Wiald
In un tiepido pomeriggio romano di fine estate, domenica scorsa, mi sono ritrovata immersa in una discussione sulle “origini”, ossia il principio delle cose, il loro momento iniziale, il problema della loro formazione, la derivazione, la provenienza, la discendenza, il punto di partenza di tutto ciò che è al mondo. Il ragionamento era generale, inerente al concetto stesso di origine, ma presto ho perso il filo del discorso e mi sono persa nei miei pensieri, ritrovandomi a rimuginare sull’origine dell’amore, e sono arrivata ad una conclusione: è il bacio, l’incontro leggero o prepotente delle labbra, che ci inizia alle gioie dell’amore.
Possiamo credere di amare qualcuno sino allo spasimo, tormentarci o bearci di pensieri romantici, giurare amore eterno e vivere nel sogno dell’altro, camminare su marciapiedi di soffici nuvole o passare tra le fiamme di un inferno terrestre, ma solo quando finalmente baciamo capiamo cosa è l’amore, e soprattutto sappiamo se il nostro è amore. E’ come se il bacio mantenesse una promessa: se nello sguardo degli amanti c’è la promessa dell’amore solo nel bacio c’è la certezza: quando gli sguardi si incontrano si stabiliscono i prodromi di un rituale, un approccio, un incantesimo, ma è il bacio a stabilire la vera alchimia, a lanciare l’incantesimo di 2 bocche prese l’una dall’altra, e poiché è con la bocca che noi diciamo tutte le nostra parole, il silenzio a cui gli amanti sono costretti dal bacio è la loro sottile certezza di un’assoluta verità.
Non scopro niente, lo ha già scritto Rostand nel suo “Cyrano”: “Ma poi cos’è un bacio? Un giuramento fatto un poco più a presso, un più preciso patto, una confessione che sigillar si vuole, un apostrofo rosa tra le parole t’amo”.