In questi giorni ho visto tutte le sei puntate della serie televisiva "Il capo dei capi", andata in onda su Italia 1. Come saprete, la serie è tratta da un libro-romanzo a cura di Giuseppe D'Avanzo e parla dell'ascesa mafiosa di Salvatore Riina, della sua cosca e in generale di Cosa Nostra, di tutta la mafia siciliana e degli eventi ad essa connessi.
Si tratta di oltre nove ore di pellicola, diretti piuttosto bene. Vengon riportate in modo abbastanza fedele gli eventi e i personaggi. Con una eccezione. Il film da voce e volto all'idea romanzistica di una figura, quella di Biagio Schirò, inserito come rappresentante di una categoria. Per me è una buona idea ma non è di questo che voglio parlare. Non posso esimermi da un commento su tutto ciò che ho visto e letto.
Per me è stato piuttosto formativo: all'avanzare nella storia, mediamente ogni quindici minuti, ho consultato wikipedia e articoli sul web per non perdermi alcun dettaglio della fitta ragnatela di storie che viene pian piano tessuta. La mia prima meraviglia è con quanta facilità si decidesse della vita o della morte delle persone, innalzandosi al giudizio divino e sempre nel nome del Signore.
La storia di Totò Riina ne "Il capo dei capi" si svolge in un arco temporale di cinquant'anni, dal 1943 al 1993. La "triste" biografia di Totò Riina mostra come, appena tredicenne, perde il padre ed un fratello e diventa il capofamiglia. Il padre di Totò muore mentre tenta di cavare la polvere da sparo da una bomba inesplosa trovata in un campo. Morto "per la fame", come ribadito dallo stesso Riina più volte durante le puntate. Qualcuno ha detto che la figura di Riina è identificata in quella di "uno sfortunato figlio di Sicilia con la faccia simpatica".
Seppur lieve, fragile e velata, da un certo punto di vista si può notare una giustificazione delle malefatte di Riina. La fame e l'impossibilità di tirare avanti con i mezzi a propria disposizione come giustificazione di una carriera mafiosa che ha distrutto centinaia di famiglie oltre alla nostra immagine di italiani nel mondo. "Non voglio fare la vita da pecoraro", dice Totò. E la bomba stessa come incipit di tutto, a tessere un filo logico che recita così: se non ci fosse stata la guerra non ci sarebbe stata la fame, e se non ci fosse stata la fame non ci sarebbe stata Cosa Nostra. Filo logico perverso, nascosto, ma lì in bella vista.
Il pm della Direzione Antimafia di Palermo Antonio Ingroia ha asserito che alcune fiction come Il Capo dei Capi possono essere dannose perché creano un'iconografia positiva dei mafiosi. Il pm, recatosi in una scuola di Palermo, ha chiesto agli alunni chi era secondo loro il personaggio più simpatico; tutti hanno risposto Totò Riina. Questi stessi ragazzi, in un sondaggio precedente, avevano affermato che la mafia era dannosa e che non volevano farne parte. Intervenendo a Viva Voce su Radio 24 Ingroia ha dichiarato: "Sono contrario a ogni forma di censura. Ma ho la netta sensazione che con la fiction '"Il capo dei capi" c'è il rischio di fare un'iconografia alla rovescia su Totò Riina che emana un fascino un po' sinistro". [cfr. Wikipedia]
E forse è proprio così. Nella fiction è perseguita una linea in stile poema epico di scontro dualista fra bene e male: protagonista e antagonista. Da una parte Totò Riina e dall'altra Biagio Schirò, il personaggio fantomatico già citato prima che ricopre il ruolo allegorico di tutti coloro che si sono ribellati ed hanno lottato la mafia. Ma alla fine della storia viene difficile decretare vinti e vincitori. Dalla parte di Riina, rispettato e temuto da tutti, che nella vita ha avuto sempre tutto quello che ha voluto e se l'è preso senza mai chiedere il permesso, o se da quella di Schirò, che ha passato la vita dedicandosi alla lotta alla mafia stentando ad avere una vita decente e rischiando più volte di perdere prima la vita e poi la famiglia.
Più o meno volontariamente la figura di Totò Riina è proposta come quella dell'antieroe. Ricordo cos'è un antieroe. Gli antieroi sono personaggi tipo o forse personaggi romanzati, nel dramma e melodramma, che violano la legge o le convenzioni sociali stabilite, ma che nonostante questo hanno la simpatia del pubblico, risultando dunque i veri eroi della storia o comunque protagonisti. L'antieroe si distingue dall'antagonista, che come lui viola le regole, ma che al contrario dell'antieroe compie azioni malvagie per opporsi ad un eroe ed è quindi odiato dal pubblico. [cfr. Wikipedia]
Ora c'è da chiedersi: perché Riina esce come antieroe piuttosto che come antagonista? Io credo non sia affatto un problema dell'immagine fornita dalla fiction. Credo sia un problema dovuto al fascino che incutono il potere ed il rispetto. Spesso ci si dimentica dei metodi che portano ad un traguardo e, con fallace ispirazione machiavellica, ci si limita a coglierne i risultati. Una volta ho letto una definizione di capitalismo come "la stupefacente credenza secondo la quale i peggiori uomini farebbero le peggiori cose per il gran bene di tutti". Siamo nello stesso caso. Per gli esempi basta guardarsi oltre il naso.
Insegnare l'umiltà ed il sacrificio ai nostri amici, ai nostri genitori, a quelli che saranno i nostri figli e impararlo noi stessi è nostro dovere.