[27] Accademia Ninja del Villaggio della Troia [SPOILER]
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Discussione: [27] Accademia Ninja del Villaggio della Troia [SPOILER]

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    [27] Accademia Ninja del Villaggio della Troia [SPOILER]

    Eccoci al consueto appuntamento.
    so gia' che mi reporterete, ma e' ben piu' divertente per me sapere che lo farete non per il bene del forum; ma perche' vi fara' sentire meglio con voi stessi e vi dara' l'illusione di avere un ruolo e/o potere almeno una volta nella vita, dato che 3/4 di voi sono solo degli sfigati che passano la vita davanti al pc. Quindi se grazie a questo thread vi posso regalare 2 minuti di autostima, ben venga.

    Avevo appena tredici anni quando presi il mio primo cazzo, lo feci perché non me e fregava niente, lo feci perché volevo i soldi, tanti e subito, da allora non mi sono più fermata. Vivevo in un appartamento delle case popolari occupato abusivamente, mio padre se n’era già andato da un paio d’anni, non seppi mai perché e nemmeno provai a chiederlo a mia madre. Lei non parlava mai, era il suo odio a farlo, sputava rabbia e rancore contro il mondo intero anche se il vero bersaglio ero io, lei mi riteneva responsabile della fuga di mio padre, quella stupida puttana. La mattina mi lasciava qualche soldo per la spesa, poi la sentivo rincasare a notte fonda stanca e dolorante. Non ho mai saputo che lavoro facesse. L’unica volta che ci parlammo seriamente fu quando ebbi le mestruazioni, avevo dodici anni e lei era appena tornata dal lavoro, aveva la faccia stravolta dalla stanchezza. Le dissi tutto con un groppo in gola, lei con una smorfia di disgusto prese dall’armadio un pacco di assorbenti e me li diede, disse che erano i suoi e che da quel momento in poi li avrei usati anch’io. Da allora mi limitai a chiederle solo quelli. A scuola ci andavo poco e solo quando ne avevo voglia, odiavo vedere quelle stupide ragazzine tutte ben vestite e con un genitore sempre al fianco, le odiavo perché avevano tutto ed io niente. Fu allora che mi decisi, se le cose che desideravo mi venivano negate allora me le sarei conquistate a modo mio. Avevo solo una cosa da offrire, il mio corpo. Al piano di sopra abitava un vecchio porco sempre smanioso di scoparmi, me lo faceva capire in tutti i modi, sbavava continuamente. Una mattina glielo dissi, poteva avermi per duecentomila lire, il vecchio non credeva alle sue orecchie, mi portò subito nella sua lurida topaia poi mi fece annusare qualcosa, era popper, quel bastardo lo usava per i suoi amichetti gay. Collassai quasi subito, ero cosciente ma non riuscivo a muovermi. Mi mise sul letto come una bambola, poi alzò la gonna, tirò via le mutandine e me lo ficcò dentro di prepotenza, l’imene si lacerò subito, il dolore fu tremendo, mi sentii come se mi avessero sventrata con un pugnale. Aspettai che venisse poi mi tamponai la figa con la carta igienica, il vecchio mise i soldi nella tasca della camicetta e mi fece uscire. Scesi le scale tremando e barcollando, gocce di sangue e sperma cadevano dalle mutandine sporcandomi le ginocchia ma c’era dell’altro, presi i soldi dalla tasca, erano cinquantamila lire, quel bastardo m’aveva fregata, giurai di fargliela pagare e giurai a me stessa che nessuno m’avrebbe più fregata. La voce si sparse nel quartiere, era quello che volevo, cominciai col scoparmi i ragazzi a scuola per pochi soldi, poi passai agli uomini sposati, quelli pagavano decisamente meglio. Li portavo a casa mia, scopavamo nel letto di mia madre, tanto non c’era mai e comunque non me ne fregava un cazzo, finalmente potevo permettermi tutte quelle cose che avevo sempre desiderato. A diciassette anni guadagnavo in un mese quello che la maggior parte delle mie coetanee guadagnava in un anno. Ma ormai non mi bastava più, dovevo andare via da lì, volevo lasciarmi dietro tutto quello schifo, era una questione di principio, ma prima avrei pareggiato i conti col destino. Per fare ciò ritornai a scuola, cominciai a frequentare le cosiddette ragazze di buona famiglia, divenni amica della più stronza di loro, andavo nella sua bellissima casa su in collina e, con la scusa di studiare insieme, cominciai a lavorarmi il padre. Lui era un uomo sulla cinquantina, appesantito ma ancora piacente, mi presentavo sempre in minigonna e maglietta scollata, lui faceva finta di niente ma la patta dei pantaloni lo tradiva continuamente, era sempre gonfia, sembrava dovesse scoppiargli da un momento all’altro, ormai ero un’esperta del campo. Un pomeriggio aspettai che fosse solo in casa poi bussai alla sua porta, finsi stupore nel non trovare la figlia, lui mi fece accomodare nel salotto, fu lì che completai la mia opera. Lui era seduto nella sua poltrona di pelle, aveva un gonfiore enorme tra le gambe, stava impazzendo dalla voglia di scoparmi. Andai verso di lui e mi sedetti a cavalcioni sulle sue gambe, gli dissi che poteva scoparmi per un milioni di lire ma che per cinque gli avrei dato il mio culetto vergine, ovviamente in anticipo e in contanti, avevo imparato la lezione, io. La sua faccia si dipinse rapidamente di rosso e di depravazione, andò subito nel suo studio privato, quando ritornò aveva in mano cinque milioni di lire in contanti. Mi portò nella stanza degli ospiti, ci spogliammo in fretta poi cominciò a scoparmi violentemente, non male per un uomo della sua età. Quando venne il momento di prenderlo nel culo presi un cuscino e lo strinsi forte a me. Il dolore della penetrazione fu atroce nonostante avessi umettato il buchetto con una crema lubrificante. Facendo la puttana avevo imparato a sopportare il dolore, ma quella volta gridai come un ossessa. Mi venne dietro, poi si accasciò sul letto esausto, fu così che lo ebbi in pugno. Con i soldi comprai una valigia e dei vestiti, a mia madre lasciai due milioni di lire sul comodino vicino al letto, credo che non li abbia mai presi, poi diedi un milione ad un tossico balordo della zona, doveva ammazzare quel vecchio porco del piano di sopra, seppi poi della sua morte leggendo la cronaca nera di un giornale cittadino, un regolamento di conti dissero, io invece avevo finalmente regolato i conti con il mio destino. Rimaneva solo una cosa in sospeso, l’avrei completata subito dopo. Con la valigia e i risparmi avanzati lasciai il quartiere, quel posto di merda non m’avrebbe più rivisto. Presi il treno e scesi alla stazione centrale, da una cabina telefonica chiamai lui, il padre della mia amica. Era in ufficio, con un tono imbarazzato ma deciso mi disse che non dovevo chiamarlo più, gli risposi che ero andata via di casa e che doveva aiutarmi, gli dissi che se non lo faceva l’avrei sputtanato davanti alla sua famiglia e mandato in galera, gli ricordai che era quella la pena per chi si scopava le minorenni, gli dissi che come prova conservavo ancora lo sperma dell’ultimo rapporto sessuale. Ora lo avevo per le palle. Venne a prendermi dopo mezz’ora, mi portò in un appartamento situato all’ultimo piano di un elegante palazzina a tre piani, il condominio era molto discreto e pieno di verde, quella era la sua garçonniere, lì si scopava le sue puttane ma da allora divenne il mio appartamento. In quel momento m’accorsi d’aver chiuso tutti i conti in sospeso, avevo vinto contro mia madre, contro il vecchio bastardo del piano di sopra e contro le ragazze di buona famiglia scopandomi e facendomi mantenere dal loro padre. Anche adesso, ora che alla soglia dei trent’anni faccio la puttana per pochi clienti selezionati, dico che non siete stati voi a scoparmi, non l’avete mai fatto, sono io che vi ho scopato per tutto questo tempo. Io mi sono nutrita dell’ipocrisia delle vostre vite fasulle, delle vostre manie e depravazioni, e ogni volta che finivo vi sputavo in faccia il mio disprezzo. In cambio dei soldi vi ho permesso di trafiggere il mio corpo con i vostri fallimenti e le vostre sconfitte, tanto a me bastava una doccia per lavarli via e sentirmi di nuovo pulita, mentre a voi restava solo lo sconforto di un triste ritorno a casa. La brava mogliettina da baciare e figli da accarezzare, e sempre lo stesso dilemma; pestarli a sangue oppure attaccarsi alla bottiglia, sperando, in questo modo, di dimenticare la misera esistenza in cui vi siete impiccati. Perché io lo so, l’ho sempre saputo. Sono sempre stata migliore di tutti voi.

  2. #2
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