Il capo dei capi ovvero: antiapologia della mafia e pensieri in prosa
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Discussione: Il capo dei capi ovvero: antiapologia della mafia e pensieri in prosa

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  1. #1
    Mi piace la gnocca L'avatar di Sw33ty
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    Il capo dei capi ovvero: antiapologia della mafia e pensieri in prosa

    In questi giorni ho visto tutte le sei puntate della serie televisiva "Il capo dei capi", andata in onda su Italia 1. Come saprete, la serie è tratta da un libro-romanzo a cura di Giuseppe D'Avanzo e parla dell'ascesa mafiosa di Salvatore Riina, della sua cosca e in generale di Cosa Nostra, di tutta la mafia siciliana e degli eventi ad essa connessi.

    Si tratta di oltre nove ore di pellicola, diretti piuttosto bene. Vengon riportate in modo abbastanza fedele gli eventi e i personaggi. Con una eccezione. Il film da voce e volto all'idea romanzistica di una figura, quella di Biagio Schirò, inserito come rappresentante di una categoria. Per me è una buona idea ma non è di questo che voglio parlare. Non posso esimermi da un commento su tutto ciò che ho visto e letto.

    Per me è stato piuttosto formativo: all'avanzare nella storia, mediamente ogni quindici minuti, ho consultato wikipedia e articoli sul web per non perdermi alcun dettaglio della fitta ragnatela di storie che viene pian piano tessuta. La mia prima meraviglia è con quanta facilità si decidesse della vita o della morte delle persone, innalzandosi al giudizio divino e sempre nel nome del Signore.

    La storia di Totò Riina ne "Il capo dei capi" si svolge in un arco temporale di cinquant'anni, dal 1943 al 1993. La "triste" biografia di Totò Riina mostra come, appena tredicenne, perde il padre ed un fratello e diventa il capofamiglia. Il padre di Totò muore mentre tenta di cavare la polvere da sparo da una bomba inesplosa trovata in un campo. Morto "per la fame", come ribadito dallo stesso Riina più volte durante le puntate. Qualcuno ha detto che la figura di Riina è identificata in quella di "uno sfortunato figlio di Sicilia con la faccia simpatica".

    Seppur lieve, fragile e velata, da un certo punto di vista si può notare una giustificazione delle malefatte di Riina. La fame e l'impossibilità di tirare avanti con i mezzi a propria disposizione come giustificazione di una carriera mafiosa che ha distrutto centinaia di famiglie oltre alla nostra immagine di italiani nel mondo. "Non voglio fare la vita da pecoraro", dice Totò. E la bomba stessa come incipit di tutto, a tessere un filo logico che recita così: se non ci fosse stata la guerra non ci sarebbe stata la fame, e se non ci fosse stata la fame non ci sarebbe stata Cosa Nostra. Filo logico perverso, nascosto, ma lì in bella vista.

    Il pm della Direzione Antimafia di Palermo Antonio Ingroia ha asserito che alcune fiction come Il Capo dei Capi possono essere dannose perché creano un'iconografia positiva dei mafiosi. Il pm, recatosi in una scuola di Palermo, ha chiesto agli alunni chi era secondo loro il personaggio più simpatico; tutti hanno risposto Totò Riina. Questi stessi ragazzi, in un sondaggio precedente, avevano affermato che la mafia era dannosa e che non volevano farne parte. Intervenendo a Viva Voce su Radio 24 Ingroia ha dichiarato: "Sono contrario a ogni forma di censura. Ma ho la netta sensazione che con la fiction '"Il capo dei capi" c'è il rischio di fare un'iconografia alla rovescia su Totò Riina che emana un fascino un po' sinistro". [cfr. Wikipedia]

    E forse è proprio così. Nella fiction è perseguita una linea in stile poema epico di scontro dualista fra bene e male: protagonista e antagonista. Da una parte Totò Riina e dall'altra Biagio Schirò, il personaggio fantomatico già citato prima che ricopre il ruolo allegorico di tutti coloro che si sono ribellati ed hanno lottato la mafia. Ma alla fine della storia viene difficile decretare vinti e vincitori. Dalla parte di Riina, rispettato e temuto da tutti, che nella vita ha avuto sempre tutto quello che ha voluto e se l'è preso senza mai chiedere il permesso, o se da quella di Schirò, che ha passato la vita dedicandosi alla lotta alla mafia stentando ad avere una vita decente e rischiando più volte di perdere prima la vita e poi la famiglia.

    Più o meno volontariamente la figura di Totò Riina è proposta come quella dell'antieroe. Ricordo cos'è un antieroe. Gli antieroi sono personaggi tipo o forse personaggi romanzati, nel dramma e melodramma, che violano la legge o le convenzioni sociali stabilite, ma che nonostante questo hanno la simpatia del pubblico, risultando dunque i veri eroi della storia o comunque protagonisti. L'antieroe si distingue dall'antagonista, che come lui viola le regole, ma che al contrario dell'antieroe compie azioni malvagie per opporsi ad un eroe ed è quindi odiato dal pubblico. [cfr. Wikipedia]

    Ora c'è da chiedersi: perché Riina esce come antieroe piuttosto che come antagonista? Io credo non sia affatto un problema dell'immagine fornita dalla fiction. Credo sia un problema dovuto al fascino che incutono il potere ed il rispetto. Spesso ci si dimentica dei metodi che portano ad un traguardo e, con fallace ispirazione machiavellica, ci si limita a coglierne i risultati. Una volta ho letto una definizione di capitalismo come "la stupefacente credenza secondo la quale i peggiori uomini farebbero le peggiori cose per il gran bene di tutti". Siamo nello stesso caso. Per gli esempi basta guardarsi oltre il naso.

    Insegnare l'umiltà ed il sacrificio ai nostri amici, ai nostri genitori, a quelli che saranno i nostri figli e impararlo noi stessi è nostro dovere.


  2. #2
    Enixa
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    Secondo me era semplicemente un ometto incazzato perché più basso degli altri

  3. #3
    Mi piace la gnocca L'avatar di Sw33ty
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    Citazione Enixa Visualizza Messaggio
    Secondo me era semplicemente un ometto incazzato perché più basso degli altri
    Un po' come Napoleone, Mussolini, Hitler.. Berlusconi e ultimamente anche Brunetta

    Scherzi a parte, mi sembra un po' riduttivo, tanto per usare un eufemismo.


  4. #4
    Takeda
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    Intanto dico la mia.

    Il capo dei capi è stato "rovinato" con l'aggiunta di Biagio Schirò , perché ovviamente personaggio inventato, come hai detto tu, giustamente, per far vedere che c'è qualcuno che ha voluto lottare contro la mafia.

    Detto questo, aggiungo anche che, visto così il film, visti comunque due o tre errori, non vorrei mai che lo "Zio" passasse per un "idolo" , dato che comunque, è quello che sembra .. il suo modo di atteggiarsi e di essere arrivato la , insomma, fa un po' di scena.

    Detto ciò, io penso che abbiano sbagliato termine, ma non apposta.
    C'è da dire che le perosne a volte, confondono un termine per un altro ...

  5. #5
    Claudio Chianese
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    Il punto è che fiction televisive del genere, essendo per forza di cose (e indipendentemente dalla volontà degli autori) confezionate per un pubblico generalmente ignorante e privo di spirito critico (cioè quello che passa le serate davanti alla televisione) devono per forza utilizzare stilemi narrativi elementari, dei quali il più comune è la lotta tra il bene e il male. In questo contesto è difficilissimo veicolare sfumature e caratteri complessi, quindi se per un attimo esci dai binari della dialettica manichea, rischi di far passare per "buono" il "cattivo", dal momento che appunto il pubblico è in grado di percepire solo questi due estremi.
    Ultima modifica di Claudio Chianese; 1-12-2008 alle 12:09:59

  6. #6
    Utente L'avatar di Guo Jia
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    Concordo con Claudio. Aggiungo che, per una cultura cinematografica come la nostra, ogni nuova fiction rappresenta un tentativo - quasi sempre riuscito - di autoflagellazione.
    Abbiamo centinaia di registi sconosciuti, relegati a Locarno e a qualche altro festival - magari anche importante, come Torino - che producono eccellenti film che non vedranno mai una diffusione di pubblico degna di questo nome. Le eccezioni sono quasi nulle: mi viene in mente il glorioso cinema Mexico di Milano, che da oltre un anno proietta un grande film come Il vento fa il suo giro - e a forza di insistere il film ha cominciato a diffondersi un poco. Ma sono mosche bianche.
    La produzione mainstream è di ben altro tenore, come ben sappiamo: dando una scorsa al volantino di un multisala, ci rendiamo conto che i film italiani in proiezione sono in buona parte commedie-panettoni e simili (variamente declinate in base alla stagione), film drammatici sbrigativi e qualche rara incursione nel cinema d'autore. I film importati sono in buona parte fuffa hollywoodiana, remake mal riusciti di film horror d'altri tempi e così via. Opere di un certo spessore (Onora il padre e la madre, Il matrimonio di Lorna, La terra degli uomini rossi) hanno un riscontro di pubblico piuttosto limitato, e non capita raramente di essere gli unici spettatori in sala.

    Il pubblico grosso, educato dalle fiction e dalle scelte del mercato cinematografico, non è abituato a gestire scelte interpretative più complesse di quelle offerte dal Capo dei Capi E' un problema culturale, che qualcuno ha definito di "fictionalizzazione" della cultura - insomma, siamo malati di fiction. Ma c'è anche un vuoto legislativo: anni fa, ad esempio, esistevano delle sale esplicitamente dedicate al cinema documentaristico, oggi boccheggiante e senza uno sbocco sul mercato del proiettore).
    Ora, il problema è che non esiste una causa univoca per questo stato di cose. Bisognerebbe cambiare radicalmente sia la politica della televisione pubblica che quella che regolamenta le sale cinematografiche: è l'unico modo per favorire una maturazione del pubblico tale da permettere al cinema di superare la soglia della decenza senza per questo rimetterci in termini di pubblico. Le storielle mitizzate, i cattivoni esorcizzati dal rassicurante maglio del Bene e simili aborti di banalità non sono che il frutto di un sostanziale fallimento di due o tre generazioni di educazione e di cultura.
    "Quanti gioielli dormono sepolti nell'oblio e nelle tenebre, lontano dalle zappe e dalle sonde; quanti fiori effondono il profumo, dolce come un segreto, con rimpianto, nelle solitudini profonde." - Charles Baudelaire

    "Bonaire preferisce concentrarsi sull'ondeggiare delle onde piuttosto che su quello delle mie tette." - The legend of Alundra

    http://www.youtube.com/user/heita3 - ecco un genio.

  7. #7
    Il grigio L'avatar di nattesh
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    Il punto è che fiction televisive del genere, essendo per forza di cose (e indipendentemente dalla volontà degli autori) confezionate per un pubblico generalmente ignorante e privo di spirito critico (cioè quello che passa le serate davanti alla televisione) devono per forza utilizzare stilemi narrativi elementari, dei quali il più comune è la lotta tra il bene e il male. In questo contesto è difficilissimo veicolare sfumature e caratteri complessi, quindi se per un attimo esci dai binari della dialettica manichea, rischi di far passare per "buono" il "cattivo", dal momento che appunto il pubblico è in grado di percepire solo questi due estremi.
    quoto anche la punteggiatura

  8. #8
    Claudio Chianese
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    Citazione Guo Jia Visualizza Messaggio
    Il pubblico grosso, educato dalle fiction e dalle scelte del mercato cinematografico, non è abituato a gestire scelte interpretative più complesse di quelle offerte dal Capo dei Capi E' un problema culturale, che qualcuno ha definito di "fictionalizzazione" della cultura - insomma, siamo malati di fiction. Ma c'è anche un vuoto legislativo: anni fa, ad esempio, esistevano delle sale esplicitamente dedicate al cinema documentaristico, oggi boccheggiante e senza uno sbocco sul mercato del proiettore).
    Ora, il problema è che non esiste una causa univoca per questo stato di cose. Bisognerebbe cambiare radicalmente sia la politica della televisione pubblica che quella che regolamenta le sale cinematografiche: è l'unico modo per favorire una maturazione del pubblico tale da permettere al cinema di superare la soglia della decenza senza per questo rimetterci in termini di pubblico. Le storielle mitizzate, i cattivoni esorcizzati dal rassicurante maglio del Bene e simili aborti di banalità non sono che il frutto di un sostanziale fallimento di due o tre generazioni di educazione e di cultura.
    è il vecchio problema dell'industria culturale che sollevavano Greenberg e Benjamin. Dopotutto, c'è anche da chiedersi in che misura il pubblico impone una certa fiction, e in che misura una certa fiction si autoperpetua (de)formando il pubblico.

  9. #9
    Utente L'avatar di Guo Jia
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    è il vecchio problema dell'industria culturale che sollevavano Greenberg e Benjamin. Dopotutto, c'è anche da chiedersi in che misura il pubblico impone una certa fiction, e in che misura una certa fiction si autoperpetua (de)formando il pubblico.
    Benjamin, però, era relativamente ottimista. Vi è in lui un implicito afflato pedagogico-paternalista, che a fronte delle fiction Rai e Mediaset crolla miseramente. Credo che Benjamin, abituato ancora alla produzione visiva e mediale "artigianale" (e qui mi riferisco a tutto il pre-cinema con ascendenze pittorico-artigianali, essenzialmente, dalle scatole ottiche al leggendario Kaiserpanorama di Berlino, - nel quale Benjamion ha passato tutta la sua infanzia, -, passando per fenachitoscopi e affini), non abbia ben capito il fenomeno. La produzione seriale di opere "d'arte", in quel periodo, era ancora caratterizzata da una certa finezza e da una grande cura per la comunicazione al pubblico. Molti soggetti per lanterna magica erano di argomento scientifico ed erano strumenti efficaci di divulgazione. Il mercato non aveva ancora del piegato ai livelli di oggi il sistema dell'offerta entro binari così rigidi.

    Il passaggio al cinema, che riprendeva le fila di tutta la tradizione pre-cinematografica, non è stata una cesura epocale, e tanti interpreti dell'epoca, tra cui Benjamin, hanno affrontato la problematica dell'industria culturale in modo limitativo senza comprendere la carica innovativa delle immagini in movimento. Non a caso Benjamin parla di "percezione nella distrazione" riferendosi ad un fenomeno per noi molto più inquietante, ovvero la dimensione subliminale del messaggio filmico. Per lui non era ancora chiaro il peso incalcolabile della dimensione comunicativa insita nei canali mediatici, in tutti i loro livelli.

    Che il rapproto tra pubblico e industria culturale sia strettissimo, non c'è dubbio. La standardizzazione verso il basso operata dalla livella del mercato (con qualche affinità con la livella-morte di De Curtis, con la variante che la prima uccide il solamente il pensiero) ha reso la fiction qualcosa di molto simile alla commedia dell'arte: tante maschere che si perpetuano negli anni, ruoli sempre uguali che si adattano a questo o quell'intento comunicativo o edificante. In definitiva, una forma di intrattenimento popolare progettata da qualche regista delirante, che banalizza la divulgazione facendola precipitare in paternalismo ebete.
    Ultima modifica di Guo Jia; 1-12-2008 alle 13:37:09
    "Quanti gioielli dormono sepolti nell'oblio e nelle tenebre, lontano dalle zappe e dalle sonde; quanti fiori effondono il profumo, dolce come un segreto, con rimpianto, nelle solitudini profonde." - Charles Baudelaire

    "Bonaire preferisce concentrarsi sull'ondeggiare delle onde piuttosto che su quello delle mie tette." - The legend of Alundra

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  10. #10
    Claudio Chianese
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    Benjamin, però, era relativamente ottimista. Vi è in lui un implicito afflato pedagogico-paternalista, che a fronte delle fiction Rai e Mediaset crolla miseramente. Credo che Benjamin, abituato ancora alla produzione visiva e mediale "artigianale" (e qui mi riferisco a tutto il pre-cinema con ascendenze pittorico-artigianali, essenzialmente, dalle scatole ottiche al leggendario Kaiserpanorama di Berlino, - nel quale Benjamion ha passato tutta la sua infanzia, -, passando per fenachitoscopi e affini), non abbia ben capito il fenomeno. La produzione seriale di opere "d'arte", in quel periodo, era ancora caratterizzata da una certa finezza e da una grande cura per la comunicazione al pubblico. Molti soggetti per lanterna magica erano di argomento scientifico ed erano strumenti efficaci di divulgazione. Il mercato non aveva ancora del piegato ai livelli di oggi il sistema dell'offerta entro binari così rigidi.
    Possibile. Ma la categoria della fine dell'auraticità segna la consapevolezza che un'era veniva conclusa per sempre. Forse, Benjamin non ha la visione chiara, per questioni di mera cronologia, della natura esiziale dell'industria culturale (che sarà colta da Adorno e Greenberg). Ma nell'epoca della totalizzazione mediatica nazista, difficile non cogliere i rischi del pensiero unico e del "racconto unico".


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    Che il rapproto tra pubblico e industria culturale sia strettissimo, non c'è dubbio. La standardizzazione verso il basso operata dalla livella del mercato (con qualche affinità con la livella-morte di De Curtis, con la variante che la prima uccide il solamente il pensiero) ha reso la fiction qualcosa di molto simile alla commedia dell'arte: tante maschere che si perpetuano negli anni, ruoli sempre uguali che si adattano a questo o quell'intento comunicativo o edificante. In definitiva, una forma di intrattenimento popolare progettata da qualche regista delirante, che banalizza la divulgazione facendola precipitare in paternalismo ebete.
    C'è da dire che tutta la commedia graco-latina è una questione di stereotipi. Il miles gloriosus, il padre burbero, il servo furbo, e così via. Eppure, la mimesis tou biou non si trasforma in un appiattimento, ma invece in un surplus di verità. Non so, ci dev'essere un'altra chiave... forse "una volta" si era più vivi che adesso?

  11. #11
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    Citazione Takeda Visualizza Messaggio
    Intanto dico la mia.

    Il capo dei capi è stato "rovinato" con l'aggiunta di Biagio Schirò , perché ovviamente personaggio inventato, come hai detto tu, giustamente, per far vedere che c'è qualcuno che ha voluto lottare contro la mafia.
    Hai detto che è stato rovinato, ma anche che il personaggio è stato aggiunto giustamente. Dalle mie parti questa si chiama antitesi, paradosso o se preferisci buco nero.

    Citazione Claudio Chianese Visualizza Messaggio
    Il punto è che fiction televisive del genere, essendo per forza di cose (e indipendentemente dalla volontà degli autori) confezionate per un pubblico generalmente ignorante e privo di spirito critico (cioè quello che passa le serate davanti alla televisione) devono per forza utilizzare stilemi narrativi elementari, dei quali il più comune è la lotta tra il bene e il male. In questo contesto è difficilissimo veicolare sfumature e caratteri complessi, quindi se per un attimo esci dai binari della dialettica manichea, rischi di far passare per "buono" il "cattivo", dal momento che appunto il pubblico è in grado di percepire solo questi due estremi.
    Da una parte condivido l'impostazione manicheista della fiction. L'opera infatti si propone come una sorta di biografia della mafia corleonese, piuttosto che come un romanzo psicoantropologico. Qualsiasi sfumatura psicologica sarebbe inutile visto che non verrebbe colta. Le motivazioni sono quelle che hai addotto, ovvero di ignoranza del target, ma qui ci si trova davanti ad una questione: come divulgare temi delicati ad un pubblico generalmente ignorante?

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    Concordo con Claudio. Aggiungo che, per una cultura cinematografica come la nostra, ogni nuova fiction rappresenta un tentativo - quasi sempre riuscito - di autoflagellazione.
    Abbiamo centinaia di registi sconosciuti, relegati a Locarno e a qualche altro festival - magari anche importante, come Torino - che producono eccellenti film che non vedranno mai una diffusione di pubblico degna di questo nome. Le eccezioni sono quasi nulle: mi viene in mente il glorioso cinema Mexico di Milano, che da oltre un anno proietta un grande film come Il vento fa il suo giro - e a forza di insistere il film ha cominciato a diffondersi un poco. Ma sono mosche bianche.
    La produzione mainstream è di ben altro tenore, come ben sappiamo: dando una scorsa al volantino di un multisala, ci rendiamo conto che i film italiani in proiezione sono in buona parte commedie-panettoni e simili (variamente declinate in base alla stagione), film drammatici sbrigativi e qualche rara incursione nel cinema d'autore. I film importati sono in buona parte fuffa hollywoodiana, remake mal riusciti di film horror d'altri tempi e così via. Opere di un certo spessore (Onora il padre e la madre, Il matrimonio di Lorna, La terra degli uomini rossi) hanno un riscontro di pubblico piuttosto limitato, e non capita raramente di essere gli unici spettatori in sala.
    La differenza fra mainstream e indipendente c'è, c'è sempre stata e sempre ci sarà. Non è un pirla chi guarda pellicole mainstream e non è un genio chi si dedica alla visione di pellicole indipendenti. Nella musica si è creato un vero e proprio genere di musica indipendente chiamato "indie" in cui all'inizio venivano inseriti quei gruppi che si autoproducevano dischi o che venivano prodotti da piccole case discografiche. Oggi però è considerato indie anche il mainstream. Siamo punto e a capo, le due cose non possono coesistere.

    Il pubblico grosso, educato dalle fiction e dalle scelte del mercato cinematografico, non è abituato a gestire scelte interpretative più complesse di quelle offerte dal Capo dei Capi E' un problema culturale, che qualcuno ha definito di "fictionalizzazione" della cultura - insomma, siamo malati di fiction. Ma c'è anche un vuoto legislativo: anni fa, ad esempio, esistevano delle sale esplicitamente dedicate al cinema documentaristico, oggi boccheggiante e senza uno sbocco sul mercato del proiettore).
    Ora, il problema è che non esiste una causa univoca per questo stato di cose. Bisognerebbe cambiare radicalmente sia la politica della televisione pubblica che quella che regolamenta le sale cinematografiche: è l'unico modo per favorire una maturazione del pubblico tale da permettere al cinema di superare la soglia della decenza senza per questo rimetterci in termini di pubblico. Le storielle mitizzate, i cattivoni esorcizzati dal rassicurante maglio del Bene e simili aborti di banalità non sono che il frutto di un sostanziale fallimento di due o tre generazioni di educazione e di cultura.
    Negli Stati Uniti la diffusione della televisione via cavo permette al pubblico la scelta fra migliaia di canali dei contenuti più adatti ai propri interessi. Chi vuole può guardare American Idol sulla CBS o Lost su ABC, e nello stesso tempo godersi film indipendenti su broadcast channel semisconosciuti. Io questa la chiamo democrazia culturale.
    In Italia non è affatto così e lo sappiamo tutti. I canali trasmessi in analogico sono ancora i più visti e la scelta è ridotta a meno di una decina di trasmettitori.
    Ma questa è una giustificazione? Niente affatto.. Siamo nell'era di internet e abbiamo i mezzi per informarci e scegliere come, dove, quando e cosa guardare. Si tratta di una sorta di nolontà di massa: su youtube, ad esempio, i video più visti in Italia qualsiasi giorno della settimana svariano fra La talpa, L'isola dei famosi, Amici di Maria de Filippi. Insomma il pubblico oggi può scegliere, e ha scelto di non maturare.


  12. #12
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    Citazione Claudio Chianese
    Possibile. Ma la categoria della fine dell'auraticità segna la consapevolezza che un'era veniva conclusa per sempre. Forse, Benjamin non ha la visione chiara, per questioni di mera cronologia, della natura esiziale dell'industria culturale (che sarà colta da Adorno e Greenberg). Ma nell'epoca della totalizzazione mediatica nazista, difficile non cogliere i rischi del pensiero unico e del "racconto unico".
    Ah, su questo non c'è dubbio. E' la solita, abusata tematica della politicizzazione dell'arte. Ora siamo più intelligenti: non dobbiamo più percorrere tappe intermedie di riproduzione tecnica, l'arte nasce già come merce.

    C'è da dire che tutta la commedia graco-latina è una questione di stereotipi. Il miles gloriosus, il padre burbero, il servo furbo, e così via. Eppure, la mimesis tou biou non si trasforma in un appiattimento, ma invece in un surplus di verità. Non so, ci dev'essere un'altra chiave... forse "una volta" si era più vivi che adesso?
    Probabilmente è una questione di coerenza allegorica, che arricchisce il messaggio. Pensiamo alla divinità meccanica.
    Tale spessore allegorico, nelle fiction, non esiste.Resta solo la mimesi stordita da effluvi drammaturgici di terz'ordine.

    La differenza fra mainstream e indipendente c'è, c'è sempre stata e sempre ci sarà. Non è un pirla chi guarda pellicole mainstream e non è un genio chi si dedica alla visione di pellicole indipendenti.
    Mai detto questo. Hollywood ha prodotto dei grandi capolavori, anche recentemente. Il problema è che ci siamo abituati da tempo a rifuggere la complessità del messaggio e la qualità in favore del cinema-passatempo. Ancora, fictionalizzazione.

    Ma questa è una giustificazione? Niente affatto.. Siamo nell'era di internet e abbiamo i mezzi per informarci e scegliere come, dove, quando e cosa guardare. Si tratta di una sorta di nolontà di massa: su youtube, ad esempio, i video più visti in Italia qualsiasi giorno della settimana svariano fra La talpa, L'isola dei famosi, Amici di Maria de Filippi. Insomma il pubblico oggi può scegliere, e ha scelto di non maturare.
    Le trasformazioni culturali non sono nè rapide, nè automatiche. Rischiamo di confondere l'evoluzione rapidissima della tecnologia con quella, assai più soggetta ad attrito, della cultura umana, peraltro naturalmente incline alla pigrizia, anche intellettuale. Sposando una visione del mondo de-antropologizzata - ove l'uomo e la cultura umana sono subordinati alla tecnica, avrebbe detto Husserl - rischiamo di semplificare troppo la questione. I moti della cultura sono molto difficili da imbrigliare entro i tempi tecnologici, così come in quelli logici del tipo "questo è maturo, questo non lo è, e logicamente si deve maturare e tutti sarebbero inclini a farlo".
    Il trionfo del banale è da ascrivere a cause molto più ampie, con ogni probabilità, non ultima la generale crisi dell'Occidente. Ma è una questione troppo ampia, ci porterebbe abbondantemente off-topic.
    "Quanti gioielli dormono sepolti nell'oblio e nelle tenebre, lontano dalle zappe e dalle sonde; quanti fiori effondono il profumo, dolce come un segreto, con rimpianto, nelle solitudini profonde." - Charles Baudelaire

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  13. #13
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    Mai detto questo. Hollywood ha prodotto dei grandi capolavori, anche recentemente.
    Era una mia considerazione. Se noti, non ho detto che tu l'hai detto.

    Il problema è che ci siamo abituati da tempo a rifuggere la complessità del messaggio e la qualità in favore del cinema-passatempo. Ancora, fictionalizzazione.
    Ripeto, non lo vedo come un problema intrinseco delle fiction. Siamo a natale, i cinepanettoni sono alle porte pronti a sbancare anche quest'anno.

    Le trasformazioni culturali non sono nè rapide, nè automatiche.
    E certe volte non avvengono mai.


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