Patriottismo! - Pag 3
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Discussione: Patriottismo!

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  1. #31
    Bannato L'avatar di Raging Bull
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    Citazione Gargoyle
    Caro Botolo, tu, come me e chiunque altro, sei nato nel tuo paese per caso. Spiegami perchè dovrei essere smodatamente attaccato al mio. Posso essere legato alle persone che vi ho incontrato, alla cultura italiana, ma se vi sono legato è per scelta, non perchè casualmente sono nato qui e mi sono autoimposto di amare le tradizioni di questo paese. Tra l'altro, non sono neppure di origini italiane, ma non permetto che la mia eredità genetica od il posto in cui sono nato mi trasformino in un mentecatto senza cervello che adora una bandiera senza motivo.
    Un consiglio: guardati Orizzonti di gloria di Stanley Kubrik
    Non cercare di sprofondare nella metafisica - cause prime delle cose - e segui il buon Socrate, non pensarci troppo, sei nato qui o lì, ne tu, ne lui, ne io sappiamo il perchè: è così e basta.

    io sono attaccato alla bandiera italiana, difendo il mio stato, anche in guerra se necessario, questo mio patriottismo deriva dal fatto che non permetto, ne permetterò a nessuno ti torcere un capello a qualcosa che è mio per definizione. Ma se tu ti trovi meglio con Chirac, accomodati.

  2. #32
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    Citazione Botolo
    Probabilmente avranno già fatto un 3ad sul tema,ma sinceramente nn me lo ricordo! xcui:nn capisco xkè ormai quasi nessuno(soprattutto dei miei coetanei)ha un minimo di amore x la patria?dov'è finito quel fervente patriottismo tipico del Foscolo?solo xkè la patria nn offre gloria,rikkezza e orgoglio la si abbandona?beh a questo punto vorrei ricordare una delle poke cose giuste dette dagli americani:nn kiedere cosa la patria puo fare x te,ma kiedeti cosa puoi fare TU x la patria! un pò troppo altisonante?forse,ma secondo me vera,è il popolo ke fa grande uno stato.A questo punto ditemi:xkè nn siete patriottici?
    Io SONO patriottico ed è un vero peccato che adesso questo patriottismo si sia perso.
    TI HO ALZATO LA COPPA IN FACCIA !

  3. #33
    uno di passaggio L'avatar di Wiald
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    Citazione Jack89
    Se godiamo di certi servizi, se godiamo di certa sicurezza, se godiamo di una certa importanza lo dobbiamo alla nostra patria.
    se possiamo usufruire di un certo numero di servizi non dipende dalla quantità di amor partio in ogniuno di noi, dipende dal fatto che paghiamo le tasse.

    Citazione Jack89
    E fai bene, però un minimo di patriottismo lo richiedo
    eh, ma non è detto io abbia voglia di dartelo.

    Citazione Jack89
    L'Italia intesa come repubblica si, siamo di recente costituzione, anche se comunque 57 anni non sono pochini. Però cerchiamo di andare oltre la fiscalità, già una prima forma di Italia unita la si è vista durante l'Impero Romano, sennò è dai tempi dell'Unità di Italia che esistiamo, e sono circa 150 anni. Insomma, proprio di recente costituzione non siamo.
    a dire il vero 150 non sono molti dal punto di vista storico, soprattutto se li confronti con la storia millenaria di nazioni come L'Inghilterra o la Francia.

    Citazione Jack89
    Si è vero, e persiste anche una certa rivalità (roma contro milano, nord contro sud, pisa contro firenze e via dicendo) però credo che in fondo tutti ci sentiamo italiani. Sono davvero pochi coloro che dicono di non sentirsi italiani, bensì milanesi, romani, genovesi eccetera. Magari lo dicono in occasione di una partita, ma in realtà quasi tutti si sentono italiani. Basti vedere in occasione del 2 giugno quante manifestazioni e quanta gente c'è, oppure durante i funerali di Stato, o ancora durante elezioni di livello nazionale. Credo che la tua affermazione sia da rivedere, non nego che certe persone esistano, ma credo che siano in netta minoranza.
    io non ho parlato di persone che dicono di non sentirsi italiani, ho detto che gli italiani si sentono più cittadini di questa o quella città che appartenenti alla nazione italiana, e la ragione è appunto da ricercarsi nella Storia.
    in questo senso l'attuale Presidente della Repubblica si è impegnato molto per infondere amor partio negli Italiani.
    qualche mese fa si è svolto sule pagine del Corriere e di Repubblica un Interessante dibattito a seguito di un viaggio di Ciampi a Cefalonia, ed alla successiva intervista concessa da Ciampi a Mario Pirani. al dibattito hanno partecipato anche Eugenio Scalfari[Rep], Galli della Loggia[CorSera], Giorgio Bocca[Rep] e lo stesso Ciampi:

    "Ecco la mia idea di patria"
    Ciampi: a Cefalonia nacque l'Italia libera dal fascismo
    MARIO PIRANI

    roma - "Non ho mai capito cosa intendano i teorici della "morte della Patria", che indicano nell'8 settembre la data di questo lutto senza ritorno. A sentir loro la Patria, l'idea di Patria, che allora sarebbe stata travolta, non è mai risorta. E noi cosa saremmo, dunque, oggi: italiani, cittadini senza patria? Certo, ogni storico può pervenire alle deduzioni che vuole. Ma se pone un quesito di quel genere deve anche giungere ad una conclusione e, soprattutto, non può ignorare eventi come Cefalonia. Come ho detto rivolgendomi idealmente ai Caduti della Acqui: "Decideste consapevolmente il vostro destino. Dimostraste che la Patria non era morta. Anzi, con la vostra decisione, ne riaffermaste l'esistenza. Su queste fondamenta risorse l'Italia"".
    Ciampi è nel suo studio al Quirinale, appena sceso dall'aereo che lo ha portato in quell'isola dove morirono trucidati 6500 soldati italiani della Divisione Acqui che avevano respinto l'intimazione alla resa e si erano battuti contro le forze tedesche, preponderanti soprattutto per l'appoggio aereo e navale, di cui i nostri erano del tutto privi. Poiché sull'episodio avevo scritto nel passato alcuni articoli il Presidente accetta, non una intervista, ma di parlarmi dei sentimenti e delle ragioni che lo hanno mosso.
    Facciamo assieme quasi una esegesi del discorso che ha pronunciato, un discorso inusuale, redatto di suo pugno e privo, persino, degli abituali preamboli e saluti iniziali ai presenti. No, questa volta, quasi si trattasse di un attacco sinfonico, il Presidente è entrato subito nel vivo, con tre frasi d'empito beethoveniano: "Decisero di non cedere le armi. Preferirono combattere e morire per la patria. Tennero fede al giuramento".
    A conferma del climax Ciampi si sofferma a descrivere le ore che ha passato, in compagnia anche del Presidente ellenico, fra i drappelli in armi, greci ed italiani, la folta rappresentanza di reduci e partigiani, davanti al cippo ricordo, nei luoghi dei combattimenti, alle fosse comuni e in mare, sulla tolda della Garibaldi, in una mattina che sembrava venuta giù da una scenografia da melodramma epico, "tra squarci di sole, scrosci di pioggia, fulmini, raffiche di vento". Eppure, ripercorrendo il discorso, è possibile leggere in trasparenza i raccordi evidenti tra suggestioni emozionali e autentica passione politica, nel senso alto del termine.
    Un discorso di Capo dello Stato ma anche un discorso personale, del cittadino Ciampi, del giovane militare di allora, venuto oggi, ormai ottantenne, a rievocare "quelli che ci furono compagni della giovinezza". E me lo dice esplicitamente: "Questa volta ho proprio parlato di quello che ho in cuore da una vita". Così la conversazione spazia tra la rievocazione generazionale, che accomuna il cronista e il Presidente, e il perché delle scelte di allora che lo affratellarono in "un uguale sentire" non solo ai soldati di Cefalonia, ma a quelli che "nell'Egeo, in Albania, in Corsica, in altri teatri di guerra, nei campi d'internamento si rifiutarono di piegarsi e di collaborare, mentre le forze della Resistenza prendevano corpo sulle nostre montagne, nelle città." E, per significarmi il valore che attribuisce al comportamento dell'Esercito mi mostra il libro che gli ha inviato Alessandro Natta, ex segretario del Pci, su "L'altra resistenza" (editore Einaudi), dedicato ai seicentomila militari internati dai tedeschi che rifiutarono di aderire a Salò.
    Ma non si tratta dell'abbandono di un vecchio reduce all'onda commovente del ricordo. No, qui è anche il Ciampi di oggi che ripropone una periodizzazione della storia patria: "Quella scelta consapevole fu il primo atto della Resistenza di un' Italia libera dal fascismo".
    Quindi non solo patrimonio del movimento partigiano ma di un arco assai più vasto che poggiò, dal primo giorno, su una parte nient'affatto trascurabile delle Forze armate, su "noi che portavamo la divisa, che avevamo giurato e che volevamo mantener fede al nostro giuramento e che ci trovammo d'improvviso allo sbaraglio, privi di ordini, in un travaglio causato dal colpevole abbandono". In proposito, nella nostra conversazione, il Presidente ci tiene a soffermarsi sull'otto settembre, dando, a differenza di molti e in polemica con quanti sostengono che con la fuga di Pescara il re avrebbe tradito il Paese (un altro dei punti su cui poggia la tesi della morte della Patria), un giudizio positivo sul fatto che la Corona abbia "assicurato la continuità delle istituzioni rifugiandosi in un territorio liberato dalla presenza tedesca. Il che permise al governo Badoglio di dichiarare guerra alla Germania, all'Esercito di ricostituirsi e partecipare al conflitto. E poi, con il cadere della pregiudiziale antimonarchica grazie all'iniziativa di Palmiro Togliatti, di costituire, con la partecipazione dei partiti antifascisti, prima il secondo governo Badoglio, poi, con la liberazione di Roma, il governo Bonomi, quindi, dopo il 25 Aprile, il governo Parri. Tutte tappe che segnano la continuità delle Istituzioni e della Patria. La condanna dei Savoia e di Badoglio resta senza scusanti per il modo con cui operarono, lasciando senza ordini e all'oscuro i comandi, senza guida l'Esercito e la Marina di fronte al prevedibile attacco tedesco. Basta pensare all'affondamento della corazzata Roma dove morirono 2000 uomini e l'ammiraglio Bergamini, capo della nostra flotta, fino a poche ore prima ignaro dell'armistizio".
    Eppure, passato il primo momento di smarrimento, non solo molti, come Ciampi, furono in grado di orientarsi, guidati "dal senso dell'onore e dall'amor di Patria", ma essi furono sorretti dall'appoggio diffuso delle popolazioni nelle città e ancor più nelle campagne. Anche su questo punto l'insistenza non è pleonastica ma vuole sottolineare che la Resistenza non è riducibile, come tenta di presentarla la vulgata neorevisionista, ad un fatto minoritario riguardante solo il partigianato combattente, ma un vastissimo movimento che coinvolgeva nei sentimenti, e spesso nella concreta solidarietà, la maggioranza degli italiani. "Ricordo, solo per fare un esempio fra i tanti, che quando ero rifugiato a Scanno, un piccolo paese abruzzese in provincia di Sulmona, in attesa di passare le linee, nascosto con me vi era un ebreo romano, Beniamino Sadun, ma, mentre paventavamo l'arrivo di tedeschi o di repubblichini, nessuno temeva una spiata di qualcuno degli abitanti, tanto vivo era il sostegno che sentivamo attorno a noi. Del resto lì vicino passava quello che veniva chiamato il sentiero della libertà, un impervio passaggio attraverso il massiccio della Maiella, da dove tanti prigionieri angloamericani transitarono con l'aiuto dei nostri contadini. Di lì passai anch'io per riandare ad indossare la divisa nell'esercito dell'Italia libera. Spero di tornarci fra qualche mese ad una cerimonia di commemorazione che si sta organizzando".
    Il riaffiorare dei ricordi segue un filo ideale: l'amor di patria si è radicato nella nostra generazione dall'"aver maturato i valori e le gesta del Risorgimento". Anche a Cefalonia Ciampi ha voluto ripeterlo: "La fedeltà ai valori nazionali e risorgimentali diede compattezza alla scelta di combattere". E'evidente che non si tratta di un cedimento alla retorica ma di un richiamo politico ai vincoli fondativi dell'unità nazionale, proprio quando essi vengono messi in discussione dall'oltranzismo leghista, comunque camuffato, e dal revisionismo dell'ala integralista cattolica che al convegno di Rimini di Comunione e Liberazione ha contestato i valori del Risorgimento, rilanciando la critica clericale e sanfedista all'unità d'Italia.
    Un altro punto da valutare nel discorso di Cefalonia è la componente antifascista, anche in questo caso ben pertinente e non certo di scontato ossequio al "politicamente corretto". Per contro un richiamo a non confondere la pacificazione degli animi con il giudizio storico e con una specie di parificazione tra Salò e Resistenza: "In quell'estate del 1943 divenne chiaro in noi che il conflitto non era più fra gli Stati ma fra principi, fra valori. L'inaudito eccidio denota quanto profonda fosse la corruzione degli animi prodotta dall'ideologia nazista. Non dimentichiamo le tremende sofferenze della popolazione di Cefalonia e di tutta la Grecia, vittima di una guerra di aggressione". Con queste frasi, mi dice poi Ciampi, "ho voluto ricordare che la rottura dell'Italia col fascismo non si è prodotta l'8 settembre ma il 25 luglio, quando Mussolini venne defenestrato; in secondo luogo quale separazione, anche etica, passasse tra le forze in lotta; in terzo luogo, il carattere aggressivo che caratterizzava il fascismo. Questo non vuol dire coltivare gli odi. Proprio nei giorni scorsi una mia vecchia allieva (dopo la Liberazione feci per due anni l'insegnante) mi ha detto che ancora rammentava una lezione in cui auspicavo che la nuova Italia non si lasciasse trascinare nella spirale della vendetta. Mi viene, anzi, in mente ora un incontro in treno nel 1945 con un mio ex compagno di scuola. Gli dissi che ero andato ad arruolarmi al Sud, con l'esercito di Badoglio. Lui mi confessò di essere stato con le brigate nere. Convenimmo che per fortuna non ci eravamo incontrato in quei frangenti e ci stringemmo in un abbraccio".
    Il Presidente va ancora indietro nei ricordi e conviene sul favore della sorte che lo portò molto giovane, poco più che sedicenne, alla Normale di Pisa dove ebbe come maestri uomini quali Luigi Russo, grande critico letterario e fra i maggiori esponenti dello storicismo, il filosofo Guido Calogero, fondatore del movimento liberal socialista, che confluirà nel partito d'azione e il marxista Cesare Luporini, filosofo della scienza: "Fu una stagione di formazione culturale e politica, ad un tempo. Poi ci fu la guerra ed io mi trovai nel ‘42 sottotenente in Albania. Solo per un permesso fortuito non fui colto dall'armistizio laggiù. Nel migliore dei casi avrei raggiunto i partigiani, come fecero tanti miei commilitoni, con in testa il nostro comandante, il tenente colonnello Mosconi, un nazionalista monarchico, seguace di Federzoni, che cadde combattendo contro i tedeschi. Dopo l'8 settembre con Furio Diaz (uno storico che diverrà anche sindaco comunista di Livorno) ci interrogavamo su come metterci in contatto con la resistenza. Venni a Roma, a casa di mio zio, il padre della scrittrice Paola Masino, che mi consigliava una prudente attesa, in un bell'appartamento di via Liegi 6. Non ne volli sapere e me ne andai, come ho detto, in Abruzzo, per passare le linee. Proprio a Scanno ritrovai Guido Calogero, che vi era stato confinato dal regime. Riprendemmo le nostre discussioni e gli chiedevo la ricetta per agire da antifascista senza diventare per forza comunista. Naturale punto d'approdo fu il partito d'azione. Quando arrivai finalmente dall'altra parte, a Bari, tornai ad indossare la divisa. La città era piena di fermenti. Vi era stato il convegno dei partiti antifascisti. Nelle ore libere frequentavo la libreria Laterza e m'infervoravo in discussioni con il leader azionista pugliese, poi del Pri, Michele Cifarelli, con il meridionalista Tommaso Fiore e suo figlio Vittore, ormai scomparsi. Quello, insomma, il terreno della mia iniziale formazione culturale. Questo dovrebbe anche spiegare i motivi che mi spingono a rivalutare i simboli dell'amor di patria, della continuità storica, dei valori del Risorgimento. Perché, ad esempio, ho voluto inaugurare l'anno scolastico sull'Altare della Patria - lasciamo perdere se sia bello o brutto - non ignorando che lì c'è il monumento del re che unificò l'Italia e la scritta: all'unità della Patria e alla libertà dei cittadini".
    Il presidente della Repubblica, prima di congedarmi, ci tiene a ribadire, a smentita di qualche forzatura giornalistica, che i passati governi non avevano affatto dimenticato Cefalonia: "Ci andarono e pronunciarono bellissimi discorsi sia Pertini che Spadolini. Ed anche il ministro socialista della Difesa, Lagorio. La strage era però sentita dagli italiani soprattutto come una conseguenza tragica dell'8 settembre, non come l'inizio della Resistenza. Di nuovo questa volta c'è stata la presenza del presidente della Repubblica greca. E' stato importante che si ricordasse la lotta comune condotta con i partigiani di quel paese e la nostra condanna della guerra di aggressione, intrapresa da Mussolini. E' stata una giornata di vero europeismo: in mezzo al Mediterraneo, in territorio ellenico e su una nave italiana."

    La Repubblica
    3 marzo 2001


  4. #34
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    "Lettera a Ciampi.
    Presidente, parliamo della Patria"

    di Ernesto Galli della Loggia

    Signor presidente,
    in una lunga intervista-conversazione pubblicata ieri su
    “Repubblica” , a commento del suo viaggio a Cefalonia, per rendere
    omaggio ai caduti della divisione Acqui, ella esordisce con queste
    parole: “Non ho mai capito cosa intendano i teorici della ‘morte
    della Patria’, che indicano nell’8 settembre la data di questo lutto
    senza ritorno. A sentir loro, la Patria, l’idea di Patria, che allora
    sarebbe stata travolta, non è mai risorta. E noi cosa saremmo
    dunque, oggi: italiani, cittadini senza Patria?”.
    Ebbene, come forse ella sa, capita che proprio io sia uno di quei “
    teorici” di cui lei parla (in ottima compagnia peraltro, a cominciare
    da Renzo De Felice e lndro Montanelli), che proprio io abbia
    ripescato l’ espressione “morte della Patria” da un vecchio testo di
    Salvatore Satta, per farne il titolo prima di un mio saggio, poi di un
    libro. Le cui tesi ella ha più volte, in questi ultimi tempi, contestato,
    ma forse mai con la sommaria perentorietà che ha usato in questa
    occasione e che, dunque, sollecita una risposta.
    Come comprenderà, lo faccio con un certo disagio, infatti, io
    insegno da molti anni Storia contemporanea in una università della
    Repubblica, e non avrei mai immaginato, signor presidente, di
    essere costretto, un giorno, a dover discutere i risultati della mia
    ricerca con il capo dello Stato, di dover rendere conto a lui di quei
    medesimi risultati; di doverli difendere dalle critiche della più alta
    carica politica del mio Paese.
    Ho sempre pensato e continuo a pensare, all’opposto, che in una
    democrazia non è compito dei politici — in specie di chi vi copre
    importanti ruoli istituzionali — dire la propria nel merito di complessi
    problemi storiografici, né tanto meno esprimere le proprie personali
    preferenze per questa o quella interpretazione del passato: con
    l’eventuale, ma a quel punto logicamente inevitabile, conseguenza
    di censurare, di fatto, i libri e i manuali che le divulgano.
    Ma lei è, evidentemente, convinto del contrario, signor presidente,
    e lo ha più volte dimostrato nella maniera più altisonante, come
    appunto ha fatto ieri.
    Leggendo con attenzione le sue parole, io non riesco a liberarmi dal
    sospetto, tuttavia, che ella abbia frainteso le tesi dei “teorici” che
    critica. Non le sarebbe sfuggito, altrimenti, signor presidente, quello
    che è l’aspetto centrale e decisivo della questione della “morte
    della Patria”. Che non riguarda affatto l’8 settembre, se non come
    punto di partenza analitico, ma ha come oggetto, vero e principale,
    i molti decenni che seguirono quella data: cioè il clima politico,
    ideologico, culturale che ha caratterizzato almeno mezzo secolo di
    vita repubblicana. Mi spiegherò con un esempio: lo sa, signor
    presidente, che nel volume “ ;Una guerra civile” di Claudio Pavone
    — il quale pure scrive, oggi, che Cefalonia fu “tra gli atti fondativi
    della Resistenza” — ebbene lo sa che, in quel libro di 800 pagine,
    uscito nel 1991, della strage di Cefalonia, di come essa avvenne e
    perché, non si dice nulla? Che il nome del generale Gandin e quello
    del capitano Pampaloni neppure vi sono ricordati di sfuggita?
    Ecco cosa è stata la “morte della Patria”, signor presidente. Il fatto
    che — ancora dieci anni fa — nel libro pur, per molti versi, ottimo di
    uno storico di valore, i morti dopo l’8 settembre del Regio Esercito,
    morti spesso in nome del Re, godevano di un’attenzione e
    considerazione minori (molto, molto minori: fino al silenzio) di quelli
    dei partiti antifascisti, dei morti partigiani.
    Dunque, quando nell’intervista a “Repubblica” ella chiede ai teorici
    della “morte della Patria” in qual modo essi possano ignorare eventi
    come Cefalonia, lei, signor presidente, si rivolge alle persone
    sbagliate. Ad altri va rivolta quella domanda, o meglio andava
    rivolta: dal momento che oggi anche i dimentichi di ieri, anche loro,
    hanno scoperto Cefalonia e la resistenza militare, affrettandosi a
    dargli il rilievo che l’una e l’altra meritano. Oggi, però. Controlli,
    signor presidente: vada a vedere quante volte e come è ricordata
    la strage di Cefalonia nei libri sulla Resistenza che uscivano fino a
    qualche anno fa.
    Proprio ricordando la strage di Cefalonia e quella di Porzus; via
    Rasella e il dramma del confine orientale; l’assenza del Mezzogiorno
    e la presenza di una massiccia “zona grigia”: proprio ricordando
    quanti fatti del 1943-45 siano stati poi dimenticati o
    “addomesticati” per anni, dalla vulgata corrente tutta ispirata dalla
    sinistra; proprio ricordando a quali e quante pochezze, divisioni e
    contraddizioni laceranti la Resistenza dovette in realtà assistere;
    proprio su tale base, qualcuno è arrivato a concludere che essa —
    pur con tutto l’afflato patriottico di chi vi prese parte — non riuscì,
    né poteva riuscire a produrre il radicamento, nell’ltalia repubblicana,
    di un forte sen timento nazionale, in sostituzione di quello andato
    distrutto con il fascismo e la sconfitta bellica.
    È accaduto così che, per cinquant’anni, l’ltalia sia stata una
    democrazia senza nazione, senza “patria”, appunto. Un Paese in cui
    la patria era morta. Non lo crede anche lei, signor presidente?
    Davvero lei pensa che, invece, nel nostro Paese ci sia stato un
    vero sentimento patriottico, un vero e diffuso sentimento
    nazionale? Ma — mi chiedo e rispettosamente le chiedo — da quale
    singolare spirito nazional-patriottico era animato, un Paese in cui
    metà dei cittadini ha temuto per anni di essere arrestata,
    deportata e magari fatta fuori dall’ altra metà? In cui nessuna
    scelta di politica estera è stata fatta con il consenso di tutti? Che
    “patria” era quella in cui influenze straniere hanno potuto fare quasi
    tutto ciò che volevano? Dove l’esercito e le forze di polizia sono
    stati considerati — per decenni, da molti, da moltissimi — non
    simbolo di unità bensì ; di divisione e di pericolo per la democrazia?
    Dove, dalla memoria della Resistenza, erano virtualmente espulsi i
    morti politicamente sgraditi o indifferenti al Cln, ma caduti anch’essi
    in nome dell’ltalia? E del resto, signor presidente, se per mezzo
    secolo avessimo davvero avuto una patria, se per tutto questo
    tempo ci fossimo tutti davvero riconosciuti in un inno e in una
    bandiera, animati da un vero spirito di solidarietà nazionale, se
    tutto ciò — come bisognerebbe desumere dalle sue parole — fosse
    stato vero, a che pro allora il suo lodevole sforzo, dal momento in
    cui è entrato in carica, per riaccreditare bandiera e inno,
    monumenti e sentimenti della patria? A che pro questo continuo
    parlare che lei fa di nazione e di Italia? E che senso avrebbero mai
    la novità e il merito che, per tutto ciò, l’opinione pubblica volentieri
    le riconosce, se da sempre avessimo dimestichezza con gesti come
    quelli che lei compie, con parole come quelle che lei pronuncia?
    Come italiano, penso che sia una fortuna che lei oggi possa
    compiere quei gesti e pronunciare quelle parole. È il segno che,
    forse, è finalmente finito il lungo dopoguerra ed è iniziata un’altra e
    nuova stagione ; che, caduto il comunismo, tutti i muri sono
    caduti, anche quelli che cosi a lungo ci hanno separati dalla nostra
    Patria.
    Ma tra i doveri degli storici non c’è quello di essere patriottici. Gli
    storici hanno semplicemente il dovere di studiare il passato, di
    salvarlo alla memoria ricostruendolo secondo la loro capacità e la
    loro coscienza, senza farsi influenzare dalle mode e dalle necessità
    dell’oggi, senza prestare ascolto alle suggestioni dell’ora. E
    naturalmente hanno il dovere di non farsi condizionare dalle
    polemiche aggressive di chicchessia, fossero anche le sue, signor
    presidente. Con il massimo rispetto.

    ( “Corriere della sera”, 4 marzo 2001)



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    L'ossessione della Patria negata

    EUGENIO SCALFARI

    IL professor Ernesto Galli della Loggia, che insegna storia contemporanea all'università non so se di Macerata o di Urbino e soprattutto è articolista del "Corriere della Sera" e fertile scrittore di libri e pamphlet, ha pubblicato ieri sul predetto quotidiano milanese una lettera aperta al presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. L'argomento è quello della "morte della Patria", tesi della quale il della Loggia è il più convinto e forse più noto sostenitore. La Patria, secondo lui, cioè il sentimento patriottico, la sua percezione, la sua manifestazione da parte dei cittadini con parole e comportamenti concreti sarebbe morta con il "tutti a casa" dell'8 settembre 1943. Ma questa, come lo stesso della Loggia spiega nella lettera a Ciampi, è soltanto una data di comodo, il punto di partenza della sua analisi che in realtà ha la sua compiuta dimostrazione nel cinquantennio repubblicano che ne è seguito.

    Che cosa è accaduto in quel cinquantennio che arriva fino ai giorni nostri? Molto semplice e molto chiaro per della Loggia: c'è stata in Italia un'egemonia culturale comunista, anzi della sinistra perché ai comunisti vanno affiancati i membri del Partito socialista, del Partito d'azione e quant'altri pur non comunisti o addirittura anticomunisti si riconobbero nella Resistenza e in essa videro il momento rifondativo della patria dopo il fascismo e la sconfitta. Quell'egemonia culturale impedì che il radicamento popolare dell'idea di patria avesse luogo.
    La prova di quest'assunto sta per della Loggia nel fatto che la pubblicistica repubblicana abbia ignorato, anzi sottaciuto fatti come la strage nazista dei soldati della divisione Acqui a Cefalonia perché "quei morti erano sgraditi o indifferenti" ai propalatori dell'egemonia resistenziale. Ma l'omissione di Cefalonia è soltanto un sintomo. C'è stato ben altro: "Mi chiedo scrive il Nostro da quale sentimento nazionalpatriottico era animato un paese in cui metà dei cittadini ha temuto per anni di essere arrestata, deportata e magari fatta fuori dall'altra metà? In cui nessuna scelta di politica estera è stata fatta col consenso di tutti?".
    La lettera termina bacchettando "rispettosamente" il Capo dello Stato per essersi permesso di metter bocca in un problema eminentemente storiografico e insomma d'aver criticato e "intimidito" uno storico insigne come il firmatario di quella pubblica missiva.
    ***
    Mi sono fatto alcune domande sul cinquantennio repubblicano configurato così sinistramente dal della Loggia. Non avendo io cariche pubbliche penso che l'autore di quella lettera mi permetterà di porle senza per questo sentirsi censurato nella sua attività storiografica.
    La prima domanda è proprio su quella presunta attività. C'è modo, storiograficamente intendo, di accertare scientificamente e quantificare un sentimento? Nella fattispecie il sentimento nazionalpatriottico degli italiani?
    Ebbene questo modo non esiste perché i sentimenti sono fatti individuali che ciascuno esprime come può e come vuole e mal si prestano ad essere scientificamente registrati sia per negarne sia per affermarne l'esistenza.
    La storia è sempre interpretazione dei fatti e come tale contestabile; figurarsi poi quando non si tratta di fatti ma di sentimenti. Della Loggia pensa che quel sentimento non ci sia stato, altri può pensare l'opposto. La storiografia non c'entra nulla e nulla, salvo il suo personale modo di sentire, può portare lo storico a conferma di ciò che egli, con molta presunzione, attribuisce ad una collettività di cinquanta milioni di persone.
    Seconda domanda. Metà degli italiani temeva d'esser fatta fuori dall'altra metà durante tutto il cinquantennio di cui si discute. Ne è sicuro il mittente della lettera? Quale metà aveva questo timore? O erano tutte e due le metà che temevano per la propria sorte fisica e per la propria libertà? Secondo le fantasie oniriche direi di chi pensa in questo modo cinquanta milioni di persone per mezzo secolo ha vissuto in un paese da incubo, attanagliati dalla paura di essere arrestati, deportati, scannati. Il vero lager da far invidia a quelli nazisti o sovietici sarebbe dunque stato l'Italia: un paese terrorizzato, nevrotizzato, con porte e finestre sbarrate contro gli sgherri addestrati a uccidere gli avversari.
    Questo è il paese in cui abbiamo vissuto dal 1945 ad oggi? A chi venisse a raccontarci fandonie di questo tipo si risponderebbe che la sua è una fantasia malata. Tale mi sembra l'immagine che della Loggia fornisce d'un paese ghetto di terrorizzati.
    C'è di vero che subito dopo il 25 aprile e per alcuni mesi, specie in certe zone dell'Emilia Romagna, ci furono molte vendette politiche e talune perfino private come seguiti della guerra partigiana. Furono seguiti terribili, per fortuna di breve durata. Successivamente venne il periodo dello stragismo e poi ancora quello delle Br, ma si trattò di fenomeni di natura diversa anche se drammatica. Il terrorismo, quale che ne sia il colore, è infatti cosa diversa dalla descrizione d'un paese in stato permanente di guerra civile; ce lo prova l'Inghilterra da decenni alle prese con l'Ira e la Spagna da decenni alle prese con l'Eta.
    Aggiungo che sia lo stragismo che le Br contribuirono semmai a cementare la comunità nazionale e le forze politiche in una difesa comune delle istituzioni democratiche che hanno retto ad una prova durissima e l'hanno superata.
    Potrei infine ricordare l'atteggiamento di responsabilità del Pci nel momento dell'attentato a Togliatti e la simmetrica posizione della dirigenza democristiana che seppe contrastare ogni suggestione interna ed estera a metter fuori legge i suoi avversari politici, suggestione più volte riaffiorata nel corso degli anni e più volte battuta.
    ***
    Fin qui le mie domande e, per quel che valgono, le mie risposte anche se non vanto i titoli accademici dell'egregio autore della lettera al Presidente.
    Ma voglio aggiungere ancora una considerazione. L'amor di Patria non riguarda o non riguarda soltanto il territorio o l'etnia, ammesso che esista un'etnia italiana.
    L'amor di Patria deriva da un'idea di paese. Gli ufficiali tedeschi che attentarono alla vita di Hitler avevano un'altra idea di paese; gli antifascisti italiani che condussero azioni clandestine durante il ventennio avevano un'altra idea di paese. Tutti coloro e furono moltissimi che tra il '40 e il '43 auspicarono la vittoria degli angloamericani avevano un'altra idea di paese e un'altra idea di paese avevano le popolazioni italiane di tutte le regioni quando solidarizzarono concretamente con gli ufficiali e i soldati sbandati, i prigionieri alleati evasi dai carceri fascisti, i partigiani combattenti sui monti.
    La nostra repubblica, per fortuna e malgrado le tante insufficienze e traversie, è stata fin dall'inizio una realtà democratica dove le libertà fondamentali sono state garantite a tutti. Certo, un paese segnato dalla guerra e a sovranità limitata; il che non gli ha impedito di crescere fino ad assumere un ruolo ed un peso economico e politico.
    Questo ruolo e questo "status" risultano purtroppo indifferenti oggi ad una larga parte di cittadini "impolitici", giovani per lo più. Ma questa situazione, del resto diffusa in gran parte dell'Occidente e del pianeta, non ha a che fare con i risultati storiografici realizzati dal professor della Loggia. L'egemonia culturale della sinistra non c'entra. Le radici di quell'indifferenza sono ben altre e varrebbe la pena di applicarsi al loro studio, egregio professore. Ma ognuno, si sa, è vittima delle proprie ossessioni dalle quali è molto difficile uscire.

    La Repubblica
    5 marzo 2001
    ---------------------------------------------
    Risposta a Galli della Loggia
    Io, la Patria e i doveri di testimone

    Chiarissimo Professore, non sono uno storico, non intendo sostituirmi agli storici. Ho vissuto, come giovane ufficiale di complemento, le drammatiche vicende del 1943: sono quindi, e so di essere, soltanto un testimone. Ho vissuto il collasso dello Stato; ho vissuto lo smarrimento dell’assenza di "ordini" in un momento, credo, il più tragico nella storia della nostra Italia. Come tanti altri nelle mie condizioni, trovammo nelle nostre coscienze l’orientamento: in quelle coscienze vibrava profondo il senso della Patria. Questo intendo dire con la mia testimonianza di cittadino. La mia successiva esperienza al servizio dello Stato per oltre cinquant’anni non mi consente di condividere l’opinione che per tutto quel periodo, pur così travagliato, l’Italia sia stata "una democrazia senza Patria". Come Presidente della Repubblica Italiana, sin dal primo giorno del mandato, ho ritenuto di dover esprimere con immediatezza il mio animo. Ho avvertito come spontanea risposta degli italiani un forte desiderio di riconoscersi nell’affermazione di valori condivisi. Di qui il consenso e la partecipazione a ogni iniziativa che li attesti pubblicamente, senza retorica ma con puntuali richiami a istituzioni, fatti, episodi.
    Amo la lettura dei libri di storia. Ho grande rispetto per il lavoro, documentario e interpretativo, degli storici. So quanto siano essenziali, nell’uno e nell’altro aspetto, l’autonomia di ricerca e di giudizio, la ripulsa di ogni condizionamento. Sono valori che fanno parte costitutiva dell’etica civile, sulla cui solidità si fonda la stessa unità nazionale. Non ritengo però che sia di esclusiva competenza degli storici di professione il riflettere sul passato. È da questa riflessione che ogni cittadino, e ancor più chi ha responsabilità politiche o istituzionali, deve trarre ispirazione per il proprio impegno civile, per il proprio operare. Rendere poi note queste riflessioni e valutazioni non è un atto censorio ma un atto dovuto. Vuole contribuire a tener vivo nei cittadini un forte senso della Patria. Sono lieto che Lei esprima in proposito un giudizio positivo.
    Con viva cordialità.

    CARLO AZEGLIO CIAMPI

    Corriere della Sera
    5 marzo 2001

  5. #35
    uno di passaggio L'avatar di Wiald
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    Quell'ideale che ci portò in montagna

    GIORGIO BOCCA

    IL fascismo, la guerra, la sconfitta, l'occupazione nazista, la volontà di esistere come nazione, come paese civile con la Resistenza non sono giudicabili da chi li visse e soffrì di persona come il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, come coloro che per venti mesi rischiarono la vita perché sentivano che la patria non era morta e che bisognava subito testimoniarne la sua continuità? No, pare che chi possa giudicarne sia solo uno storico revisionista come Ernesto Galli della Loggia per la ragione che lui è, come scrive sul "Corriere della Sera", "professore di storia contemporanea all'università, un teorico in ottima compagnia a cominciare da Renzo De Felice e Indro Montanelli". Davvero? E' quasi mezzo secolo che cerco di spiegare al mio collega Montanelli che la guerra partigiana ci fu e coinvolse milioni di italiani, e ai revisionisti che fu una guerra di popolo e non solo una congiura comunista

    Queste sono cose che sa benissimo chi alla guerra partigiana prese parte e che finge di ignorare chi ne discute solo ora nella vigilia elettorale in cui pare si debba sostenere che i comunisti erano degli antipatria e i partigiani di altro colore degli utili idioti.
    Noi che non apparteniamo alla corporazione dei cattedratici come il nobile Ernesto Galli della Loggia abbiamo, teoricamente, una idea vaga di cosa è la Patria, ma possiamo assicurargli che questa incerta nozione, questo immaginario legame, questa retorica illusione esiste e spinse un popolo come il nostro che odiava la guerra, a raccogliere l'otto settembre del '43 le stellette militari che l'esercito in rotta aveva buttato nel fango e a iniziare una guerra di popolo.
    Scrivere saggi revisionisti sulla guerra partigiana, inventata dai comunisti, gonfiata dalla falsa storia paracomunista, diciamo la storia di una minoranza di mezzi delinquenti che, come si legge nelle ultime sensazionali rivelazioni pubblicate con risalto anche da giornali che si definiscono antifascisti e democratici, altro non era che una cospirazione agli ordini di Mosca, e scriverlo in una vigilia elettorale in cui l'anticomunismo più beota viene usato a piene mani per giustificare il possibile ritorno al governo dei fascisti, non ci sembra una onesta revisione della storia ma il solito salto sul carro del possibile vincitore.
    Questo revisionismo che impartisce lezioni di oggettività e di autonomia ignora il fondamento della storia, o almeno il tentativo di fare una storia onesta: il contesto, il collocare i fatti nel loro tempo. Piero Gobetti viene rievocato a uso elettorale come un leninista, un sostenitore della violenza politica. Dimenticando chi viveva, come vittima, la dittatura fascista e che la rivoluzione di ottobre negli anni Venti appariva al mondo intero come una grande utopia. Come se venisse rimproverato a uno della rivoluzione francese di non aver capito l'esito imperialista di Napoleone. E, fatte le debite proporzioni, l'accusa a Bobbio e agli azionisti di essere stati nel primo dopoguerra filocomunisti come se non fosse in atto la restaurazione del vecchio Stato. Lasciamola stare la storia perfetta, riserva dei cattedratici alla Galli della Loggia. Parliamo della storia strumentale, propagandistica. Ce ne fu una che piaceva al Partito comunista? Sì ci fu. A questa storia conveniva esaltare il contributo dei comunisti alla Resistenza e mettere in ombra episodi come quello di Cefalonia in qualche modo legati all'esercito "badogliano"? Sì ci fu. Ma dedurre da episodi che appartengono alla lotta politica, alle avverse propagande, la prova che per questo la Patria era morta è perdere il senso della misura e dimenticare che l'idea della Patria è diversa e sovrastante a quella della lotta politica. Trattasi di un'idea troppo semplice per i cattedratici revisionisti. Trattasi dell'idea di cui parla una canzone popolare. "E una mattina mi sono alzato e ho trovato l'invasor". Tutto qui. L'idea che nessuno può venire in casa nostra a farla da padrone, che qualsiasi siano le nostre idee di parte può far violenza alla nostra storia, alla nostra libertà. Comunque sono rassegnato, non riuscirò mai a convincere il professor Galli della Loggia che in quell'otto settembre del '43 in cui salivamo in montagna l'idea di Patria non solo era viva ma l'unica esistente nella nostra testa di ragazzi usciti dalla dittatura: l'idea che la Patria era viva come non mai, tanto che ci convinceva a iniziare una guerra impari, una guerra senza prigionieri.

    ------------------------------------------------

    "Ma non è forse patriottismo elaborare insieme la Costituzione?"
    Rosario Villari: Ciampi ha tutto il diritto di partecipare al dibattito sulla Resistenza

    GOFFREDO DE MARCHIS

    ROMA "Sono grato a Ciampi che ha affrontato questo problema, anche da un punto di vista personale. Il dibattito storiografico è aperto a tutti, presidente della Repubblica compreso. Non è una materia riservata ai cultori professionali. Anzi, il giudizio su questi fatti dev'essere oggetto di una discussione il più ampia possibile. Francamente l'affermazione di Galli della Loggia mi meraviglia un po'". Lo storico Rosario Villari ha davanti agli occhi, nella sterminata libreria del suo appartamento, una raccolta di undici volumi curata dal ministero della Difesa: lì dentro ci sono le storie piccole e grandi dei militari italiani che aderirono alla Resistenza, che dall'8 settembre del ‘43 in poi non smarrirono il senso di Patria ma fecero una scelta. E difende non solo le valutazioni di Carlo Azeglio Ciampi, ma anche il diritto di chi è impegnato in politica a dire la sua. "C'è stato un momento in cui i rapporti tra storia e politica erano stretti. E io non lo considero un periodo negativo", dice.
    Professore, è vero che la Resistenza non "riuscì né poteva riuscire a radicare un sentimento nazionale" e che quindi l'Italia "è stata una democrazia senza nazione e senza patria" per 50 anni, come scrive Galli della Loggia?
    "È un argomento molto complesso. Il mio giudizio è che bisogna lavorare ancora molto sulla Resistenza, che le pagine da scrivere su quegli anni sono tantissime. Certamente, il movimento di liberazione è stato un fatto nazionale, che ha mobilitato forze eterogenee, che ha interessato vari strati della società e della popolazione italiana, a cominciare dai nostri militari. Ho presentato proprio pochi giorni fa un libro di Iris Origo, la moglie del marchese Origo che è un diario di alcuni aspetti della Resistenza in Val d'Orcia. Ho un altro volume della moglie del generale Armellini: è la testimonianza della partecipazione di alti ufficiali dell'Esercito alla lotta partigiana. Non solo. Anche molti monarchici hanno dato il loro contributo a quella fase. Questo per dire dell'ampiezza del movimento di liberazione".
    L'8 settembre non segnò dunque la "morte della Patria"?
    "Chi sostiene questa tesi dovrebbe portare prove maggiori delle sue convinzioni. Sono solo affermazioni, ma quali elementi hanno per farle? Elaborare in comune una Costituzione non è patriottismo? La convivenza tra chi voleva mantenere la monarchia e chi scelse la Repubblica non esprimeva un sentimento patriottico? E il fatto che di fronte al terrorismo, molto più tardi, ci sia sta una convergenza quasi assoluta tra forze politiche diverse non dà l'immagine di una nazione compiuta e consapevole? Ecco, penso che questi tre punti possano già dare una risposta agli argomenti di chi sostiene la "morte della Patria"".
    Galli della Loggia rafforza così il suo punto di vista: se un sentimento nazionale fosse esistito oggi il presidente della Repubblica non avrebbe bisogno di sottolineare continuamente il concetto di Nazione.
    "Non credo che il viaggio del presidente della Repubblica a Cefalonia dimostri che prima di oggi mancasse un nostro sentimento nazionale. Ripeto: non esistono prove del contrario. Siamo in un momento di trasformazione del sistema politico, può darsi che oggi ci sia bisogno di segnali forti, di un particolare percorso nella memoria. Il gesto di Ciampi è un fatto positivo, ma che il sacrificio di quei soldati fosse un momento alto della Resistenza io l'ho scritto già molti anni fa nel mio manuale e l'ho ripreso negli stessi termini nel più recente "Mille anni di storia": "Uno degli episodi più importanti della Resistenza avvenne a Cafalonia...". Ho avuto un amico che ha combattuto lì e che fu tra i sopravvissuti. Ho ascoltato i suoi racconti, ho sempre dato un grande peso a quel tragico episodio. Il passaggio segnato dall'armistizio va ancora approfondito e non lo dico soltanto io. Lo sostenne anche Renzo De Felice, nell'ultima parte del suo lavoro, lo hanno riconosciuto recentemente anche alcuni suoi allievi. Non va dimenticato neanche il ruolo del clero in quella vicenda. Sempre nella raccolta del ministero della Difesa si trova un intero volume dedicati ai cappellani militari. Tantissimi rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò. Andarono in montagna, rimasero con i soldati che non si schierarono con i tedeschi, posero alcune basi della ricostruzione nazionale. Dobbiamo studiare ancora. Ma come cittadino a Ciampi dico grazie per aver affrontato il problema e per averlo fatto da un punto di vista personale, con una partecipazione tanto profonda".

    La Repubblica
    5 marzo 2001

    la via per il superamento di sé è la liberazione dalle aspirazioni mediocri

  6. #36
    Utente pigro L'avatar di Italiano medio
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    Citazione Botolo
    Probabilmente avranno già fatto un 3ad sul tema,ma sinceramente nn me lo ricordo! xcui:nn capisco xkè ormai quasi nessuno(soprattutto dei miei coetanei)ha un minimo di amore x la patria?dov'è finito quel fervente patriottismo tipico del Foscolo?solo xkè la patria nn offre gloria,rikkezza e orgoglio la si abbandona?beh a questo punto vorrei ricordare una delle poke cose giuste dette dagli americani:nn kiedere cosa la patria puo fare x te,ma kiedeti cosa puoi fare TU x la patria! un pò troppo altisonante?forse,ma secondo me vera,è il popolo ke fa grande uno stato.A questo punto ditemi:xkè nn siete patriottici?



    per quanto mi riguarda l'Italia può marcire per sempre...



    se andrò in guerra lo faro unicamente per le persone che conosco...


  7. #37
    Utente L'avatar di cerberus
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    Ho un particolare affetto per la terra in cui sono nato...
    Questo è il mio patriottismo...
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  8. #38
    uno di passaggio L'avatar di Wiald
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    Citazione Botolo
    nn amo senza una coscenza la mia bandiera,sappilo! ! mi dispiace di nn risponderti con altrettante citazioni,nn mi capitato di leggere di queste frasi!io sono nato in Italia,ne ho imparato(minimamente la storia)mi son guardato dentro x kapire quali fossero i miei ideali e ho deciso di "amarla" nel bene e nel male,sicuramente anke se fossi nato in qualsiasi altra parte del globo avrei avuto un minimo di patriottismo xkè son fatto così ma nessuno mi ha mai imposto di amare l'Italia,l'ho deciso io!io penso ke dovresti mantenere vive le tue tradizioni,in qualunque stato tu sia!se proprio mi vuoi considerare un mentecatto senza cervello amante della patria,fallo pure lo preferisco al essere un mentecatto menefreghista parassita senza identità culturale!! (nn ke tu lo sia,x nn far nascere guerre personali)
    il vittimismo non aiuta a sostenere i propri argomenti, rende ridicoli.

    Citazione irriducibile87
    Io SONO patriottico ed è un vero peccato che adesso questo patriottismo si sia perso.
    neanche il nostalgicismo di quelli che auspicano il ritorno al "buon tempo andato": lo chiama chiama così chi non se lo ricorda.

    la via per il superamento di sé è la liberazione dalle aspirazioni mediocri

  9. #39
    Paladino del Nord
    Ospite
    Non mi sento italiano, ergo non sono patriottico nei confronti di una patria che per conto mio non esisterebbe nemmeno. Non voglio che la si pensi come me, ma solo che la mia opinione sia trattata e rispettata come qualsiasi altra opinione, e come io rispetto le vostre.


    Citazione Jack89
    L'Italia intesa come repubblica si, siamo di recente costituzione, anche se comunque 57 anni non sono pochini. Però cerchiamo di andare oltre la fiscalità, già una prima forma di Italia unita la si è vista durante l'Impero Romano, sennò è dai tempi dell'Unità di Italia che esistiamo, e sono circa 150 anni. Insomma, proprio di recente costituzione non siamo.
    L'i-taglia è stata fatta senza e contro la volontà popolare, con una azione militare organizzata e voluta da una sparuta minoranza di persone per demagogia, per interessi economici e per spirito di sopraffazione. L'i-taglia non è mai esistita nella storia. Essa è stata unita prima del 1860 solo sotto l'oppressione di Roma antica che aveva però anche conquistato e tenuto sotto il proprio dominio tutti i paesi mediterranei e gran parte dell'Europa occidentale: quella lontana esperienza non può costituire in ogni caso un precedente storico né una giustificazione per l'unità politica. Anche in quei giorni lontani in molti furono a combattere una guerra e una guerriglia di resistenza che è durata 4 secoli contro l'aggressione di Roma. L'unità risorgimentale è stata fatta militarmente ai danni di stati antichissimi basati su autonomie e libertà che risalivano a molti secoli addietro. Essa è stata formalmente legittimata con i plebisciti di annessione al Regno di Sardegna: a questi però ha partecipato una percentuale irrisoria della popolazione e sono stati una tragica farsa per mancanza di libertà e di segretezza. Per completare e per cementare la così detta unità si è poi combattuta una guerra che ha procurato quasi 650.000 morti innocenti. Guai a quel paese che per giustificare o formare una coscienza unitaria deve ricorrere a guerre, sangue e sofferenze per il suo popolo.


    Citazione Botolo
    Quoto! per me un patriottismo forte è ascoltare quel verso dell inno italiano ke dice:"siamo pronti alla morte l'Italia kiamò" e crederci veramente!
    Quanti altri morti innocenti dovrà chiamare l'i-taglia prima di smetterla con questo becero nazionalismo??


    Citazione Satan666
    me ne frego della patria, perchè non ha senso sentirsi parte di una nazione che ha zone che non hanno nulla a che vedere tra la loro, a momenti è diverso anche il linguaggio.
    Giusto!




    Ciao

  10. #40
    SuBOIcE
    Ospite
    Citazione Satan666
    me ne frego della patria, perchè non ha senso sentirsi parte di una nazione che ha zone che non hanno nulla a che vedere tra la loro, a momenti è diverso anche il linguaggio.
    Sante parole...

    In quanto a me, io mi sento patriottico ma non di certo verso una nazione unificata con la forza da qualche pazzoide...
    Perchè mai dovrei essere un patriota di questo schifo di paese dove da una parte ci sono i grandi lavoratori e dall'altra i mafiosi?

    Quando quei mafiosi succhiasoldi si toglieranno dalla balle con i loro paesi e i loro territori malfamati allora forse potrò pensare di accettare un nuovo stato rinnovato e spero rimpicciolito.

  11. #41
    Redattore L'avatar di pape
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    Bello vedere come tanti presunti patriottici, che addirittura esaltano il Foscolo (che si starà ribaltando nella tomba, poverino), si ostinino a usare la K e altre forme tipiche da SMS. Se questo è amare la patria (che non è solo la terra in cui viviamo, ma un'insieme di cultura, regole e stili di vita)...

    Pape

  12. #42
    Utente L'avatar di the gold
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    Citazione Botolo
    Probabilmente avranno già fatto un 3ad sul tema,ma sinceramente nn me lo ricordo! xcui:nn capisco xkè ormai quasi nessuno(soprattutto dei miei coetanei)ha un minimo di amore x la patria?dov'è finito quel fervente patriottismo tipico del Foscolo?solo xkè la patria nn offre gloria,rikkezza e orgoglio la si abbandona?beh a questo punto vorrei ricordare una delle poke cose giuste dette dagli americani:nn kiedere cosa la patria puo fare x te,ma kiedeti cosa puoi fare TU x la patria! un pò troppo altisonante?forse,ma secondo me vera,è il popolo ke fa grande uno stato.A questo punto ditemi:xkè nn siete patriottici?
    Io credo che il patriottismo come ogni altra cosa abbia sia lati positivi che negativi,è positivo sentirsi parte della propria patria e normalmente questo viene considerato un valore positivo ma prova a pensare a quante guerre si sarebbero potute evitare senza nessuno disposto a combattere per la propria nazione.Troppe volte questo valore è stato asasperato e portato all' eccesso.

  13. #43
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    Sono fiero di essere italiano, ma in questo momento l'Italia è ben lontana dal mio ideale di Patria.

  14. #44
    Shuzzy
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    Io nn sono patriota e nn lo sarò mai perchè morire x la patria l'italia cosa fa per noi? cio che abbiamo ce lo siamo guadagnati nn ce lo ha dato di certo l'italia io nn mi sento italiano se mai mi sento parte nel luogo in cui vivo

  15. #45
    Utente L'avatar di MrMush
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    NON sono assolutamente patriottico, non vedo per quale motivo mi dovrebbero stare a cuore gli italiani più di quanto non mi stanno a cuore le persone di qualsiasi altro stato.
    Nessun italiano ha mai fatto niente di particolare per me.. per cui sticazzi la patria, io penso per me e per chi mi sta a cuore..

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