[DIF] Esteri e Terrorismo: Intervista a Gianni De Michelis
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Discussione: [DIF] Esteri e Terrorismo: Intervista a Gianni De Michelis

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    boh L'avatar di Jack89
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    [DIF] Esteri e Terrorismo: Intervista a Gianni De Michelis

    Personaggio di spicco della politica italiana fin dal 1976, Gianni De Michelis ha ricoperto nel corso della sua carriera numerosi incarichi di responsabilità, tra i quali l'incarico di ministro degli Esteri dal 1989 al 1992. Segretario nazionale del Partito Socialista è attualmente membro del Parlamento europeo. A più riprese, specialmente in merito alla questione afgana prima e a quella irachena poi, ha avuto modo di esprimere pubblicamente la sua opinione, anche partecipando a numerose trasmissioni televisive. A lui Pagine di Difesa ha posto alcune domande sull'orientamento attuale della politica estera italiana nei confronti del Medio Oriente, ma anche circa le politiche europee, in particolar modo quella di sicurezza comune, e la necessità di mantenere elevato il livello di guardia per quanto concerne il terrorismo.

    C'è la percezione di un cambiamento della politica estera italiana nei confronti del Medio Oriente nell'arco degli ultimi anni, come se ci fosse stato uno spostamento nell'orientamento dal mondo arabo verso Israele. E' un fatto reale, questo?

    "Non credo sia definibile in questi termini. L'Italia ha sempre avuto un atteggiamento di grande attenzione al mondo arabo, ma anche di grande attenzione agli interessi di Israele. Anche nelle posizioni di Andreotti e di Craxi, che erano notoriamente politici italiani del passato più chiaramente schierati, per esempio sulla questione israeliano-palestinese a favore del popolo palestinese, c'è stata sempre un'assoluta fermezza nel sottolineare l'importanza che la risposta da dare alle legittime richieste del popolo palestinese non comportasse in alcun modo e in alcun momento una riduzione della sicurezza di Israele, una lesione al pieno diritto alla sovranità di Israele. L'Italia è sempre stata per una soluzione di "pace possibile", cioè una soluzione ragionata, negoziata, di compromesso che portasse alla soluzione che ormai è diventata di moda ma che noi abbiamo sostenuto con largo anticipo. La soluzione di "due popoli e due Stati". Naturalmente nell'ultima fase, negli anni soprattutto della seconda Intifada e negli anni finali della leadership di Arafat, in Italia, come in Europa, è prevalsa una tesi che ha aperto una discussione nel mondo politico e che ha visto prevalere nell'attuale governo una posizione favorevole all'evoluzione dello status quo in Palestina, andando oltre Arafat. Posizione che ho sempre condiviso pienamente. D'altra parte oggi ne abbiamo la conferma. Quando le vicende del destino l'hanno fatta andare oltre Arafat, si è vista una evoluzione positiva sul terreno e la possibilità di riprendere il processo di pace. Con Arafat e una logica di ambiguità rispetto al terrorismo fondamentalista, questo non era stato possibile."

    L'evoluzione della situazione irachena dal punto di vista europeo e i diversi atteggiamenti che in Europa si sono tenuti al momento della guerra contro l'Iraq rendono possibile e in che misura una visione promettente nei confronti di una politica estera europea e di una politica di sicurezza? In altri termini di un esercito europeo che, in questo caso, si sarebbe scontrato contro le diverse posizioni dei vari governi?

    "La politica estera europea presuppone la costruzione di una situazione di compromesso tra gli interessi nazionali dei diversi Stati che compongono l'Unione, almeno su alcuni importanti dossier. E' evidente che il principale dossier su cui può nascere una politica estera comune europea, è proprio quello del Mediterraneo e del Medio Oriente. Naturalmente si tratta di trovare questa situazione di compromesso.Questo presuppone a monte la scelta tra lo status quo e il cambiamento dello status quo. Questa è stata la grande divisione che è avvenuta in Europa in questi anni anche nei confronti degli americani. Gli americani, con la scelta in Iraq, hanno scelto con chiarezza di prendere il rischio del cambiamento dello status quo e di sfidare la proposta del cambiamento dello status quo del fondamentalismo islamico, di Al-Qaeda e di Bin Laden, cioè la costruzione di uno Stato non democratico, radical-islamico, teocratico, con l'evoluzione della situazione medio orientale nella direzione democratica. Una parte dell'Europa, guidata dalla Francia, ha rifiutato l'ipotesi di prendere i rischi del cambiamento. Quello che non si è capito nelle molte discussioni di questi anni è che la politica francese è un rifiuto delle posizioni di Bush, ma dall'indietro. Un ritorno alla logica post-coloniale o addirittura coloniale. Chirac che contesta a Bush il diritto di intervenire militarmente in Iraq è lo stesso che interviene in Costa d'Avorio secondo una logica coloniale o post-coloniale. Il fatto che gli americani abbiano tenuto duro, con l'apporto di una parte dell'Europa, in testa inglesi e italiani, nell'operazione di cambiamento dello status quo ha avuto di fatto successo in Iraq, ormai persino tra Israele e Palestina, persino in Libano e così via. Questo, ha fatto sì che l'alternativa per l'Europa non esista più. L'Europa è costretta ad allinearsi nella direzione del cambiamento dello status quo e non può opporsi, perché non ha ragione di contestare l'evoluzione che è in corso in Medio Oriente. Quindi si offre un'occasione straordinaria per riuscire a mettere a punto questa politica estera comune europea e di metterla a punto attorno all'unico connotato fondamentale di partenza che è quello della solidarietà transatlantica. Perché è evidente che una politica estera comune europea in termini di distinzione e di contrapposizione rispetto agli Stati Uniti è comunque impossibile. Di conseguenza, creandosi le premesse per una politica estera comune, se non su tutto almeno sui due dossier fondamentali come quelli del Mediterraneo e del Medio Oriente, si creano anche le condizioni per una politica di sicurezza comune, perché è evidente che la premessa della politica di sicurezza comune è una visione di politica estera comune."

    Nello specifico del terrorismo, la recente polemica sulla sentenza di Milano a proposito della definizione "terroristi-guerriglieri" ha riaperto la questione sulla mancanza di una definizione condivisa e su un approccio multilaterale a proposito della terminologia a livello semantico. Noi oggi ci troviamo a contrastare una "guerra al terrorismo", che però spesso assume altre sfumature. Qual è il confine tra guerriglia e terrorismo?

    "La discussione è in buona parte semantica, e l'Italia come sempre si appassiona alle discussioni inutili come questa. In realtà è una discussione che esiste da molto tempo. Nell'Ottocento, in tutte le guerre di liberazione nazionali, la potenza verso cui i movimenti di liberazione nazionali si rivolgevano definiva terroristi, banditi coloro che si battevano. La realtà vera è che probabilmente l'errore è stato commesso in questi anni dagli americani quando hanno parlato di "guerra al terrorismo". E' una guerra al fondamentalismo islamico, al radicalismo islamico. Guerra al tentativo di imporre un ordine basato sulla forza, sulla negazione dei diritti umani, sulla divisione del mondo, sulla assenza del dialogo e della cultura. Questa è la guerra che è in corso. Questo terrorismo è inaccettabile, cioè il terrorismo legato a questa visione del mondo e legato naturalmente a un ulteriore elemento, che è legato a sua volta al fondamentalismo islamico: quello del terrorismo kamikaze, la cui motivazione è, in ultima analisi, religiosa e si collega a un determinato tipo di strategia e di progetto politico. Ed è evidente che la sentenza del giudice era sbagliata per questa ragione: era dettata da un deficit di cultura storica e di cultura politica."

    Sulla rivista del Sisde "Gnosis" è stata pubblicata una cronologia dei fatti terroristici italiani e internazionali relativa ai primi nove mesi del 2004. Da questa risulta che, almeno in Italia, non si sono verificate azioni significative e gli eventi evidenziano livelli veramente dilettantistici. In questa considerazione ha senso mantenere un alto livello di guardia in un paese come il nostro che ha conosciuto stagioni di terrorismo ben più significative?

    "Ritengo preoccupante questa carenza di intelligence da parte di chi dovrebbe occuparsene. D'altra parte basterebbe fare una piccola prova: fare la stessa operazione in riferimento alla situazione spagnola prima dell'11 marzo dello scorso anno. E' evidente che va tenuto un livello di guardia altissimo. Anzi, proprio il fatto che non è successo ancora un episodio di terrorismo importante deve indurre ad aumentare il livello di guardia."

    Tuttavia rimane un dubbio. Noi, come tutto l'Occidente siamo invasi da migranti, tra i quali da sempre ci viene detto che è assai probabile si nasconda una forte componente di matrice islamico-fondamentalista. Il fatto che, ad eccezione della strage di Madrid, negli ultimi anni non sia successo nulla…

    "Non si può dire "tolta la strage di Madrid". In America c'è stato l'11 settembre, ma giustamente hanno capito la lezione. Pare che voi italiani, voi europei non vogliate capire la lezione. La risposta, evidentemente, non è in una soluzione di eliminazione delle componenti multiculturali e multireligiose nella nostra società, perché è evidente che non esiste una soluzione protezionistica. Sarebbe impossibile dividere il mondo secondo una logica: "voi di qua e noi di là". Ragionare in questa direzione significa far vincere Bin Laden, che punta esattamente a questo. Bin Laden non conta di distruggere la società Occidentale, ma a creare una situazione di netta contrapposizione. Il suo obiettivo, come è noto, è il califfato e una volta raggiunto il suo obiettivo probabilmente sarebbe anche disponibile a fare dei compromessi con gli altri. Noi, per sconfiggere questo disegno che porterebbe a un tipo di ordine che ci piacerebbe molto poco, dobbiamo tentare esattamente l'opposto. Dobbiamo puntare a dividere la società islamica, aprire alla democrazia e alla discussione e quindi accettare il rischio di avere divisioni al nostro interno. Naturalmente questo significa tenere altissima la guardia, perché si tratta comunque di posizioni minoritarie, e operare sul piano generale e globale per la sconfitta del disegno fondamentalista facendo affermare un altro progetto."

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    Punto di vista e opinione interessante...a voi i commenti.


  2. #2
    uno di passaggio L'avatar di Wiald
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    hai saltato una parte della biografia del personaggio. rimedio io.
    Gianni De Michelis, condannato a 1 anno e 6 mesi per corruzione (mazzette autostradali in Veneto) e finanziamento illecito (maxitangente Enimont). Tangenti - scrivono i giudici veneziani - impiegate "per alimentare il suo principesco tenore di vita".

    la via per il superamento di sé è la liberazione dalle aspirazioni mediocri

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