Il film parte con uno strato di sottile ironia velato dalla drammaticità degli eventi realmente degni di nota. Le situazioni paradossali, le gag, la regia ispirata e di pregevole fattura hanno inzialmente un imprinting ben definito, originale in tutte le sue sfaccettature. Ma con l'avanzare della trama, si accresce la presenza sonora della spendida "Scarboroug Fair" e con lei, anche la malinconica realtà vissuta dal protagonista.
Un gioco che non riesce più a giostrare con le sue scelte, una difficile risalità dalla sconfortante umiliazione subita, volutamente.
Uno stato angoscioso così forte e narrato delicatamente attraverso la solitudine del protagonista non può essere interrotto con la fuga, una delle scelte più ovvie e scontate. Non basta la lotta contro la società che lo disprezza nella scena finale o il grido alla Rocky, io volevo la rassegnazione stremata, un pianto ininterrotto e una lotta che quantomeno per una volta nella storia del cinema, potesse avere dei riscontri non propriamente scontati.
L'amore indissolubile, in quel particolare contesto, non doveva essere perseguito in questa maniera banalizzandone il suo potenziale.