Spedizione punitiva
Il Capogruppo Dervaak sibilò il suo disappunto per gli ordini che stava ricevendo ma non vi si oppose: nonostante il contatto mentale con i suoi superiori fosse così tenue da risultare poco più di un sottofondo, milioni di anni di evoluzione selettiva lo costringevano ad obbedire a quegli ordini. Se avesse rifiutato, le spore impiantate nel suo corpo avrebbero inondato i suoi ricettori neurali di sgradevoli sensazioni; se avesse perdurato nel rifiuto, le spiacevoli sensazioni sarebbero state sostituite da atroci dolori e, se ancora si fosse opposto, le spore avrebbe rilasciato nel suo corpo svariati tipi di tossine in grado di ucciderlo in modo lento e doloroso.
Dervaak avvertì solo un leggero senso di nausea prima di decidersi ad ubbidire agli ordini: prese la sua squadra, un gruppo di larve appena infettate dalle spore e si diresse verso il campo di battaglia. Poco lontano, proprio di fronte a loro, le deboli creature che si opponevano alla loro inevitabile distruzione si stavano organizzando per respingere anche quell'attacco.
Dervaak non riusciva a comprendere la cieca ostinazione che le guidava: spesso si chiedeva se anche loro non avessero delle spore all'interno del corpo in grado di spronarli ad ubbidire agli ordini dei loro superiori.
Dovette concludere che non poteva essere: da quello che avevano appreso e che stavano ancora apprendendo su quelle creature, sembrava che nessuna spora germogliasse nei loro corpi. Nemmeno le spore portate dalla sua razza riuscivano a crescere facilmente in quegli organismi flaccidi e deboli: sono una creatura su cinque veniva contagiata dalle spore, mentre un terzo di questi moriva quasi subito a causa delle sostanze che le spore iniettavano nei loro corpi.
Anche gli umani, che la sua razza ben conosceva avendoli combattuti a lungo su altri mondi, erano refrattari alle spore, anche se meno delle altre subrazze. Questo faceva ritenere che gli umani di quel mondo fossero “speciali”, forse perché cresciuti per generazioni a contatto col campo energetico che avvolgeva quel pianeta.
Quel mondo era complicato e non sarebbe stato facile conquistarlo, questo i suoi superiori l'avevano sempre temuto: tuttavia, la realtà aveva superato ogni loro pessimistica previsione. Quel mondo era dannatamente difficile da conquistare e le razze che lo abitavano non si sarebbero assoggetate facilmente all'impero Mordrak.
Uno dei motivi per cui si trovava lì in missione era appunto per dare una lezione alle patetiche creature che abitavano quel mondo: con una rapida avanzata si erano impadroniti di tutta la regione, fatta eccezione per una grande città fortificata che sorgeva alla confluenza di due fiumi. Fosse toccato a Dervaak decidere, avrebbe inondato la città di spore per decimare la popolazione e fiaccarne la resistenza, ma i suoi superiori volevano numerosi schiavi da controllare per le future conquiste e volevano conquistare la città senza danneggiare troppo la popolazione.
Per questo una delegazione di Mordrak era stata inviata in città per parlamentare con i suoi difensori: i suoi superiori pensavano che se fossero riusciti a convincere i governanti che ogni resistenza era vana e se avessero permesso a loro e le loro famiglie di ritirarsi in un luogo più sicuro, avrebbero ottenuto la vittoria senza combattere.
L'alternativa era la morte per loro e la maggior parte dei cittadini.
Vincere senza combattere era un controsenso per Dervaak, ma a lui era stato ordinato di agire in questo modo e non poteva sottrarsi al suo dovere: lui avrebbe accompagnato la delegazione di Mordrak nella città e li avrebbe difesi contro ogni aggressione.
Assieme a lui vi erano dei giovani Mordrak – alcuni erano appena delle larve! Pensò con disappunto – che lo accompagnavano in quella difficile missione. I giovani erano pieni di entusiasmo e inesperti, quindi avrebbe dovuto tenere d'occhio anche loro in quella già delicata e complicata missione.
Dervaak espresse il suo disappunto con un grugnito, ma quando fu in vista delle mura della città ripiegò le ali accanto al suo corpo – un bel corpo che una volta era appartenuto ad un dragone e che ora era diventato una colonia di spore – e assunse la forma umanoide che avrebbe mantenuto nella città per tutta la durata delle trattative: così fecero tutti gli altri Mordrak e dopo alcuni minuti si apprestarono ad entrare nella città.
Il Capitano Welyn lasciò partire un fischio quando vide la lunga fila di Mordrak che stava entrando in città.
“Eccoli lì, i mostri di cui tanto si parla. Visti da qui non sembrano pericolosi”.
Da lontano non avevano un aspetto così minaccioso: sembravano per lo più umani ed elfi misti a qualche nano, tutti però mantenevano un'andatura strana, come se avessero difficoltà a camminare o se avessero imparato da poco.
“Non lasciarti ingannare dal loro aspetto innocuo” gli disse il Colonnello Gardick. “Li ho visti io stesso combattere e sono avversari temibili: uno di loro fece a pezzi tremila dei nostri prima di essere ucciso”.
Welyn non riusciva ad immaginare cosa potesse fare a pezzi tremila Lame d'Argento, ma se lo diceva il Colonnello Gardick c'era da scommetterci che le cose erano andate esattamente in quel modo. Il suo anziano superiore ne aveva viste tante di battaglie stando a quel che si raccontava su di lui: sembrava che si fosse distinto nelle ultime due guerre contro i Mezzorchi e gli Elfi, tanto da essere decorato più volte come eroe di guerra.
In quel momento, però, la sua missione consisteva nell'impedire in tutti i modi che quella città cadesse nelle mani degli invasori scesi dal cielo. Se questo fosse accaduto, l'intera regione sarebbe caduta in mano a quei mostri.
L'esercito dell'Alleanza resisteva eroicamente su tutti i fronti di quella guerra, ma la situazione peggiorava di giorno in giorno. Prima c'era stato l'attacco di quelle creature: il cielo si era oscurato per settimane e ancora adesso era coperto da spesse nuvole nere, poi le principali città degli umani e alcune degli elfi erano state distrutte dai macigni infuocati che cadevano dal cielo, uccidendo la maggior parte dei soldati che avrebbero potuto combattere in quella guerra. Solo i nani non avevano riportato grosse perdite grazie al fatto che costruivano le loro città nelle montagne, ma anche loro erano in difficoltà contro gli invasori che, ironia della sorte, sembravano apprezzare molto i cunicoli e le caverne scavate dai nani e ne facevano le loro tane.
Gli invasori stavano ora avanzando in quella regione e avevano intenzione di occupare la città di Sorhan e farne la loro base per le future conquiste: l'intento era abbastanza chiaro, ma stranamente la città non era stata attaccata direttamente né posta sotto assedio. Gli invasori volevano conquistarla intatta e senza versare né il loro sangue né quello dei nemici. O almeno non volevano versare troppo sangue nemico.
Volevano la popolazione, pensò con raccapriccio Welyn. Ormai quasi tutti sapevano che quelle creature emettevano delle spore che, se respirate a lungo, potevano uccidere un uomo, oppure trasformarlo in un loro servo. Girava voce che interi eserciti fossero stati sterminati e asserviti in quel modo e tutti i comandanti erano riluttanti a battersi contro qui mostri. In ogni caso lì non si sarebbe combattuto, almeno non subito.
I comandanti dell'Alleanza erano concordi nel voler tentare la via diplomatica con le autorità di Sorhan: speravano che esse non si sarebbero arrese agli invasori e che avrebbero resistito, impedendo loro di conquistare la città. Era una speranza tenue, che era a sua volta legata ad un filo sottile come i capelli di una fanciulla elfica, ma bisognava almeno tentare. Se non avessero avuto successo, le conseguenze sarebbero potute essere disastrose.
I comandanti dell'Alleanza agli ordini di Gardick si avviarono, chi a piedi, chi sulla sua cavalcatura, verso la città: li attendeva un duro negoziato da condurre fianco a fianco agli invasori e, comunque andasse, sapevano che avrebbero dovuto combattere una battaglia disperata...