Maroni punta in alto
Il ministro scherza sulle sue ambizioni per il Colle. E intanto guida la fronda leghista contro Bossi. Durante l'ultima segreteria politica ha detto: "Non ci sto a sostenere un governo inesistente"
Roberto Maroni era felicissimo. Chi l’ha incontrato nei corridoi degli studi Rai milanesi in via Mecenate dopo il suo intervento a Vieni via con me, racconta di un ministro dell’Interno soddisfatto ed euforico. Tanto da fermarsi a parlare con Loris Mazzetti. Il capostruttura di Rai 3, storico braccio destro di Enzo Biagi, è apparso stupito. Stretta di mano con rapido scambio di battute. “Dica la verità, lei sta studiando da primo ministro”, dice Mazzetti. “Non è affatto vero”, sorride il ministro. Mazzetti lo stuzzica: “Nella Prima Repubblica tutti quelli che si sono seduti sulla poltrona del Viminale sono poi diventati presidente del Consiglio”. Maroni, ormai quasi fuori dall’ufficio, fa un passo indietro e ribatte, serio: “E cinque sono diventati presidenti della Repubblica”. Più che aspirazioni personali, l’affermazione dell’avvocato di Varese conferma che è arrivata a maturazione la scelta di sfidare frontalmente il “capo”: Umberto Bossi.
La crisi interna alla Lega è antica. Ma fino a quando Maroni era indicato come l’erede naturale del Senatur, la fronda non ha trovato un colonnello pronto a guidare la rivolta. La situazione è cambiata in primavera, quando Manuela Marrone, moglie del leader del Carroccio e “selezionatrice” della classe dirigente del partito, ha dettato la nuova linea: l’erede sarà Renzo. Il trota si era appena conquistato sul campo l’elezione al consiglio regionale della Lombardia con una sberla di preferenze raccolte a Brescia. Così, il ricciolino pluribocciato alla maturità, ha cominciato ad apparire sempre più spesso accanto al padre. E a parlare. “Io l’erede? Si vedrà”, dice il 15 agosto. Maroni chiede al “capo” lumi. Incassando rassicurazioni. E la promessa di una poltrona di peso: l’accordo fatto con Berlusconi a Lesa sul lago Maggiore, riferisce Bossi, prevede per Maroni l’incarico di premier in un ipotetico governo alternativo in caso di crisi.
Ma alla ripresa dei lavori parlamentari la realtà appare diversa. Il nome su cui si punta è quello di Giulio Tremonti. E il ministro dell’Interno lo candida ufficialmente per il dopo Berlusconi, bruciandolo. Tra i due non c’è mai stato un buon rapporto. Se Roberto Calderoli ha remato a favore del titolare dell’economia, Maroni si è fermamente opposto. Tra i due Roberto, del resto, c’è tutto fuorché amicizia. Leggendari gli scontri durante le riunioni del lunedì a Milano in via Bellerio, quartier generale della Lega. Con Bossi a riportare una pace fittizia imponendosi. “Decide il capo, non si discute”. “Che penso? Io non penso, c’è il capo”. Erano le risposte tipo dei colonnelli in camicia verde. E poi ciascuno mediava con il Senatur, liberamente. Da settembre tutto è cambiato. Intorno a Bossi c’è una “canottiera” strettissima che filtra tutto e tutti: la moglie , il figlio Renzo, la fedelissima di ferro Rosi Mauro e il capogruppo Reguzzoni. A seconda delle decisioni da adottare vengono coinvolti anche Federico Bricolo e, con fortune alterne, Roberto Cota. Tutto passa dal “cerchio magico” o, come lo chiamano i detrattori, “la banda dei badanti”. Sono, più semplicemente, i nuovi colonnelli della Lega. Contro cui Maroni ha deciso di lanciare la sfida dei vecchi, sostenuto addirittura dell’ormai ex nemico, Roberto Calderoli. E Giancarlo Giorgetti che si sta vedendo sfilare da Reguzzoni la segreteria del partito in Lombardia, dove sono in scadenza alcune amministrazioni che la Lega vuole tutte per sé, dove le poltrone da assegnare a breve sono d’oro: Finlombarda, Ente per la ricerca, direttore sanitari, Cda di Ferrovie Nord.
Lo scontro ha raggiunto l’apice nella segreteria politica di lunedì scorso in via Bellerio, quando Maroni è uscito allo scoperto: “Io non ci sto a sostenere un Governo inesistente”. Secondo un deputato varesino “è solo una lotta di poltrone”, ma il ministro dell’Interno è determinato. Ha cavalcato mediaticamente l’affaire Saviano e, con il pretesto di rispondere alle accuse di collusione del partito con la ‘ndrangheta al nord, è intervenuto in ogni trasmissione che lo invitava. Non ha perso occasione per rilasciare dichiarazioni alla stampa. Evento straordinario, perché Maroni ha sempre parlato solo durante le conferenze stampa. Prima e dopo mai una parola. Ma da lunedì scorso, è incontenibile. Nella sola giornata di ieri le agenzie di stampa hanno pubblicato oltre 20 sue dichiarazioni. Su tutto. Federalismo (“va avanti a prescindere dalla crisi”), Finanziaria, (“importante evitare crac”), rifiuti, sicurezza, persino sull’expo ha esternato. Soprattutto sul governo, bocciando l’eventuale ingresso dell’Udc, “l’unico partito che ha votato contro il federalismo fiscale”. E sparando contro un esecutivo tecnico: “Durerebbe solo poche settimane”. Insomma, per la Lega, non parla più solo Bossi. Tanto che in serata il Senatur corre ai ripari telefonando a un’agenzia di stampa: “Con maggioranza risicata meglio il voto. Se andiamo a elezioni vinciamo”. Cose già dette in giornata, dal ministro for president Maroni.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010...in-alto/78472/
Al di là di certe convinzioni di alcuni elettori della Lega era ovvio che in un partito in crescita e che punta ad avere sempre più peso non si potesse continuare per sempre col pensiero unico dell'ormai 70enne e acciaccato Bossi.
Inviterei i destrorsi a non snobbare l'articolo a causa della fonte.
Che Maroni si stia ritagliando un ruolo sempre più grande e che la "candidatura" del Trota come successore del padre(impensabile fino a un anno fa) non vada a genio a molti esponenti del partito mi sembrano elementi innegabili.
Che ne pensate?