Il non imperialismo USA
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Discussione: Il non imperialismo USA

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  1. #1
    BodyKnight
    Ospite

    Il non imperialismo USA

    Il gorsso delle truppe usa avvia il ritiro dall'Iraq proprio mentre si celebrano le gare per aggiudicarsi i diritti d'estrazione del petrolio Iraqeno.


    30/6/2009
    Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Oggi al ministero del Petrolio di Baghdad asta al miglior offerente, ma senza perderci "
    Hussain al Shahristani, ministro del petrolio iraqeno
    Ricordate “No blood for oil”? Era lo slogan del movimento pacifista nel 2003, nei giorni dell’attacco della Coalizione all’Iraq. Slogan efficace, ma semplicemente non vero. Nei sei anni di guerra che sono seguiti la controprova era a disposizione di chiunque volesse accorgersene, sotto la luce piena del sole iracheno. Convogli lunghi e polverosi di autocisterne noleggiate dai militari e riempite con carburante importato, in viaggio da Kuwait, Turchia e Giordania, per alimentare le operazioni militari tecnologiche, ma sitibonde, del Pentagono. A Baghdad il sangue scorreva. Ma il petrolio? Nemmeno una goccia. L’esercito americano in Iraq, con i suoi 30 mila mezzi pesanti e corazzati, era ed è il più vorace al mondo quando si tratta di carburante: i veicoli da combattimento Bradley possono viaggiare soltanto un chilometro con un litro, e i carriarmati Abrams M1 non coprono nemmeno la metà di quella distanza. Se nel conto si mettono anche gli elicotteri sempre in aria, le missioni aeree di combattimento e trasporto, gli stessi convogli di rifornimento via terra, il fabbisogno sale ancora: per ogni soldato in Iraq si bruciavano ogni giorno circa quaranta litri di carburante. Un termine di paragone: la Terza armata del generale George Patton, che restò a secco in mezzo alla Francia nell’estate del 1944, consumava quattro volte meno, anche se contava il triplo degli uomini. Per paradosso, gli americani in Iraq hanno combattuto sei anni con la lancetta del serbatoio in riserva viaggiando sopra a riserve di greggio che sono tra le più grandi del pianeta. Hanno importato enormi quantità di carburante dai paesi vicini, un impegno logistico colossale che ha tenuto impegnati circa 20 mila uomini tra soldati e contractor privati, un piccolo esercito, un ottavo delle forze schierate. Ogni giorno partivano duemila autocisterne soltanto dal Kuwait, ottocento chilometri a sud dalla capitale Baghdad. I marine di stanza ad al Anbar avevano formulato una risposta standard alle accuse dei vecchi iracheni, quando quelli dicevano “Voi siete qui perché volete il nostro petrolio!”. “Si, è vero, vorremmo il vostro petrolio. Vorremmo comprarlo da voi e rendervi ricchi”. Big Oil, l’insieme delle grandi multinazionali del petrolio, non era invece così entusiasta della guerra. Ha sempre preferito concludere accordi commerciali con le dittature, piuttosto che rovesciarle con interventi armati destabilizzanti nel cuore del medio oriente, fonte privilegiata – e da non perturbare – dei propri profitti. La gara fra le compagnie Oggi al ministero del Petrolio di Baghdad il governo iracheno apre alle compagnie straniere i pozzi di greggio, dopo 37 anni di nazionalizzazione, con un’asta spettacolo che sarà trasmessa in diretta televisiva. La gara petrolifera avrebbe dovuto tenersi due giorni fa, domenica; ma lo show è stato poi rinviato per colpa di una tempesta di sabbia che ha anche ostacolato le ultime fasi del ritiro dei soldati americani dalle città secondo l’accordo firmato a dicembre 2008 fra Baghdad e Washington. L’asta irachena è aperta a tutti, americani e non americani. Alla prima fase di qualificazione due anni fa avevano partecipato 120 compagnie da tutto il mondo, ma soltanto in trentacinque sono arrivate a questa fase finale. Tra i candidati alla vittoria ci sono anche giganti del petrolio dei paesi che nel 2003 si erano opposti alla guerra contro Saddam Hussein: la Total francese, la Lukoil, la compagnia di stato della Russia, la Sinopec, formalmente conosciuta come China Petroleum & Chemical Corp. , da Pechino. Tra i paesi che hanno fatto parte della Coalizione, ci sono anche gli italiani di Eni, che già lavorano a Nassiriyah. In palio c’è un tesoro. Sei giacimenti iracheni con riserve per 43 miliardi di greggio, con una facilità d’estrazione favolosa, da proverbiale picconata nella sabbia. I costi tecnici di esplorazione e sviluppo a Baghdad variano tra gli 1,50 e i 2,25 dollari a barile, contro i 20 dollari a barile del greggio estratto in Canada. E il futuro potrebbe essere anche meglio. L’Iraq è un paese produttore ma vergine, il meno esplorato al mondo. I dati geologici sono obsoleti, risalgono a prima della nazionalizzazione del 1972 e nessuna compagnia occidentale ha condotto ricerche degne di questo nome dopo l’embargo del 1991. Anche se il prezzo del greggio ha attraversato un periodo di regressione, le stime prodotte dagli analisti aprono possibilità vertiginose: sotto l’Iraq, pronto a svelarsi alle tecniche di estrazione moderne, potrebbe riposare un quarto delle riserve del mondo. Con 115 miliardi di barili di riserva, Baghdad potrà competere con tutti i vicini, Iran compreso, fino a scalzare i sauditi dal primo posto nella lista dei produttori. Questo, sottolineano le analisi, se e quando uscirà dal suo stato di arretratezza tecnica e non appena lo standard di sicurezza apparirà accettabile anche ai tecnici stranieri (anche se i dipendenti di alcune compagnie, in silenzio, non hanno mai abbandonato i paraggi dei pozzi). Il governo iracheno per ora si sta muovendo con prudenza. I vincitori stranieri dell’asta si aggiudicheranno non una quota di proprietà dei giacimenti, come vorrebbero, ma soltanto una percentuale sulle estrazioni. I pozzi restano iracheni: le compagnie ci mettono il know how e i costi tecnologici per ammodernare un sistema petrolifero rimasto fermo agli anni Settanta. Samuel Ciszuk, analista specializzato sulle riserve energetiche nel medio oriente, dice al Wall Street Journal: “Stiamo parlando di un’enorme quantità di greggio che fluirà per i condotture delle compagnie vincitrici. Dall’altra parte, l’Iraq necessita disperatamente di tecnologia, e queste compagnie possono portarla”. Chi vince, comincerà a lavorare a novembre. Io non mi fido di te, tu non ti fidi di me Eppure, anche se sembra una “win win situation”, una situazione da cui entrambe le parti escono vincitrici, entrambe le parti sono invece insoddisfatte. Le multinazionali si chiedono se, per infilare il piede nel mercato più promettente del pianeta, non stanno invece gettandosi in un affare infernale. E se il livello di violenza torna a crescere? Se l’Iraq scivola indietro, agli anni passati, quando i tecnici occidentali erano sequestrati, gli oleodotti sabotati, le raffinerie colpite da razzi tutti i giorni? Il loro investimento è anche una scommessa sulla stabilità del paese. E – pensano – senza nemmeno avere una quota di proprietà dei pozzi. Almeno pretendono un Production Sharing Agreement a medio termine, vent’anni, che permetta a stento di giocare in anticipo sul mercato con le aspettative di estrazione. Gli iracheni sono invece diffidenti, tanto che il governo ha chiesto all’ultimo minuto un prestito-caparra di 2,6 miliardi di dollari alle multinazionali vincitrici. Temono che qualsiasi sia l’accordo finale, sarà troppo sbilanciato a favore delle compagnie private e puntano su altri tipi di contratti, i Tsa. Sono gli accordi di assistenza tecnica, con termini di tempo molto più ridotti: prima insegnateci come si fa e poi tornatevene al vostro paese. Fayad al Nema, manager della South Oil Company irachena, ha scritto al governo chiedendo contratti limitati per gli stranieri, fino a quando “noi stessi non saremo in grado di fare ricerche e gestire i pozzi”. Ma se i contratti saranno di durata troppo breve, le compagnie straniere non saranno allettate a sopportare i rischi. Ieri il vicepresidente sunnita del Parlamento, Tariq al Hashemi, ha detto che avrebbe boicottato l’asta di oggi. “Sospendete tutto, il Parlamento ha bisogno di più tempo per valutare gli accordi”. Come se non fosse abbastanza, c’è anche la grana del Kurdistan. I curdi, nell’impazienza di considerarsi già terra liberata e autonoma, e grazie anche alle loro condizioni di relativa stabilità rispetto al resto del paese fin dal 2003, hanno già stretto accordi petroliferi con gli stranieri. E ora non vogliono cancellarli per adeguarsi all’asta nazionale. La tensione con gli arabi sta aumentando. Il ministro Sharistani A guidare i contratti e i problemi collegati, c’è l’unica persona in Iraq che ha le capacità per venirne a capo. E’ il ministro del Petrolio Hussain al Shahristani, sciita, entrato nel governo del 2006. La sua storia personale parla per lui. Shahristani, diventato scienziato nucleare all’estero, alla fine degli anni Settanta è tornato in Iraq per fare parte della Commissione nazionale sull’energia. Ma Saddam Hussein da lui voleva altro: la Bomba nucleare. In un incontro faccia a faccia, lo scienziato disse al presidente che l’Iraq era firmatario del patto di non proliferazione nucleare, e che non avrebbe collaborato. Qualche giorno dopo, fu arrestato, torturato per tre settimane e gettato in isolamento per i dieci anni successivi. Nel 1991, ancora in prigione, riuscì a evadere assieme a due compagni grazie alla confusione causata da un bombardamento degli alleati, vestito con l’uniforme da ufficiale dei servizi segreti, e a scappare dal paese con la famiglia. Al ministero, il posto chiave del potere, Shahristani non è visto con favore. Troppo incorruttibile. Ha negato assunzioni di comodo a suoi amici, ha introdotto i cartellini, ha purgato dalle milizie il personale e rifiuta doni dagli stranieri: anche soltanto una cravatta.

    __________________
    Ieri...

    [...]The BP consortium, which includes China National Petroleum Co. as the minority partner, won a fee-based contract to boost production at Iraq's Rumaila oil field.[...]

    http://online.wsj.com/article/SB124647341292481801.html

  2. #2
    bah L'avatar di vamp
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    La prima parte dell'articolo è comica. Il tizio davvero si chiede perche' gli americani non usassero il petrolio sotto i loro piedi per alimentare i proprio mezzi? Davvero fa questa domanda?

  3. #3
    BodyKnight
    Ospite
    Citazione vamp Visualizza Messaggio
    Davvero fa questa domanda?

    No, non ha fatto nessuna domanda del genere.

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