Si chiamano "scoraggiati" e rappresentano l´ultima frontiera della crisi. Sono quei lavoratori che hanno perso il lavoro, ma che non lottano per riconquistarlo. Si fanno vincere, appunto, dalla scoramento, dalla rassegnazione e si industriano come possono per non perdere del tutto il salario. In Liguria sarebbero almeno ventimila, un dato prudente, per difetto, calcolato tenendo conto dell´indagine di Bankitalia che individua il numero complessivo di "scoraggiati" in oltre il due per cento di tutti i disoccupati. Tenuto però conto che il dato ligure è più alto di quello della media nazionale (650mila, pari al 6,2%), si può ragionevolmente indicare in ventimila il numero di questa particolare e criticissima fascia.
La questione non è solo linguistica, ma tocca da vicino il quadro produttivo e sociale della Liguria. Sulla base dei criteri armonizzati a livello internazionale, infatti, si considera disoccupato chi è senza lavoro, è alla ricerca di un impiego, è immediatamente disponibile a lavorare e ha compiuto un´azione di ricerca durante il mese precedente il momento della rilevazione. In assenza anche solo di uno di questi requisiti, si è classificati come inattivi.
Persone cioè che, «pur disponibili a lavorare, non hanno cercato un impiego con sufficiente intensità». A questo gruppone si aggiungono però altre due realtà: la prima include gli occupati momentaneamente esclusi dal processo produttivo perché in cassa integrazione; la seconda comprende appunto gli "scoraggiati" che non hanno cercato attivamente un nuovo lavoro.
Il quadro, nel suo complesso, purtroppo non sorprende ed era già stato analizzato nelle scorse settimane proprio sulle colonne di Repubblica da Paolo Arvati. E ancora prima, Cgil e Confindustria avevano analizzato questo nuovo fronte di crisi.
Nei calcoli messi a punto nei mesi scorsi dalla Cgil, infatti, gli scoraggiati erano considerati un vero e proprio esercito. Anche Confindustria, nell´ultimo Report del Centro studi presentato a dicembre, aveva legato la previsione della disoccupazione per il prossimo biennio alla percentuale di "riassorbimento" dei lavoratori dalla cassa integrazione.
Fino alle ultime statistiche, infatti, i posti di lavoro persi tra il 2008 ed il 2010, tengono conto della possibilità di riassorbire il 70% dei lavoratori attualmente in cassa integrazione. Un dato però che la crisi economica potrebbe aggiornare diversamente: se la percentuale di assorbimento scendesse infatti al 40%, i posti di lavoro a rischio tra il 2008 ed il 2010 raddoppierebbero. Polemica la posizione dei rappresentanti della Cgil, dopo l´intervento del ministro del Welfare Sacconi che ha bocciato i numeri di Bankitalia come "scorretti". «Questo è invece un dato completo, vero proveniente da una fonte autorevole, dove finalmente emerge il vero stato dell´occupazione e che il governo non potrà tacciare come inventato o inattendibile» afferma il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni.
Secondo il dirigente sindacale, intatti, «non basta il dato ufficiale di disoccupazione, ma bisogna considerare l´incidenza degli inattivi, almeno una parte di quelli che hanno smesso di cercare lavoro perché scoraggiati e pensano di non trovarlo». Secondo l´elaborazione di Bankitalia «nel secondo trimestre dello scorso anno la quota di lavoro inutilizzata era superiore al 10% mentre nei restanti sei mesi successivi tutti i parametri presi a riferimento sono peggiorati: è lo stesso ragionamento che la Cgil e l´Ires hanno fatto alcuni mesi fa e che è stato liquidato come inventato o inattendibile dal governo