Si chiama "Fomo": ecco come "guarire" Sapere quel che fanno gli altri insinua il dubbio di non divertirsi
abbastanza
NEW YORK - I miei ex-compagni italiani della Scuola europea di Bruxelles si ritrovano spesso in un
ristorante, a Roma, a sette ore di volo da qui: istantaneamente le foto delle loro simpatiche serate riprese
sugli iPhone mi raggiungono, prima sulla mia email e poi evidenziate grazie a Facebook e Twitter.
È un modo per rendermi partecipe delle loro allegre rimpatriate? O invece mi rendono ancora più tangibile la
distanza, l'assenza? Ora scopro che la mia è un'esperienza universale. Ha perfino un nome clinico, la nuova
nevrosi creata dai siti sociali.
Si chiama Fomo, le iniziali di "fear of missing out": la paura di essere tagliati fuori. Tanto più acuta se l'evento
di cui i vostri amici vi mandano testimonianze in tempo reale si svolge addirittura nelle vicinanze. E voi non ci
siete. «Una serata di pioggia mi stavo impigrendo al calduccio del mio salotto, pronta a guardare un film in tv
- racconta Jenna Wortham nella sua column tecnologica sul New York Times - quando improvvisamente il
mio iPhone ha cominciato a lampeggiare. Eranoi segnali che mi arrivavano dai miei amici, attraverso diversi
siti sociali. Tre di loro stavano andando in un locale a sentire musica. Altri mandavano immagini da un
ristorante. Improvvisamente il piacere della mia serata domestica e solitaria è stato guastato dal rimpianto per
quello che avrei potuto fare».
Facebook, Twitter, Flickr, Hunch, Foursquare, Instagram: il nostro mondo è stato invaso da siti specializzati
nell'informarci automaticamente minuto per minuto di quel che fanno gli amici, i conoscenti, i colleghi di
lavoro, più le celebrità e i Vip che vogliamo seguire. Ma anziché renderci davvero più "sociali", questi
strumenti tecnologici possono accentuare un senso di solitudine, di opportunità mancate. Uno degli studiosi
che denunciano il lato oscuro della socialità digitale è Dan Ariely, docente di psicologia alla Duke University e
autore del saggio "Predictably Irrational".
Secondo Ariely «quando cominciamo a consultare le pagine Facebook dei nostri amici, s'insinua il tarlo del
dubbio, la preoccupazione che stiamo prendendo le decisioni sbagliate su come passare il nostro tempo
libero». L'immediatezza di quei segnali è diversa da quel che accadeva in tempi pre-Facebook, quando al
lunedì mattina fra colleghi ci si scambiavano resoconti su come ciascuno aveva passato il weekend.
L'immediatezza dà una forza diversa ai raffronti: «È in questo preciso istante - dice Ariely - che vedi la foto
dei tuoi amici proprio mentre sono in un locale a bersi una bottiglia di vino, senza di te, e non puoi impedirti di
pensare che le cose potrebbero essere diverse». Questo non riguarda solo la mondanità, il tempo dedicato ai
divertimenti. Sui siti sociali dilaga anche l'esibizione dei propri successi: nella vita di coppia, negli studi,
nell'attività professionale.
Un tempo accadeva solo in momenti determinati - per esempio proprio un ritrovo tra ex compagni di scuola -
di fare il bilancio della propria esistenza confrontandosi con gli altri.
Adesso bastano due clic sul computer, o sul display del cellulare, per vedere apparire sullo schermo "la vita
degli altri". E sentirsi costretti a far paragoni che possono essere stressanti o dolorosi. Un'altra studiosa delle
relazioni sociali nell'èra digitale, Sherry Turkle del Massachusetts Institute of Technology ha coniato per un
suo studio il titolo "Alone Together" (insieme da soli). Non è proprio una novità.
Negli anni Cinquanta il saggio sociologico più venduto in America fu "La folla solitaria" di David Riesman, che
già allora analizzava le nuove forme di solitudine in una società dove i mezzi di comunicazione di massa
sembravano facilitare i legami sociali. «Di fronte a una nuova tecnologia - sostiene la Turkle - siamo
vulnerabili, immaturi, ci lasciamo dominare invece di essere noi a dominarla». Contro la sindrome-Fomo, la
Turkle propone di cominciare con piccoli esercizi quotidiani: «Ogni tanto, separiamoci dal nostro smartphone,
per riprenderci il controllo su noi stessi».
La scheda LA PAURA DI ESSERE TAGLIATI FUORI A denunciare il lato oscuro della socialità digitale è
Dan Ariely, docente di psicologia alla Duke University e autore del saggio "Predictably Irrational"
FEDERICO RAMPINI da La Repubblica dell' 11/04/2011