si pensi a questo selvatico, serio e singolare, a quest’uomo dagli occhi chiari e dai capelli lunghi, che si nutre di latte e di castagne, di guardia al suo tetto di foglie, alla sua aia, al suo fossato, che distingue ogni villaggio da quello vicino dal suono della campana, che si serve dell’acqua solo per bere, che porta un abito di cuoio con arabeschi di seta… che venera il proprio aratro ed i propri avi, che crede alla Santa Vergine e alla Dama Bianca, che è devoto all’altare e all’alta pietra misteriosa in mezzo alla landa, lavoratore nella pianura, pescatore sulla costa, fedele ai Re, ai suoi signori, ai suoi sacerdoti; pensoso, immobile spesso, per ore intere sulla grande spiaggia deserta, ascoltatore del mare… Le donne vivevano nelle capanne e gli uomini nelle cripte; esse portavano da mangiare agli uomini… Improvvisamente andavano a farsi uccidere, lasciando la tana per il sepolcro… I Bianchi inseguivano sempre; i Blu mai, perché avevano il paese contro di loro… Molti non avevano che picche… Erano combattenti straordinari, spaventevoli, intrepidi. Il decreto di arruolamento di trecentomila uomini aveva fatto suonare le campane di seicento villaggi. L’incendio scoppiò sotto tutti i ponti… Quando i contadini attaccavano i repubblicani, se incontravano sul campo di battaglia una croce o una cappella, tutti cadevano in ginocchio e dicevano la loro preghiera sotto la mitraglia; finito il rosario quelli che restavano si rialzavano e piombavano sul nemico… Quando attraversavano un bosco repubblicano, spezzavano l’albero della libertà, lo bruciavano e ballavano in tondo attorno al fuoco. Facevano quindici leghe al giorno, senza piegare un’erba al proprio passaggio. Venuta la sera, caricavano i fucili, sussurravano le loro preghiere, levavano gli zoccoli e in lunga fila attraversavano i boschi a piedi nudi, sul muschio e sulle pagliuzze, senza un rumore, senza una parola, senza un soffio
Così Hugo descrive gli insorti vandeani del 1793. Della Vandea si comincia a parlare da qualche tempo a questa parte - ed era gran tempo! - e chi vuole informarsi può farlo senza troppi patemi (vi consiglio di farlo). In soldoni, si tratta di una rivolta legittimista scoppiata nelle ragione francese altamente agricola e feudale della Vandea, in opposizione alla nuova Repubblica, che aveva appena ghigliottinato Sua Maestà e, democraticamente, contava di arruolare con la forza i contadini per mandarli a crepare sui vari fronti della lotta rivoluzionaria. La rivolta fu soppressa con il ricorso al genocidio programmatico di stampo nazista: morirono 150.000 persone, donne, bambini, tutto compreso. Più che altro li legavano e li gettavano al fiume. Democraticamente.
Ma comunque, io non sono proprio per niente uno storico quindi vi propongo solo qualche riflessione. Ora, vi diranno che quelli erano cafoni ignoranti turlupinati dai preti. Non ci credete, i vandeani la sapevano lunga. I vandeani ci hanno insegnato una verità chiara come le stelle: la storia non si piega alla filosofia, e l'anima non la descrivono i trattati. I vandeani strappano tutti i calendari possibili, distruggono le meridiane: la Tradizione sopravvive in un tempo altro, un minuto del cuore in cui tutte le epoche si incontrano.
Una fortezza, il rifugio dell'individuo-storia da strutture e sovrastrutture. Dai vandeani impariamo come il tempo ci appartenga in un senso non-misurabile, come non si misura l'estensione del proprio sentire e vivere. E questo tempo così umano ha sparso il suo primo sangue in Vandea, di fronte all'orologeria del pensiero unico, per salvare l'interpretazione da chi vuole assassinarne i dettagli. Quei morti hanno smascherato la menzogna del domani, in nome della quale il sangue di oggi - e, ancor più gravemente, quello di ieri - si sconta dai martirologi.
Il conte de La Rochejaqueleine veglia ancora, ché il mondo non sia sopraffatto dai portatori di moschetto della Grand Armèe, dalle profezie di Marx, dalle catene di montaggio e dal passo dell'inevitabilità.