consentire ai vari filoni dell’insurrezione irachena di continuare a utilizzare il territorio siriano come santuario.

    L’Onu sta avendo anche un ruolo indiretto su un altro importante fronte mediorientale: quello Iraniano. E’ un organismo dipendente dal Palazzo di Vetro quella Aeia che ha censurato recentemente i tentativi di Teheran di arricchire il suo uranio, con il significativo voto a favore, nel suo Consiglio direttivo, dell’India, tradizionale alleato e cliente energetico di Teheran. Anche qui la Russia ha votato contro e con tutta probabilità bloccherebbe assieme alla Cina i tentativi di sanzione in Consiglio di sicurezza, se si dovesse arrivare a un deferimento. A vanificare in parte l’effetto dell’aiuto russo e cinese è arrivato un autogol del presidente iraniano Ahmadinejad che si è espresso in pubblico, con molta passione, per una cancellazione di Israele dalla carta geografica.

    Il clamore internazionale che è seguito alla dichiarazione era talmente scontato e funzionale alle strategie americane e israeliane da far pensare a un antico arruolamento del suddetto personaggio sul libro paga del Mossad o della Cia come agente provocatore.. L’imbarazzo della dirigenza iraniana è stato enorme, tanto da costringere la guida suprema Khamenei, sponsor di Ahmadinejad, a far mettere sotto tutela l’incauto presidente da parte del Consiglio degli esperti presieduto dal suo rivale alle elezioni presidenziali Rasfanjani (cfr. Alberto Negri sul Sole 24 Ore di venerdì 28 ottobre). L’infortunio ha interrotto quella traettoria ascendente delle fortune iraniane che era in atto da qualche tempo, sopratutto in relazione alle difficoltà della ricostruzione irachena e al conseguente forzato avvicinamento in atto di alcuni circoli dell’establishment statunitense verso la teocrazia persiana. La Rice aveva rivelato in proposito che sono continui i contatti fra le ambasciate americana e iraniana a Baghdad e la novità non riguardava tanto i contatti quanto la decisione di renderli pubblici.

    Il ridimensionamento delle ambizioni iraniane verso l’assunzione di un ruolo regionale decisivo, comportato dall’approvazione della Costituzione irachena, si coniuga con questo scivolone presidenziale, ma soprattutto con il sempre più evidente rifiuto delle potenze occidentali di accettare un fatto compiuto nucleare da parte di Teheran. La dirigenza persiana potrebbe essere indotta a considerare più miti consigli e a ridimensionare ambizioni, barattando ad esempio il nucleare con una rinuncia americana alla destabilizzazione del regime degli ajatollah. Una riedizione di quell’approccio “nordcoreano” che sembra stia dando risultati positivi alcuni fusi orari più a oriente. Il tutto potrebbe essere perfezionato da un impegno comune verso il consolidamento di un Iraq dominato dagli sciiti. Esso converrebbe soprattutto a Teheran, almeno sul piano strategico generale, mentre su quello tattico consentirebbe il ritorno dei boys a casa, un Natale dopo l’altro, e quindi sarebbe oggi ben visto da qualsiasi politico statunitense.

    E qui torniamo al punto dal quale siamo partiti, ossia la confusa situazione americana di queste ultime settimane, la quale sfugge ad interpretazioni dei non addetti ai lavori. Sembra che sia in atto un regolamento di conti interno al Partito repubblicano per delineare i nuovi assetti di potere che dovranno confrontarsi con le prossime scadenza elettorali, Mid Term del 2006 e Presidenziali del 2008. Bush sembra essere diventato ormai un “lame duck”, un’anatra zoppa e i giochi - piuttosto violenti, a quanto pare - si cominciano a fare senza o contro di lui e i suoi. Non è il caso di azzardare altre interpretazioni, per ora. Anche il consueto peana di questi casi sulla “vitalità della democrazia americana” potrebbe essere un tantino eccessivo. La situazione in atto assomiglia a quella del nostro Paese, che è accomunato alla grande Repubblica stellata dalle incombenze elettorali. Ognuno le gestisce a modo suo: non riconfermando giudici della Corte Suprema, mettendo sotto inchiesta potentissime eminenze grigie di capi, architettando tirannicidi veri o presunti o discettando su Celentano e Benigni e indicando il cielo con il dito medio. Quello che in entrambi i casi sembra certo è che nel rispettivi tourbillon in atto il senso del bene comune e la statemanship si smarriscono non poco. Nel caso italiano poco male, forse: gli ausonici sono talmente abituati a fare a meno della governance che un’eclissi anche formale non può far gran danno. Nel caso americano, invece, i guasti possono essere esiziali, tanto da indurre il timoniere virtuale dell’America’s Cup di Washington a non vedere lo scoglio verso il quale il challenger è diretto, oppure - come sembra questo il caso - a lasciare la barra per azzuffarsi con il tattico, senza curarsi del fatto che la propria barca in testa, il traguardo è vicino e il defender ha lo spinnaker avvolto sullo strallo.

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  2. #2
    Settembrebianconero ³ L'avatar di LuPone.|uve
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  3. #3
    boh L'avatar di Jack89
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    Merita di essere letto però. |)


  4. #4
    lato oscuro della forza L'avatar di the darkness
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    molto interessante, un analisi lucida e ben realizzata

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