SE FERGUSON PIANGE la Serie A non ride, ma si dispera. Perché, dati alla mano, quello che era considerato il campionato più bello del mondo, è in uno stato di recessione acuta. Meno spettatori sugli spalti, meno telespettatori davanti la tv, sponsor che rivalutano i loro investimenti e campioni che non arrivano. Così sono stati smentiti coloro i quali avevano gioito del ritorno di tre big nella massima serie (Juventus,
Genoa e Napoli) come la panacea per l’erosione di spettatori degli anni passati. Perché con un bacino d’utenza notevolmente cresciuto (sono retrocesse Ascoli, Messina e la cenerentola Chievo) il bilancio parla di una media spettatori poco superiore ai 23mila, circa 3mila unità in più rispetto alla scorsa stagione. Gli stessi che ha perso la serie B. Dati che se confrontati con il campionato 1997-1998, quello vinto dalla Juventus di Lippi su l’Inter di Simoni, lanciano nello sconforto: allora, la media, era di 31.161 presenti. E mancavano piazze importanti come Palermo,
Genoa e Torino, mentre il Napoli scendeva mestamente in Serie B. Ma la situazione peggiora se prendiamo in considerazione la Premier League: in Inghilterra la media di quest’anno racconta di circa 36mila presenze. E questo nonostante Ferguson denunci un certo calo nello spettacolo a causa di spettatori che «sembrano dei morti: tutti zitti e seduti come se fossero a teatro».
«Morti» che ogni volta che il Manchester mette piede all’Old Trafford corrono in 75.580 a occupare i 76.121 posti disponibili: in sostanza, il cassiere dei Reds, registra sempre il sold out. Roba che squadre come Roma, Juventus, Lazio, e lo stesso Milan sognano. E non è un problema di prezzi: il costo medio di un tagliando del Manchester è di 45 euro, ben superiore a quello italiano (per i giallorossi la media è intorno ai 39 euro). Ma li, oltre la Manica, è tutta un’altra storia: oltre alla questione sicurezza, risolta dall’intervento politico, sono stati costruiti impianti nuovi adatti ad ospitare match di calcio. Così, in Inghilterra, il 61% degli stadi ha meno di 10 anni di vita (in Italia la percentuale è del 36), e le società hanno organizzato l’attività in modo da far diventare le strutture parte integrante della vita dei fan: ad esempio, all’interno dello stadio del West Ham, ci sono ristoranti, negozi, punti di servizio. E una palestra nella quale gli iscritti si allenano a braccetto con i giocatori. E si scava un fosso alla voce “cultura sportiva” con l’Italia se si considera il caso del Derby Country: la squadra è ultima in campionato con 7 miseri punti, a 8 punti dalla penultima, ma nonostante questo registra una media di 32 mila spettatori, più o meno come la Fiorentina. Viola che, quest’anno, in un paio di occasioni sono diventati il ponte tra il passato e il sospirato futuro: oltre ad aver importato il «terzo tempo» dal rugby in occasione della gara con l’Inter, sempre nello stesso match hanno fatto registrare la presenza di 42mila spettatori; 2mila in più rispetto alla precedente gara con la Juve quando 2mila poliziotti presidiarono il Franchi.
Ma l’Inghilterra non è l’unico punto di riferimento. Dopo anni di «scia» anche il tanto vituperato campionato tedesco, la Bundesliga, ci ha superati: nel 2006, l’anno dei Mondiali, ha avuto un giro d’affari di 1.350 miliardi di euro, contro i nostri 1.200 (in Premier sono 2mila). Con una media di 40mila spettatori e un investimento degli sponsor pari a 350 mln di euro. Da noi i vari Nike, Adidas, Kappa etc ne sborsano «solo» 150.
L'Unità