In questi mesi di discussioni sulla guerra in Iraq non sono certo mancati i flame: al di là dell'apparente diversità dei temi scatenanti -- dal terrorismo al numero dei civili caduti -- mi sembra che il loro vero fondamento sia sempre stato il solito: un diverso modo di intendere la morale che, mentre portava alcuni a ritenere che la fine della dittatura fosse una giustificazione sufficiente per i drammi del conflitto, spingeva altri a dire che la morte di un solo innocente era stato un prezzo troppo alto da pagare.
Un diverso modo di intendere la morale perchè, in effetti, entrambe le posizioni non erano che l'espressione dei due termini di una distinzione molto generale: quella tra morale della responsabilità e morale dell'intenzione, cioè tra la morale di chi si interessa unicamente alle conseguenze (positive o negative e considerandole caso per caso) di una scelta e quella di chi, sostenitore dell'importanza dell'intenzione, fa proprio il motto "fiat iustitia, pereat mundus" e regola la sua azione su principi incondizionati, universali e ineludibili.
Perchè dunque non discuterne in questi termini generali? Magari una maggiore consapevolezza dei fondamenti delle proprie opinioni aiuterà a capire le ragioni dell'altro e servirà a far scendere il numero degli insulti.