Alt, io mi riferisco alla ripetitività dei concetti, non alla trama o agli avvenimenti che, ho detto, sono ottime idee. Però ad un certo punto, soprattutto nell'ottavo libro, si perdono tra i mille pistolotti filosofeggianti tutti uguali che fanno tutti i singoli personaggi.
Penso ad esempio alla morte di
A cui vengono dedicate tre paginette tutte di corsa, compreso il
In mezzo a altre 20/30 pagine di ennesimi pistolotti sul mal di vivere ripetuto per l'ennesima volta. Voi mi direte, per esempio, che questo modo di pensare è insito nella costruzione della mitologia dei Tiste Andii, per esempio, ma converrete con me che far ripetere e pensare a Nimander (o Silan) le stesse cose per tutto il libro diventa insostenibile. Se poi le stesse cose le pensano Cutter, o uno qualsiasi degli altri personaggi presentati in questo libro, allora diventa ancora più pesante.
Sfrondato da queste cose, per me, tutta l'opera ne avrebbe assolutamente tratto vantaggio. Fermo restando che è comunque un lavoro monumentale, ma forse Erickson non è un così bravo scrittore.