Naturalmente, se alla fine il Cavaliere volesse - come pare voglia - andare avanti come un trattore, sarebbe difficile per gli alleati rispondergli solo “no”. Anzitutto perché, ragionano gli interessati, non conviene a nessuno che Berlusconi - vedendosi condannato nei processi Mills e diritti tv - faccia saltare il banco. Fini tesse la sua tela, Bossi non fa che crescere nei sondaggi: meglio spingere la crisi di governo più in là, si ragiona. Naturalmente, dunque, si tratta per il momento di ragionevoli dubbi, e decise freddezze. Sabbia, comunque, nel potente ingranaggio legislativo che dal castello di Arcore finisce nei tribunali passando di volata in Parlamento. Eppure, il frenetico saliscendi ieri dallo studio di Gianfranco Fini a Montecitorio di avvocati (Bongiorno e Ghedini) e di Guardasigilli (Alfano) - temi caldi le ipotesi della prescrizione breve e il cosiddetto “mini lodo” - ben rappresenta il nuovo approccio che in queste settimane abita la porzione non berlusconiana della maggioranza quando si parla di leggi ad personam, dette in ghedinese “leggine”. Come se, di botto, nonostante la permanente convinzione che l’uomo sia oggetto di persecuzione giudiziaria, quello di salvare il soldato Silvio avesse smesso di essere un obiettivo assoluto e fosse diventato oggetto di un dilemma: cosa ci nuoce di meno? La condanna del premier o il clamore di una nuova leggina che ci macchia il curriculum? Il rischio che cada il governo o quello che esploda la maggioranza?
Sul tavolo dell’ex leader di An infatti, come si diceva, l’ipotesi - cara all’avvocato del premier che molto si preoccupa degli esiti del processo Mills - di accorciare i tempi della prescrizione. E quella, preferita dalla Lega rispetto alla prima, di un “mini lodo” per destinare a una sede unica (Roma) i giudizi che riguardano chi ha incarichi istituzionali: si violerebbe una cosuccia come il principio del giudice naturale, ma tant’è.