Nel sedicesimo anno del conflitto che oppose per quasi trent’anni, dal 431 a.C. al 404 a. C., le due principali città-stato greche, Atene e Sparta, gli Ateniesi fecero una spedizione contro l'isola di Melo, colonia spartana che era rimasta neutrale. Ma prima di dare parola alle armi, gli Ateniesi proposero agli abitantii di Melo di sottomettersi senza combattere, vista la maggior forza degli Ateniesi e l'impossibilità che Sparta ad intervenire per tempo in loro aiuto. Al rifiuto dei Meli, l'isola venne conquistata (416 a. C) dopo un lungo assedio, al termine del quale, scrive Tucidide, "gli ateniesi uccisero tutti i maschi adulti caduti nelle loro mani e resero schiavi i fanciulli e le donne". Il dialogo che precede l'intervento militare degli Ateneisi, è una costruzione di Tucidide:
"ATENIESI: Orbene, per quanto ci riguarda noi non faremo un discorso lungo e poco convincente, ornato di parole affascinanti, sostenendo che è giusto per noi avere un impero perché abbiamo sconfitto i Persiani, oppure che ora esercitiamo il diritto di rappresaglia perché abbiamo subito un torto; così come non consideriamo un vostro diritto pensare di persuaderci sostenendo di non avere partecipato con noi alle spedizioni perché siete coloni degli Spartani, oppure che non ci avete fatto alcun torto; riteniamo invece legittimo cercare di ottenere quello che è fattibile in base alle vere intenzioni che ciascuno di noi ha, perché come noi anche voi sapete che nel linguaggio umano il diritto si giudica a parità di condizioni, altrimenti i potenti fanno quello che possono e ai deboli tocca dichiararsi d'accordo".
MELI: Almeno come giudichiamo noi (infatti è inevitabile, dato che voi, messo da parte il diritto, avete posto così come base della discussione l'utile), è utile che voi non distruggiate il bene comune, ma che a chiunque, ogni qualvolta si trovi in pericolo, venga assicurato ciò che è conveniente e giusto, e che se anche non riesce a persuadere esattamente uno possa ricavare qualche vantaggio. E questo è tanto più nel vostro interesse in quanto, se foste sconfitti, sareste d'esempio agli altri per la tremenda vendetta cui andreste incontro.
ATENIESI: Ma a noi, anche se il nostro impero dovesse essere smantellato, non ci fa paura la sua fine; perché non sono quelli che dominano gli altri, come gli Spartani, che rappresentano in quanto tali un pericolo per i vinti (e tuttavia questa non è una lotta contro gli Spartani), ma sono piuttosto i sudditi se attaccano e sottomettono da soli quelli che li dominano. Ma lasciate a noi di correre questo rischio; piuttosto vi mostreremo che siamo qui per sostenere il nostro impero e che ora faremo le nostre proposte per la salvezza della vostra città, perché vogliamo dominarvi senza fatiche e conservarvi sani e salvi nel vostro e nel nostro interesse.
MELI: E come potrebbe essere utile per noi essere schiavi, come è utile per voi dominare?
ATENIESI: Perché voi invece di subire le estreme conseguenze diventereste sudditi, e noi ci guadegneremmo a non distruggervi (...).
MELI: Anche noi - siatene certi - pensiamo che sia difficile competere con la vostra potenza e con la fortuna, se essa non sarà imparziale; malgrado tutto abbiamo fede che non soccomberemo per la fortuna che dipende dalla divinità, perché rispettosi degli dei ci opponiamo a degli ingiusti; e che alla deficienza del nostro esercito supplirà l'alleanza degli Spartani, che sarà obbligata a correre in nostro aiuto se non altro dalla comune origine e dal senso dell'onore. Sicché il nostro ardire non manca di ragionevolezza del tutto.
ATENIESI: Quanto ai buoni sentimenti verso la divinità, nemmeno noi supponiamo che ci siano venuti meno. Giacché con le nostre richieste o con le nostre azioni non facciamo assolutamente nulla che contrasti con la credenza degli uomini nella divinità né con la loro volontà di decidere il proprio destino. Perché siamo convinti che tanto l'uomo che la divinità, dovunque hanno potere, lo esercitano, l'uno apparentemente, l'altro visibilmente e per sempre, per un insopprimile impulso della natura. E non siamo noi che abbiamo imposto questa legge, né siamo stati i primi ad applicarla quando già esisteva. Essa esisteva quando noi l'abbiamo ereditata ed esisterà in eterno quando noi la lasceremo in eredità, e dunque l'applichiamo consapevoli che anche voi, come altri, agireste esattamente come noi se aveste la nostra stessa potenza. E dunque, in rapporto alla divinità abbiamo buoni motivi per non temere di essere svantaggiati; per quanto riguarda invece il vostro giudizio nei confronti degli Spartani, che vi fa confidare che essi accorreranno in vostro aiuto per senso di onore, ci felicitiamo per la vostra ingenuità ma non invidiamo la vostra incoscienza. Il fatto è che gli Spartani dimostrano coraggio soprattutto quando si tratta di loro stessi e delle istituzioni in vigore presso di loro; ma quando si tratta di altri, sebbene si potrebbero addurre moltissimi esempi di come essi si comportano, tuttavia riassumendo si potrebbe dimostrare che, nel modo più evidente fra quelli che conosciamo, essi considerano bello ciò che è gradito e giusto ciò che è utile. E un simile modo di pensare non è davvero quello che ci vuole per la vostra salvezza tuttora improbabile".
gli ateniesi non vi ricordano nessuno?