Attenzione, ppl! Questa storia è cattiva, quindi se non ascoltate gli Slipknot per scelta, non leggetela, TUM-TUM.



L'altro

Quel tizio mi sta ancora fissando, sempre dritto nei suoi occhi scurissimi, sempre con quella espressione a metà fra l’imbronciato e il folle, mi fa paura. Per questo lo tengo chiuso nella camera dove lo vidi per la prima volta, a chiave, gli lascio da mangiare del pesce ogni tanto, lo predilige, ma vuole di più, vuole la carne… La mia carne.
Avevo preso uno di questi piatti svuotati con voracità per andare a buttarlo via. Mi fa paura quel tizio, quanto mangia. Intanto la mia unica distrazione fece capolino dalla cucina. Era Leo, il gatto di casa e l’unico altro essere vivente oltre a me. E lui… Vivo, è l’unico pregio che può avere un’esistenza così abietta, vivere. Mi distrassi un po’ con quello splendido soriano nero che era Leo. Gli tirai la palla pazza, che aveva il potere di far impazzire anche lui. Saltava di qua e di là, tirava una zampata alla sfera che quindi proseguiva nella sua corsa. Andava avanti per un tempo incredibile, spaziando per tutta la casa. Questa volta, però passò davanti alla porta che doveva stare sempre e comunque chiusa, la porta dietro la quale stava lui. Presi la pallina, e quindi la zampata. Mi lasciò tre lunghe strisce sulla mano destra. Sentii quel coso dall’altra parte ridere mentre io urlavo di dolore. A quel punto l’odio che provavo per quell’essere generò un gesto estremo.
Il giorno dopo preparai un piatto enorme di carne e la avvelenai, dovevano essere gli ultimi giorni di infestazione della Terra da parte sua. Gli portai il piatto e lo vidi un’altra volta, sicuro che fosse l’ultima. I suoi lineamenti, confusi dai peli sparsi un po’ ovunque sul viso, erano più scuri del solito, come se mi stesse nascondendo qualcosa. Gli lasciai il piatto, sollevato in cuor mio di poter porre fine così all’esistenza di ciò che questo mondo ha ospitato meno volentieri di chiunque. Passai un paio d’ore nella spensieratezza più assoluta, non mi importava di nulla, ero solo felice. Non c’erano più preoccupazioni, e per un paio d’ore non mi preoccupai di nulla, nemmeno della sospetta assenza di Leo. Quindi cominciai a cercarlo. Non era nel salotto dove stavo e dove dormivo, non nel corridoio, non in cucina dove il veleno era ancora vicino alla pentola, non in bagno dove ogni tanto lo pescavo nel tentativo di bere l’acqua del water. Avanzava solo la porta chiusa. Entrai, ormai il veleno doveva avere fatto effetto. Il piatto era vuoto. Leo era lì, stava esalando il suo ultimo respiro. Aveva mangiato il piatto di carne. Lui gliel’aveva fatto mangiare. Colpii lui, e allora la verità si infranse. L’essere che mangiava ciò che lasciavo nel piatto era sempre stato Leo, e io l’avevo ucciso. L’essere abietto, l’indegno, la bestia. Ero io, e i frammenti di specchio caddero sotto il mio colpo, scoprendo la verità. Ero ciò che odiavo di più. Resomi conto di ciò, caddi.
E non mi rialzai.
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Avevo ragione all'inizio, vero?