rygar87
Non c'e' famiglia che non si preoccupi dell'avvenire dei figli, men che meno al Sud. E' chiaro pero', che l'analisi delle prospettive di lavoro va connessa con lo stato dell'assetto economico-sociale.
Tale quadro, nel Sud, e' fortemente cambiato rispetto ai tempo della conquista dei Savoia. La classe dei contadini (un tempo circa il 90% della popolazione assieme ad artigiani, operai, marinai, scaricatori e soldati) e' praticamente scomparsa. La classe dei proprietari di terre si e' enormemente dilatata, ma le attivita' agricole, grazie alla politica agraria comunitaria, possono al limite solo integrare il reddito principale di un impiego pubblico o di una professione. Le altre figure padronali (di fabbriche, di vascelli, di banche, eccetera) sono pressocche' assenti, tranne i padroni di case. Per il resto, stendendo un velo pietoso sul capitalismo mafioso (ma lo Stato combatte veramente la mafia, gemella siamese dell'assenza di produzione? Ed i suoi proventi illeciti -pecunia non olet- non finiscono nei depositi delle banche del centro-nord?), abbiamo una classe dei coomercianti che opera nell'ambito della distribuzione di merci padane ed anche estere; gran parte delle figure di ceto medio (insegnanti, magistrati, persino figure professionali apparentemente "libere" come ingegneri, geometri, avvocati, farmacisti e architetti) a ben vedere, dipendono dalla spesa statale o dagli investimenti del grande capitale.
In tale contesto la grandissima maggioranza dei genitori meridionali, oltre a destinare eventuali risparmi in impieghi fruttiferi nel tempo (un appartamento da affittare, titoli, eccetera), per i propri figli ha ritenuto piu' redditizio investire nella loro formazione professionale. Al Sud, di rado si tratta di un lavoro indipendente. La maggior parte dei giovani va a scuola per diventare un laureato. E da laureato, un impiegato dello Stato.
I genitori guidano il figlio verso tale approdo, anche finanziando un corso di studi univeristari gia' ieri costoso, oggi ancor di piu' (soprattutto quando svolto fuori sede), spesso persino sacrificando beni ereditati sull'altare di una laurea. I piu' non ce la fanno a laurearsi, ma continuano ad agognare l'impiego statale. La delusione della famiglia, sicuramente cocente sul lato del prestigio, e quella non minore del giovane, fino a quanlche tempo fa era lenita dal fatto che l'impiego pubblico assicurava al giovane non laureato un trattamento economico, anche socialmente e giuridicamente garantito, non molto diverso da quello di un laureato.
I tempi pero' sono cambiati. Professore o bidello, medico o infermiere, segretario comunale o netturbino che fosse, ieri al Sud, spesso con l'aiuto di qualche amico, si riusciva a trovare un'occupazione per il figlio, che cosi' metteva su casa e generava a sua volta prole: oggi e' sempre piu' arduo.
Le pubbliche assunzioni sono state condannate come un lusso, e l'alternativa di emigrare non fornisce le aspettative di un tempo. E' sopraggiunto il festival liberista: ognuno e' padrone di scommettere sul proprio avvenire e i cocci sono suoi. Le famiglie hanno capito che l'aria e' cambiata, ma su qual altro traguardo puntare, in un Sud che non offre alternative? I padri e le madri tremano, ma continuano a spronare il figlio perche' raggiunga il chimerico traguardo di forza-lavoro statale.
Inconsapevoli di averli in realta' traditi con la loro incoscienza politica.