Le Recensioni di GamesRadar - Pag 2
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Visualizzazione risultati da 16 a 30 di 94

Discussione: Le Recensioni di GamesRadar

Cambio titolo
  1. #16
    Kelvan
    Ospite
    Bad Religion - Recipe For Hate
    Punk Rock
    1993






    1. Recipe For Hate
    2. Kerosene
    3. American Jesus
    4. Portrait Of Authority
    5. Man With A Mission
    6. All Good Soldiers
    7. Watch It Die
    8. Struck A Nerve
    9. My Poor Friend Me
    10. Lookin'In
    11. Don't Pray On Me
    12. Modern Day Catastrophists
    13. Skyscraper
    14. Stealth

    Greg Graffin: Vocals
    Brett Gurewitz: Guitar
    Jay Bentley: Bass
    Greg Hetson: Guitar
    Brian Baker: Guitar
    Brooks Wackerman: Drums


    Questo Cd uscì nel lontano 1993 per l'etichetta "Epitaph", un ennesimo lavoro di una Band che raramente ha deluso.
    Adrenalinico e Poetico. Sì con questo due aggettivi potrei finire qui la mia recensione.... Avrei già detto tutto... Ma non lo farò !
    Effettivamente questi due termini sono quelli che si avvicinano maggiormente all'essenza dell'album. E si nota subito!
    "Recipe Of Hate" e "Kerosene": le prime due canzoni del disco rispecchiano alla perfezione quello che ho affermato prima.
    La prima: aggressiva, graffiante, con un ritmo molto veloce saprà emozionare molti di voi! La seconda a mio parere è una delle più belle di tutto il cd.
    Una melodia non troppo veloce, quasi epica con un bellissimo testo vi avvolgerà e vi catapulterà nel resto del cd!
    He sì perchè questo è solo l'inizio!
    Ma lo spirito di critica dei Bad Religion non ha mai fine e lo deduciamo dalla 3° canzone: American Jesus; pezzo molto accattivante e deciso.
    Proseguendo per le traccie sono stato colpito da numerose altre canzoni tra cui "Man With A Mission": dolce, che sembra quasi creare una piccola pausa all'interno del cd, con il suo Sound un pò strano e molto melodico.
    Un altra signora canzone è sicuramente "Don't Pray On Me".
    Estremamente rilassante, che colpisce dritto, che fa appassionare come poche.
    Il cd finisce con la bellissima Skyscraper (l'ultima traccia, ovvero "Stealth" è solamente un outro).
    Questo a mio parere è uno di quei cd da ascoltare durante un lungo viaggio, lungo la starda per un paese indimenticabile....
    Già indimenticabile come questo cd.

    Questo disco saprà rapirvi ed emozionarvi per tutti i suoi 37.40 minuti!
    Bello come pochi altri, è un cd che consiglio vivamente a tutti gli amanti del Punk Rock!
    Vederete: i Bad Religion vi sorprendernno ancora!

  2. #17
    Kelvan
    Ospite
    Lars Frederiksen And The Bastards - Viking
    Punk Rock
    2004





    1. Bastards
    2. Skins, Punx, And Drunx
    3. Fight
    4. 1%
    5. Switchblade
    6. Marie Marie
    7. Little Rude Girl
    8. Maggots
    9. Mainlining Murder
    10. For You
    11. My Life To Live
    12. The Kids Are Quiet On Sharmon Palms
    13. Blind Ambition
    14. Gods Of War
    15. Streetwise Professor
    16. The Viking

    Lars Frederiksen: voce, chitarra
    Bastard: cori
    Craig Leg: chitarra
    Big Jay: basso
    Skatty P.R.: batteria


    Ed arriva un altro disco per i "Bastards" gruppo nato in realtà dalla mente di Tim Armstrong (voce e chitarra dei Rancid).
    Energia pura è quello che questo cd trasmette fin da subito, ed il Leader del gruppo è sempre Lars Frederiksen (seconda chitarra dei Rancid).
    Già dalla prima canzone del disco: "bastards" si capsice che Lars vuole trasmettere una potenza e una sonorità sporca da street che non riesce più a dare nella sua prima Band.
    Questa Song è molto dura e travolgente, la voce di Lars come sempre sa coinvolgere.
    Poi segue "Skins, Punx, And Drunx", pezzo molto veloce anche se nn esprime al meglio la tecnica del gruppo.
    La parte più bella del cd deve ancora arrivare, e la si incontra alla 4° canzone: "1%", che parte subito con un intro di chitarra velocissimo, la sonorità ricca di riff di chitarra abbastanza veloci e incalzanti richiama il buon vecchio rock'n'roll.
    Andando avanti in un miscugli di Punk Rock / Rock'n'roll frenetico e divertente ci "si imbatte" in "Maggots".
    track molto ambigua, distorta, oscura.... sicuramente si discosta abbastanza dallo standard del cd.
    Un'altra canzone molto bella è sicuramente "For You", cover degli "Anti Nowhere League".
    Ma la song seguente: "My Life To Live" è qualcosa di veramente spetacolare: calma, calmissima al contrario di tutto il resto del cd.
    In questo pezzo fa la comparsa Tim Armstrong produttore del cd con la sua voce rauca ed indimenticabile! Per chi non lo sapesse Tim e Lars sono grandissimi amici.
    L'album si conclude con "The Viking", velocissima, euforica, emozionante!

    Questo è un cd abbastanza tecnico e sicuramente godibile: la chitarra di Lars saprà farvi innamorare del suo Punk Rock travolgente.
    In definitiva "Lars Frederiksen And The Bastards" saprà accontantare molte persone con gusti diversi: sia quelli che repferiscono un Punk estremo, sia chi preferisce qualcosa di più alternativo.

  3. #18
    Kelvan
    Ospite
    Haggard - Eppur Si Muove
    Classica/Death Metal Melodico
    2004





    1. All'Inizio è La Morte
    2. Menuetto In Fa-Minore
    3. Per Aspera Ad Astra
    4. Of A Might Divine
    5. Gavotta In Si-Minore
    6. Herr Mannelig
    7. The Observer
    8. Eppur Si Muove
    9. Largetto / Epilogo Adagio
    10. Herr mannelig (short version)

    Asis Nasseri:
    Voce e Chitarre
    Andreas Hemberger: Chitarre
    Robin Fischer:
    basso
    Luz Marsen: batteria

    +
    22 elementi d'orchestra



    Direttamente da Monaco arriva questo grande progetto innovativo dedicato a uno dei più grani scienziati di sempre: Galileo Galilei.
    Loro sono gli Haggard: segnati in quattro, effettivamente il gruppo vero e proprio comprende sempre circa altri 20 elementi senza i quali sarebbe impossibili suonare dal vivo i propri brani.
    Progetto particolare e già sperimentato da gruppi come i Therion, senza ombra di dubbio con ottimi risultati. E i tedeschi Haggard non sono da meno.

    L'album, come già detto e come è facilmente intuibile dal titolo "Eppur Si Muove", è un vero tributo alla vita del nostro grande Galilei.
    La bravura del gruppo nel saper mescolare perfettamente quel suono più duro e cupo di un death melodico agli arrangiamenti classici e alle voci dei soprani e tenori presenti nel gruppi è sorprendente, e il risultato è veramente una perla.
    Già da subito con All'Inizio è La Morte, è possibile notare come dal mix di un growl piuttosto graffiante, gli acuti di Veronika Kramheller, i riff di chitarra distorta e gli arrangiamenti di viole, violini e violoncelli (in gran parte sono presenti strumenti a corde), escano fuori melodie inquietanti e altresì evocative che, grazie all'ottimo songwriting facilitato dalle doti linguistiche del gruppo (cantano in Tedesco, Inglese, Latino e Italiano), contribuiscono a creare un disco più unico che raro; gli stessi Therion si discostano abbastanza dal risultato finale.
    Il prodotto finale risulta molto omogeneo. Tra le "normali" canzoni, se proprio vogliamo dividere questo concept, è possibile trovare alcune vere e proprie composizioni classiche che permettono a chi ascolta di immergersi nell'atmosfera del 500/600 italiano.
    E così per tutto l'album si alternano composizioni a canzoni senza tralasciare ovviamente determinate citazioni: Of A Might Divine (una vera e propria critica nonché lamento del povero Galilei verso la chiesa), Her Mannelig (interamente in Italiano), The Observer (con la famosissima frase che non appare sul libretto"I do not feel obliged to believe, that the same God who has endowed us
    with sadness, reason and intellect has intended us to forgo their use"
    ) e infine la classica Eppur Si Muove, nella quale si raggiunge proprio il culmine della performance; cantata in tutte le lingue prima citate tranne il Latino, la traccia si slega tra virtuosismi vocali, arrangiamenti scattanti e vari e cambi di tempo dovuti anche al poter permettere all'ascoltatore di apprezzare la sola soprano in tutto il suo splendore.
    Per finire, oltre ad un'altra composizione classica, una reprise di Herr Mannelig, senza dubbio brano chiave dell'album e di Galilei stesso.

    Un vero album senza particolari momenti di calo, ovviamente per gli amanti del sound diverso dal solito Death brutale o la classica monotonia che attualmente affligge molti generi metal. Insomma, una vera ventata fresca e pura di artisti che non si accontentano di suonare metal, ma di saper dimostrare come il famoso genere duro e cattivo sia quanto di più vicino alla musica Classica e lirica.

    Ultima modifica di Kelvan; 30-08-2005 alle 22:52:52

  4. #19
    Kelvan
    Ospite
    In Flames - The Jester Race
    Melodic Death Metal
    1995






    1. Moonshield
    2. The Jester's Dance
    3. Artifacts Of The Black Rain
    4. Graveland
    5. Lord Hypnos
    6. Dead Eternity
    7. The Jester Race
    8. December Flower
    9. Wayfearer
    10. Dead God In Me

    Anders Fridén: Voce
    Jesper Strömblad: Chitarra
    Glenn Ljungström: Chitarra
    Johann Larsson: Basso e Cori
    Bjorn Gelotte: Batteria e Chitarra
    Fredrik Nordström: Tastiere
    Kaspar Dahlqvist: Tastiere in "Wayfearer"
    Oscar Dronjak: Voce in "Dead Eternity"
    Fredrik Johansson: Chitarra in "December Flower"


    Ho conosciuto gli In Flames grazie a questo loro cd, pubblicato ormai 10 anni fa, nel 1995, e se sto scrivendo questa recensione lo devo solo al fatto che l’ho adorato alla follia, al punto di riascoltarlo fino allo sfinimento. Infatti i buoni spunti che erano emersi nel loro precedente album (Subterranean) trovano il libero sfogo in questo loro (capo)lavoro: The Jester Race.
    Classificare gli In Flames nel Death Metal Melodico (in particolare svedese) è riduttivo, infatti seppur partendo da solide fondamenta thrash e death, molto spesso accelerano in “cavalcate” che sembrano quasi un tributo alla NWOBHM, in particolare agli Iron Maiden (ma anche ai Judas Priest).
    L’album comincia con l’ottima mid-tempo Moonshield, che da il via ad un atmosfera cupa, densa, che sembra avvolgere l’oscuro castello raffigurato nella cover. Si inizia con un mid-tempo, ma si continua con accelerazione (Dead God In Me) o con veri e proprio momenti di aggressività allo stato puro (tanto per citarne qualcuna: Graveland, Lord Hypnos, Dead Eternity) che si integreranno perfettamente proprio nella title-track, The Jester Race.
    La coppia Strömblad-Ljungström si dimostra eccellente nel pestare la sei corde e nel creare frequenti assoli armonici (anche qui in stile Maideniano), in pieno contrasto con il buon growling di Fridén.
    Growling che si “riposa” nei due brani strumentali The Jester’s Dance e Wayfearer; in particolare questo ultimo è un brano interessante, dove le tastiere dell’ospite Dahlgvist duettano in maniera quasi epica con i riff delle chitarre che hanno un sapore di Hard Rock. Questi brani strumentali dimostrano di saper “camminare da soli” anche senza il cantato di Fridén, buon cantante, anche se in campo death si può trovare di meglio.

    In definitiva, ottimo album questo The Jester Race (le liriche raccontano di una saga di fantascienza con protagonista una razza aliena in estinzione la quale rischia l’Apocalisse), da comprare se non avete mai ascoltato gli In Flames, soprattutto grazie al fatto che non è un album di death metal puro ma subisce varie influenze da altri generi.


  5. #20
    Kelvan
    Ospite
    Dream Theater - Images And Words
    Prog Metal
    1992





    1. Pull Me Under
    2. Another Day
    3. Take The Time
    4. Surrounded
    5. Metropolis Part I "The Miracle and The Sleeper"
    6. Under a Glass Moon
    7. Wait For Sleep
    8. Learning To Live

    James Labrie: Voce
    John Petrucci: Chitarra
    John Myung: Basso
    Kevin Moore: Tastiere
    Mike Portnoy: Batteria


    1992, il gran salto. Dall'anonimato, un gruppo formatosi alla Berkley, senza nemmeno rendersene conto, produce uno dei pochi album che si possono definire "quasi perfetti" (eh si, di perfetto non c'è nulla nella musica...). Ero ancora universitario quando lo ascoltai per la prima volta, e soprattutto, non potevo apprezzarne la struttura poichè ancora autodidatta.

    Però ero attratto, da quel nuovo (solo al mio novello udito) modo di concepire musica.

    Idee, tante idee musicali sviluppate egregiamente, ma andiamo con ordine:
    Dopo aver reso partecipe tutti con le mie senzazioni bisogna analizzare:
    sin dalla prima traccia, c'è atmosfera, e rimane fino all'ultimo brano. E' avvolgente. E' il genio di Kevin Moore, che è un tartierista anomalo nel suo genere, poche note quando non fa assoli, ma rimangono impresse, per tutto il brano, creano atmosfera, presenza, sviluppano bene il background che testo e altri strumenti vogliono comunicare. Con gli occhi di oggi mi accorgo di una presenza esterna in quest'album: Neil Peart.

    Anche la sequenza dei brani è ben studiata: prorompente, attenuante, mista, dilagante, matura, dissetante, espressiva. Ad ognuno di questi aggettivi corrispondono i brani, nella precisa sequenza in cui sono stati esposti

    I ragazzi ci sanno fare, sono bene assortiti ed soprattutto, equilibrati, nessuno prevale. Solo Myung è in sordina, ma è una scelta: unisono con chitarra e per giocoforza meno in luce, ma gli orecchi fini lo percepiscono alla grande. Tanta tecnica, tanti concetti e tanto studio, davvero riuscito quest'album non c'è che dire.

    Note stonate? Forse, col senno di poi, si capisce come mai quest'album è così quadrato: nessuna sbavatura, ma come è possibile? Non può essere perfetto... Ricordate Neil Peart? Bene. Facciamo un gioco, quello di cercare le "citazioni" (i maligni li chiamano plagi) in questo album. Se ne trovano. E sono di quel signore che ho già citato due volte e che lo farò anche una terza: Neil Peart.

    Un album eccellente, egregio sotto tutti i punti di vista lo si voglia analizzare. Da avere. E in fondo, mi piace vedere quelle citazioni come "ispirazione", magari è stato così... per fortuna.

    Ultima modifica di Kelvan; 1-08-2005 alle 16:47:24

  6. #21
    Kelvan
    Ospite
    Stratovarius - Dreamspace
    Power Metal
    1994





    1. Chasing shadows
    2. 4th Reich
    3. Eyes of the world
    4. Hold on to your dreams
    5. Magic carpet ride
    6. We are the future
    7. Tears of ice
    8. Dreamspace
    9. Reign of terror
    10. This ice
    11. Atlantis (Instrumental)
    12. Abyss
    13. Shattered
    14. Wings of tomorrow

    Timo Tolkki: Chitarra elettrica e voce

    Lassona:
    Batteria

    Jari Kainulainen:
    Basso

    Antti Ikkonen:
    Tastiere



    Correva l'anno 1994, e gli Stratovarius stavano gettando le basi del loro futuro successo pubblicando il loro terzo album "Dreamspace". Non è facile descrivere questa loro opera, soprattutto se alla mente vengono richiamate le melodie di "Visions". Infatti, in quest'album troviamo canzoni molto più cupe e introspettive che in altri album ,risultando convincenti e originali, in modo da regalare all'ascoltatore emozioni non riscontrabili in altri cd degli Stratovarius. In questo lavoro siamo catapultati in un vortice fatto di incubi, paure e sentimenti in grado di suscitare forti sensazioni.
    La line-up non era ancora composta dal cantante Timo Kotipelto, il virtuoso Jorg Micheal alla batteria e le tastiere di Jens Johansson, ma gli Stratovarius erano già pronti per sfornare uno dei loro migliori lavori, che come sonorità si avvicina anche al progressive, grazie anche alla voce espressiva e coinvolgente del chitarrista Tolkki.
    L'album si apre con "Chasing shadows", una piacevole opener che già costituisce le fondamenta del loro classico stile power, che ci trasporta senza accorgercene alla traccia successiva, una delle più riuscite a mio avviso: "4th Reich". Nei primi minuti, la batteria e la chitarra fanno la parte del leone, che per mezzo di atmosfere suggestive e vagamente epiche ci trasportano in una dimensione misteriosa e intricata, ma successivamente il ritmo si fa più sostenuto, e presto si è avvolti dalla potenza di questa canzone.
    Ma un'altra canzone dotata di un ritmo catturante e con una buona esecuzione tecnica lo possiamo trovare alla 4 traccia, e cioè “Hold on to your dream”, anche questa importante per l’evoluzione sonora degli Stratovarius. Nonostante ciò, i pezzi lenti non sono assenti in questo full lenght, e infatti la settima canzone, “Tears of ice”, è una tipica ballad che ha il compito di rilassare un attimo le orecchie, in vista della stupenda title track: “Dreamspace”. La canzone parte vivacemente, ma ben presto arriva l’inquietudine di Tolkki a spezzare l’allegria, velocizzando la canzone, anche se traspare una punta di malinconia (“Waiting, watching my life, I’m wasting my time, ) .Poi il ritmo rallenta e così si entra nella parte più oscura e intima nella canzone, abitata da pensieri e paure, regalandoci sensazioni oniriche e incantate: “Dreamspace”, appunto!
    In questi brevi minuti Tolkki ha la capacità di regalare al pezzo un qualcosa che trascende dalla tecnica, ossia la componente sentimentale, la capacità di esprimere sensazioni attraverso la ricerca di un songwriting accurato.
    Ma intorno al quarto minuto lo smarrimento e la disperazione lasciano posto alla ripresa di una poderosa e trascinante chitarra , che ci conduce “sani e salvi” verso la fine di questo piccolo gioiello.
    Degne di nota anche “Reign of terror” e “ Abyss”, la prima per via della sua atmosfera aggressiva e imponente, la seconda per via delle sue riuscite melodie, quasi gotiche.
    Siamo verso la fine dell’album, ma “Shattered” si rivela una canzone tanto veloce quanto “fuoriposto” , essendo priva dell’ atmosfera delle altre canzoni, ma probabilmente è stata inserita proprio per sfogare le tensioni accumulate precedentemente. Non male, anche se alla lunga stanca, essendo piuttosto monotona.
    Ma si sa che tutte le cose belle finiscono, e “Wings of tomorrow” si preannuncia come ultima canzone dell’album, per mezzo di melodie tranquille, ma suggestive; si intuisce facilmente che siano state pensate appositamente per chiudere l’album.
    Si conclude cosi il terzo lavoro degli Stratovarius, che ritengo molto sottovalutato. Si può obbiettare che è presente nelle canzoni una certa monotonia, e che alcune si assomiglino, ma questo non compromette il giudizio finale, senza contare che questo è un vizietto che gli Stratovarius avrebbero sviluppato più tardi….

    Se siete fan degli Stratovarius è obbligatorio averlo, se siete amareggiati dal periodo post-Visions è un ottimo album per apprezzare l’originalità che era presente alle loro origini, se non amate il power quest’album potrebbe essere una sorpresa.


  7. #22
    Kelvan
    Ospite
    Jean-Jacques Perrey - Moog Indigo
    Proto Synthpop
    1970






    1. Soul City
    2. E.V.A.
    3. The Rose And The Cross
    4. Cat In The Night
    5. Flight Of The Bumblebee
    6. Moog Indigo
    7. Gossipo Perpetuo
    8. Country Rock Polka
    9. The Elephant Never Forgets
    10. 18th Century Puppet
    11. Hello Dolly
    12. Passport To The Future

    Jean-Jacques Perrey: Main Performer
    Ed Friedner: Sound Engineer


    Una dimostrazione delle potenzialità dei synth: questa è l'essenza di Moog Indigo.
    Secondo album di Jean-Jacques Perrey, pubblicato nel 1970, è uno dei primi lavori di cui io sia a conoscenza in cui i sintetizzatori sono così abbondantemente sovrapposti.
    Le fortissime venature Jazz si fanno sentire fin dall'inizio, e la traccia d'apertura, "Soul City", è decisamente un pezzo da ricordare proprio per questo: la Fusion (o Nu Jazz, chiamatelo come volete), nasce qui. "E.V.A." è il pezzo più famoso del disco: rivisitato in chiave Big Beat da zio Fatboy qualche anno fa (2000 se non ricordo male), è magnifico nella sovrapposizione del suono di synth classico e di campane e chitarra elettrica sintetizzata.
    Segue "The Rose And The Cross", con un deciso cambio di tono, tra il funerario ed il matrimoniale (beh, siamo li ). Una cosa da notare: il perfetto abbinamento dei titoli ai brani, dettaglio niente affatto trascurabile in questo disco. L'atmosfera jazzy torna prepotentemente in "Cat In The Night"... chi ha giocato a Grim Fandango ricorderà immediatamente l'atmosfera del Gattodromo di Rubacava, ma questa è un'altra storia... un tocco di classe psicologicamente devastante la riproduzione sintetizzata di fusa, miagolii e graffi che accompagna la melodia principale. Dimenticavo: assieme ad "E.V.A.", questo è l'unico brano che oltrepassa la soglia dei tre minuti di durata.
    L'ironia è un'altra delle forze maggiori di questo disco, così Perrey si prende anche il tempo di inserire un'ode all'Ape Maia. Davvero! Non so in che altro modo descrivere "Flight Of The Bumblebee". Se il gatto della traccia precedente era riprodotto alla perfezione, la qui presente ape che ronza attorno all'ascoltatore (ottimo l'effetto di movimento della sorgente sonora, considerando l'epoca) rasenta il divino. Viene poi la title track, ennesimo esempio di Jazz elettrico; quando la melodia rimane sola, si ha l'impressione di sentire qualcosa di già noto... chissà quanti artisti si sono ispirati a quella chiusura per i loro pezzi.
    Il blaterio di "Gossipo Perpetuo" è l'unica concessione alla vocalità del disco. Chiaramente, si tratta di una voce campionata, che viene tranquillamente affiancata e sostituita nel corso del brano da synth puri, senza quasi che l'ascoltatore noti la differenza.
    A questo punto parte "Country Rock Polka" e la tentazione di scoppiare a ridere è forte. Ma non lo farò per una questione professionale. Balle, fa proprio ridere. Divertentissima. Stesso discorso per la successiva "The Elephant Never Forgets", che si può tranquillamente descrivere con il solo aggettivo "circense". Con "18th Century Puppet" si ha la sensazione che la venatura più seriosa di derivazione Jazz della prima parte del disco sia ufficialmente scomparsa; la ritmica a scatti del brano è quella che ci si aspetta da un soldatino a molla. Che, ovviamente, a metà canzone si ferma e deve essere ricaricato: GENIALE. E alla fine, poverino, si rompe. Poi "Hello Dolly". Ecco, "Hello Dolly". Un pezzo che in questo disco incredibile potrebbe rischiare di passare inosservato, se non fosse per i 3 secondi tra 00:50 e 00:53: in questa miseria di istanti Jean-Jacques Perrey ha ufficialmente inventato la tecnica del Turntablism, alla faccia dell'Hip Hop. La chiusura dell'album è affidata alla trasognata "Passport To The Future", unico pezzo che non colpisce particolarmente; ma, credetemi, non lascia l'amaro in bocca, tanto spettacolare è il resto dell'opera.


  8. #23
    Kelvan
    Ospite
    The Crystal Method - Vegas
    Chemical Breaks
    1997





    1. Trip Like I Do
    2. Busy Child
    3. Cherry Twist
    4. High Roller
    5. Comin' Back
    6. Keep Hope Alive
    7. Vapor Trail
    8. She's My Pusher
    9. Jaded
    10. Now Is The Time
    11. Bad Stone

    Ken Jordan, Scott Kirkland: Main Performers
    Trixy Reiss: Vocals (guest)


    Inizia tranquillamente questo disco, con "Trip Like I Do" che bussa in maniera relativamente dolce alle nostre orecchie. Per quasi tre minuti e mezzo. Poi si parte... synth che urlano, drum machine cattivissima, altri synth che si sovrastano, crescono, si appiattiscono, tornano ad urlare. Ed una voce femminile distorta, sovrastata, che dice qualcosa. Cosa? Se vi interessava davvero saperlo non vi sareste impasticcati, brutti drogati. E ancora sintetizzatori, a iosa, fino al crescendo finale. Si passa a "Busy Child", uno dei tre pezzi di questo disco presenti nella leggendaria colonna sonora di FIFA98. Le due mini frasi ripetute nei 7 minuti e mezzo di canzone, il solito synth che urla, il solito altro che sale e scende, la solita drum machine cattivissima... eccolo, il difetto del disco è già chiaro: ripetitivo. Ora, considerando che la formula di base è geniale e massacrante da un punto di vista tanto celebrale quanto fisico (vediamo quanto durate a ballare sti pezzi senza aiuti acido/alcolici...), qualcuno potrebbe anche considerarlo un pregio (ed io sono tra questi, senza dubbio). Comunque siete avvisati, non aspettatevi una grande varietà di suoni. Che nessuno dica "I guess I didn't know" come la voce di questo secondo brano, insomma.
    "Cherry Twist", il pezzo più corto del lotto, inizia con un lungo urlo di synth (eddaje con sti "urli" direte voi, non si è mai sentito un synth urlare. Credetemi, è possibile.), seguito da un lavoro di drum machine quasi solitaria, per poi passare ad un synth di Underworldiana memoria (Dark And Long per la precisione), e background vocals sepolti tra i layers (1- synth "Underworld", 2- synth secondario, 3- drum machine, 4- terzo synth che fa solo effetti sonori, 5- voce) che possono avere un che di KeithFlintiano. Non vi preoccupate, non hanno rovinato il tutto, anzi, è uscito qualcosa di buono. Il pezzo chiude con un vero e proprio collasso sonoro. L'astronauta di High Roller che dialoga col controllo a terra è un tocco di genio, supportato da una buona ritmica, piuttosto lenta, e con un uso di sintetizzatore ridotto al minimo. La seconda metà del brano è ancora più drum-machine-oriented, anche se il synth diventa più cattivo; poi si ritorna nella situazione iniziale, prima del silenzio totale. Suoni ambientali glitchati per un minuto circa, una sorpresa.
    Con "Comin' Back" abbiamo finalmente un pezzo con una parte vocale importante; la voce femminile si abbina perfettamente alle sonorità del disco, sonorità che tornano a ricordare molto da vicino quelle dei primi tre brani. Interessante il break al terzo minuto, dopo il quale la drum machine riparte incattivita e quasi solitaria.
    Secondo pezzo presente in FIFA98, e in un qualche film d'azione di cui non ricordo il nome, la mia prediletta dell'album, la devastante, sensazionale, indescrivibile "Keep Hope Alive". Ok, forse ho esagerato. Ma davvero, è uno di quei pezzi che una volta ascoltati rimangono nei neuroni a vita, e non c'è via di schiodarli. La quintessenza del disco è questo pezzo, obbligatorio dagli un ascolto.
    La prima strumentale pura "Vapor Trail" (le altre mezza riga di testo ce l'hanno, in fondo) segue il solito schema di synth sovrapposti e drum machine che ogni tanto cresce per conto suo, prima di fermarsi di fronte ad un giro di synth al limite dell'ipnotico. Poi decide che il synth da solo non le piace e ritorna giù pesante. Si aggiunge un altro synth che ulula, sostituito in un attimo da un altro, che viene a sua volta affiancato. Le variazioni sul tema continuano a susseguirsi una dietro l'altra, davvero un pezzo complesso nonostante l'apparenza possa suggerire tutt'altro.
    Ascoltando "She's My Pusher" si ha l'impressione che i Massive Attack siano usciti una sera coi Prodigy e, dopo averci dato dentro con l'acido, abbiano creato un pezzo stilisticamente assurdo. Cristo, è Karmacoma in chiave Breakbeat con inserti al limite della Psyambient. Altro pezzo davvero degno di un ascolto, decisamente.
    "Jaded" torna sulle sonorità più collaudate del disco, ed è di nuovo presente una parte vocale. Degno di nota il break sul finire del quarto minuto che tiene in silenzio la drum machine a lungo. Terzo pezzo presente in FIFA, "Now Is The Time"; anche qui non mi dilungo in descrizioni, basta dire che ci sono diversi break.
    Infine, bonus track dell'edizione australiana del disco, "Bad Stone". Davvero bella, stilisticamente molto diversa dalle altre, tranquilla, riflessiva, alza il valore di un lavoro che, se chiuso in maniera quasi anonima con "Now Is The Time", rischia di perdere parte del suo fascino.


  9. #24
    Kelvan
    Ospite
    Depeche Mode - Speak & Spell
    Synthpop
    1981





    1. New Life
    2. Puppets
    3. Dreaming Of Me
    4. Boys Say Go!
    5. Nodisco
    6. What's Your Name?
    7. Photographic
    8. Tora! Tora! Tora!
    9. Big Muff
    10. Any Second Now (Voices)
    11. Just Can't Get Enough

    Vince Clark: Keyboards
    Martin Gore: Keyboards, Guitar, Backing Vocals
    Andrew Fletcher: Keyboards
    Dave Gahan: Vocals


    Quando uscì questo disco Martin Gore aveva vent'anni, Dave Gahan 19, e i Depeche Mode erano un quartetto guidato da Vince Clark.
    Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, e parlare di un disco dopo 25 anni dalla sua uscita, considerando che chi l'ha fatto è ancora in attività, risulta tanto strano quanto difficile. Ci si trova di fronte a uno dei primi esempi di Synthpop (o Electropop, chiamatelo come vi pare), frivolo, divertente, completamente diverso dai Depeche Mode che siamo abituati ad ascoltare.
    "New Life", il brano d'apertura, sembra più una rivisitazione di Daniel Miller (Silicon Teens) che un pezzo originale; e non è un caso che proprio lui sia il produttore!!! Il marchio è inconfondibile, il sound gioioso dei synth è riconoscibile da un miglio di distanza. Poi viene "Puppets", e si inizia a sentire un sound decisamente diverso, più vicino a quello dei DM che conosciamo meglio. "Dreaming Of Me", dietro quella che nel corso dell'album diverrà la solita influenza Milleriana, più apparente che reale qui ad essere onesti, cerca di presentare di nuovo un suono personale, e il tentativo si può dire in buona parte riuscito, nonostante non sia questa la strada che i DM batteranno in futuro.
    Sbuca senza preavviso un coro da stadio, e siamo a "Boys Say Go!", che, scommetto, all'epoca è piaciuto particolarmente ai giovani Neil Tennant e Chris Lowe. Si, c'è sicuramente qualcosa che ritornerà nella produzione dei PSB in questo brano, non so cosa, ma c'è. "Nodisco" è ambigua. Il cantato non mi piace, il synth non mi dice nulla, la drum machine è spettacolare. Veramente, uno spreco.
    "What's Your Name?", ecco che ritorna pesantemente Daniel Miller. Ok, a questo punto è doverosa una considerazione. Io il suono di questi primordiali synth a metà tra demenza e futurismo lo adoro, ma tanta gente potrebbe rimanere pesantemente stomacata anche assumendo dosi minime. Siete avvertiti, il giudizio complessivo sul disco sarà da variare parecchio in positivo o in negativo a seconda dei gusti personali.
    Ancora Miller in "Photographic", e questa volta la sua influenza risulta invadente, in netto contrasto con il mood del pezzo. In "Tora! Tora! Tora!" c'è la mano di Gore, e si sente chiaramente, nonostante il giro principale di synth è ancora distante dalla classica sonorità Depechemodiana. "Big Muff", una strumentale carina, altra opera di Gore, ci separa da "Any Second Now (Voices)", che ad un sound estremamente vicino a quello dei Kraftwerk di "Trans-Europe Express" (1977) affianca lo stile cantato che sarà il marchio di fabbrica di Gahan per i successivi venti e passa anni. Ottima chiusura con "Just Can't Get Enough", uno dei primi grandi successi di questo storico gruppo.

    Ultima modifica di Kelvan; 13-08-2005 alle 01:29:59

  10. #25
    Kelvan
    Ospite
    Fischerspooner - #1
    Electroclash
    2002





    1. Sweetness
    2. The 15th
    3. Emerge
    4. L.A. Song
    5. Tone Poem
    6. Horizon
    7. Invisible
    8. Turn On
    9. Fucker
    10. Natural Disaster
    11. Ersatz [+ Megacolon]

    Warren Fischer: Composer
    Casey Spooner:
    Vocals
    Cindy Green:
    Vocals
    Lizzy Yoder:
    Vocals
    Jeremiah "Peanuts" Clancy:
    Vocals
    Lista completa dei membri del collettivo artistico

    "Sweetness". Decollo verticale di questo disco con un pezzo emozionale e profondo, con splendidi synth e drum machine all'altezza. Un'inizio col botto, non c'è che dire. Relativamente dolce e tranquilla. Per chi conosce i Fischerspooner soltanto per "Emerge" è un bello shock; ma mai quanto quello che nasce dall'ascolto di "The 15th", cover di un vecchio brano, che messo in mano a Warren Fischer si trasforma in uno dei pezzi più interessanti del lotto, grazie anca alla splendida prova vocale di Casey (tutto l'editing audio di questo mondo non basta a portare una voce ad essere così bella... e non dimentichiamo il backing di Peanuts).
    E quando, dopo oltre 9 minuti di tranquillità, la coppia di synth di "Emerge" compare dal nulla, beh, non si può fare altro che inchinarsi. Il pezzo è quello che è, in italiano non saprei come descriverlo, in inglese esiste l'aggettivo adatto: "mind-blowing"; e la cosa traumatica è che non esplode fino a 50 secondi dalla fine. Arriviamo così "L.A. Song", ed è di nuovo calma piatta, disturbata soltanto dalla voce distorta di Casey. La seconda metà del brano assume un tono decisamente diverso, decisamente più pieno e animato, fino allo spirare del synth in chiusura. La calma disarmante di "Tone Poem" è al limite dell'assurdo, non ho altro da aggiungere. Il mood cambia leggermente con "Horizon", un pezzo che sembra diventare più veloce ogni istante che passa; il crescendo a metà brano ci sta tutto, così come il delirio distorto alla fine, peccato che il cantato non convinca affatto.
    E quando, dopo oltre 9 minuti di tranquillità, la coppia di synth di "Emerge" compare dal nulla, beh, non si può fare altro che inchinarsi. Il pezzo è quello che è, in italiano non saprei come descriverlo, in inglese esiste l'aggettivo adatto: "mind-blowing"; e la cosa traumatica è che non esplode fino a 50 secondi dalla fine. Arriviamo così "L.A. Song", ed è di nuovo calma piatta, disturbata soltanto dalla voce distorta di Casey. La seconda metà del brano assume un tono decisamente diverso, decisamente più pieno e animato, fino allo spirare del synth in chiusura. La calma disarmante di "Tone Poem" è al limite dell'assurdo, non ho altro da aggiungere. Il mood cambia leggermente con "Horizon", un pezzo che sembra diventare più veloce ogni istante che passa; il crescendo a metà brano ci sta tutto, così come il delirio distorto alla fine, peccato che il cantato non convinca affatto.
    Altro bel pezzo prende il nome di "Invisible": bella la drum machine, splendide le voci femminili, sia alle spalle di Casey che in solitaria; peccato per il synth pressochè inesistente. Finalmente si ritorna su ritmi più sostenuti (e qui si realizza che "Emerge" è l'eccezione, e quella "Sweetness" che ci pareva tanto tranquilla è il secondo pezzo più movimentato incontrato fin'ora, e siamo a due terzi del disco) con Turn On, splendidamente cantata a tre voci. Il bel ritmo di "Fucker" è affiancato da qualche voce angelica in sottofondo e sovrastato da un mugugno, per poi essere snaturato da una distorsione; il procedimento si ripete, il risultato è buono. Quello di cui ci si accorge ascoltando quest'album è che è chiarissima la mancanza di qualcosa, e quel qualcosa altro non è che la performance scenica del collettivo; i Fischerspooner nascono infatti come collettivo artistico, i loro non sono concerti ma spettacoli, e questo disco è da interpretarsi come una colonna sonora; considerarlo in maniera diversa significa rimanerne sicuramente delusi (e non è un caso che i FS distribuiscano gratuitamente i video dei loro pezzi sul sito ufficiale).
    Si continua con "Natural Disaster", pezzo interessantissimo, molto vocale, e di chiara sonorità mediorientale. Ah, a un certo punto anticipa di quattro anni i Daft Punk di "Technologic", tra le altre cose. Chiusura del disco affidata ad "Ersatz", e qui il genio di Warren Fischer si spreca, arrivando a farci ascoltare un pezzo che si potrebbe dire la cover della musichetta di qualche videogame anni '80... Oh, sorpresa! Una hidden track, "Megacolon".
    Credeteci o no, quando si parla di "gemme nascoste" ci si riferisce a questo genere di canzoni. Questa canzone porchissima cantata dalle vocalist Cindy e Lizzy, pur non essendo troppo spedita si affianca a "Emerge" piuttosto che agli altri pezzi del disco. Una chiusura degna, non c'è che dire.

    Ultima modifica di Kelvan; 13-08-2005 alle 19:38:14

  11. #26
    Kelvan
    Ospite
    Forbidden - Forbidden Evil
    Thrash Metal
    1988






    1. Chalice of Blood
    2. Off the Edge
    3. Through Eyes of Glass
    4. Forbidden Evil
    5. March Into Fire
    6. Feel No Pain
    7. As Good As Dead
    8. Follow Me

    Russ Anderson: Vocals
    Craig Locicero: Guitars
    Glen Alvelais:Guitars
    Matt Camacho: Bass
    Paul Bostaph: Drums



    Nati come Forbidden Evil e successivamente mutati in Forbidden, questo gruppo fa parte dell'ondata thrash ottantiana proveniente dagli U.S.A.
    Originari di San Francisco, California, sono uno dei massimi vertici raggiunti dal thrash della Bay Area in quegli anni.
    Gruppo troppo sottovalutato, che non ha goduto delle fortune di Metallica, Testament, Slayer e compagnia, ma che in quanto a composizione, tecnica e cattiveria non ha nulla da invidiare ai fratelli maggiori.

    Il cd si apre con Chalice of Blood, opener dall'impatto micidiale, con ritmi ben scanditi e un acuto del cantante che fa capire subito che "Qui non si scherza".
    Traccia bellissima, cambi di tempo, un riff particolare che unisce velocità, tecnica e "grezzaggine" tutto in un sol colpo. Una hit.
    Si prosegue con Off the Edge, che fa del suo ritornello spaccaossa il suo punto forte. Altro pezzo da considerare un must.
    Veniamo alla terza, Through Eyes of Glass. E' in questa traccia che secondo me i Forbidden danno il meglio: le chitarre sono taglienti come non mai, decisamente "in your face". Bostaph è una macchina, non sbaglia un colpo, è impressionante. Il basso contribuisce alla creazione della sezione ritmica / muro sonoro, e il cantato si aggiunge dando quel tocco di bastardaggine che non fa mai male. Il risultato è unico: la miglior canzone del cd, a parere di chi scrive. Imperdibile.
    Siamo arrivati alla quarta, la titletrack, Forbidden Evil. Pezzo eccezionale (avevate qualche dubbio?), ritmiche mai banali, potenza e cambi di tempo la fanno da padroni.
    Eccoci a March Into Fire. Altro capolavoro sfornato dai 5 della California. La canzone procede normalmente fino alla metà, dove poi sfuria in una violenza devastante, dove è impossibile stare fermi o restare impassibili di fronte a questa onda cosmica sonora made in USA.
    Arriviamo alle ultime 3 tracce del cd, Feel No Pain, As Good As Dead e Follow Me.
    Tre pezzi che non raggiungono lo splendore delle prime cinque canzoni, ma che non sono assolutamente da sottovalutare, anzi.
    Feel No Pain ha una psicosi malata nascosta. La voce del cantante è a dir poco... posseduta.
    As Good As Dead è un'altra mazzata, tanto per cambiare.
    Follow Me è quasi un invito ad unirsi nel mondo dei Forbidden, un invito malato e psicopati per come viene proposto.

    Chitarre a mille, virtuosismi e assoli mai fini a se stessi, un Bostaph alle pelli letteralmente impressionante, il basso che segue e detta tempi a meraviglia, la voce di Anderson che graffia alla perfezione: questi sono i Forbidden. Questo è thrash. Questo è un cd che spacca in due il 90% degli album usciti in quegli anni che oggi sono considerati "Capolavori".

    Ultima modifica di Kelvan; 14-08-2005 alle 15:19:59

  12. #27
    Kelvan
    Ospite
    System Of A Down - Toxicity
    Crossover
    2001






    1. Prison Song
    2. Needles
    3. Deer Dance
    4. Jet Pilot
    5. X
    6. Chop Suey!
    7. Bounce
    8. Forest
    9. Atwa
    10. Science
    11. Shimmy
    12. Toxicity
    13. Psycho
    14. Aerials

    Serj Tankian: voce
    Daron Malakian:
    chitarra
    John Dolmayan:
    batteria
    Shavo Odadjian:
    basso


    Il nu metal e' stato l'ultimo mito musicale del decennio passato. Ora questo mito, nel 2005, e' scemato e si e' ridimensionato, come tutte le cose di moda: e, come in quasi tutti i casi, i gruppi che passano la prova del tempo sono quelli piu' validi. Vedi, in questo caso sotto la voce Korn o, per l'appunto, System of a Down.
    L'album in questione e' uno degli album metal che hanno avuto piu' successo all'esterno: un album capace di abbattere le barriere che dividono il mondo metallaro dal resto della musica. Ma che album! Quattordici tracce, tutte piuttosto corte, fra gli 1 e i 4 minuti, corte ma piene di significato, suoni, classe, sentimento e allegria. Un mix fra il nu metal, la musica folk armena (come l'origine dei membri del quartetto), il metallo classico, tutto gettato in un calderone e mescolato ad alta velocita'. E' cosi' che nascono track splendide, come la strepitosa opener Prison Song, con tankian sugli scudi dall'inizio alla fine, o la dirompente Jet Pilot, velocissima nel chorus ma lenta e riflessiva nel resto.
    La sesta traccia e' un highlight dell'album: i cambi di ritmo ed atmosfera vengono portati all'eccesso, Serj si fa sempre piu' funambolico, la chitarra malata e il drumming nervoso ed ipnotico. Fantastico lo stacco melodico finale!!!!
    Ma se la prima parte dell'album non mostra segni di cedimento, nella seconda si arriva a livelli eccelsi. A partire dalla fantastica Forest (che bella la linea vocale del chorus!!!), passando per l'ancora piu bella ATWA, Science, la celebre Toxicity (che lavoro di batteria!!!). Nota di rilievo merita Psycho, per il sottoscritto la migliore dell'album, anche se scegliere e' difficilissimo: tuttavia, un'altra struttura azzeccata e ancora delle linee vocali splendide mi fano propendere per questa canzone.
    Chiude Aerials, altro pezzo magistrale, meno nervosa e un po' commerciale, ma non certo in senso negativo.

    Un riassunto su questo album? Punti deboli che rasentano lo zero, punti a favore a bizzeffe. Non se l'abbiano a male i concorrenti, ma qua siamo al cospetto di uno dei gruppi rivelazione degli ultimi anni. Straordinari!!!


  13. #28
    Kelvan
    Ospite
    Felix Da Housecat - Kittenz And Thee Glitz
    Electroclash
    2001






    1. Harlot
    2. Walk With Me
    3. Analog City
    4. Pray For A Star
    5. Voicemail
    6. Madame Hollywood
    7. Silver Screen (Shower Scene)
    8. Control Freaq
    9. What Does It Feel Like?
    10. Happy Hour
    11.Thee Enter View
    12. Glitz Rock
    13. Sequel2Sub
    14. Magic Fly
    15. She Lives
    16. Runaway Dreamer

    Felix Da Housecat: Keyboards, Moog Synthesizer, Programming
    Elecktikkboy: Vocals, Synthesizer
    Melistar: Vocals
    Miss Kittin: Vocals
    Harrison Crump: Vocals


    Uno dei massimi esponenti della scena Electroclash (e uno dei pochi rimasto ad essa fedele dopo la sua quasi totale dissoluzione) è Felix Da Housecat; questo disco, "Kittenz And Thee Glitz" è uno dei manifesti programmatici della corrente, contenendo brani simbolo come "Madame Hollywood" (poi ripresa da Tiga), "Silver Screen (Shower Scene)" (entrambe in collaborazione con Miss Kittin) e "Happy Hour".
    Si inizia subito alla grande con i veloci synth e drum machine di "Harlot"; e l'effetto che produce sull'ascoltatore può essere uno soltanto: GIVE US BACK THE 80's!!!!!!!!!!!!!!! Si passa alla battuta e battente "Walk With Me", Felix scala le marcie, qui siamo in seconda. Splendido il vocoder nella seconda parte del pezzo. "Analog City" è un bell'intermezzo strumentale, poi si torna nelle profondità degli anni '80 con "Pray For A Star". In questo brano ci si rende conto del punto di forza del disco: le linee di basso; ascoltare per credere.
    Segue "Voicemail", altro intermezzo con una chiamata registrata in segreteria telefonica di Miss Kittin a Felix (geniale ), e si arriva alle già citate "Madame Hollywood", cantata appunto da MK, così come la seguente "Silver Screen (Shower Scene)". Non ve le descrivo nemmeno, ascoltatele e capirete perchè sono state due hit di portata devastante sulle dancefloor nordamericane e londinesi nel periodo di massima fioritura dell'Electroclash. Entra (peccato non poter rendere in italiano l'inglese "kicks in") a questo punto la drum machine di "Control Freaq", probabilmente uno dei pezzi più violenti (se così si può definire) dell'intero movimento.
    Mi scuso, sto usando tante di quelle parentesi che metà bastano in questa recensione, ma mi escono da sole. Non fateci caso.
    Il ritmo (e la qualità!) si mantiene su livelli molto alti con "What Does It Feel Like?", prima di passare a quello che forse è il mio pezzo preferito dell'intero lotto, "Happy Hour". Il cantato di Melistar è notevole, la bassline splendida, la drum machine ancora migliore, il giro di synth spettacolare. E sto cercando di contenermi. A questo punto Thom smetterà di leggere e mi urlerà dietro in MSN che sono troppo buono, ma fa niente.
    Altro intermezzo, c'è Tommie Sunshine in "Thee Enter View", ed ecco la sua mano in "Glitz Rock". CRISTO, QUESTI SONO ANNI 80 ALLO STATO PURO! Anzi no, sono persino meglio! E' quella la parte traumatica. "Sequel2Sub", synth cupo, giro di basso che lo sostiene degnamente, battito ritmico, altro battito, altro battito... triplo lavoro di drum machine! Poi entra un secondo synth, e qui si tocca una vetta emozionale che riesce difficile accettare uscita da un disco assolutamente "engineered for da dancefloor". Segue "Magic Fly", e il tono cambia molto meno di quanto sia lecito aspettarsi. Ancora suoni cupi e quasi tristi, l'unica spiegazione che mi viene in mente è che Felix si sia detto "ok, negli anni '80 c'era l'Italodisco, c'era il Synthpop, ma i Depeche Mode spuntavano volentieri qua e la con qualcosa di oscuro. Quindi posso mettercelo pure in sto disco". Il problema (PROBLEMA?!?) nasce quando anche la successiva "She Lives" non sembra uscire da quest'ombra scesa sul disco! Probabilmente però l'effetto è più dovuto alla mancanza di cantato in questi brani che non ad una effettiva inversione di tendenza tanto marcata.
    Chiude il disco "Runaway Dreamer", e si ritorna su sound più consueti, nonostante un cantato che ricorda in qualche modo l'interpretazione di "The 15th" di Casey Spooner; insomma, Eurythmics per tre quarti di disco, un pò di DM e chiudiamo coi Pet Shop Boys. Oh, hidden track. Voce maschile, bella bassline, bel synth. Vale DECISAMENTE la pena di aspettare un pò per sentirla!
    Insomma, che dire? Mi trovo davanti ad uno dei dischi di più piacevole ascolto che abbia avuto il piacere d'ascoltare (scusate il gioco di parole). A uno dei dischi più influenti della scena Electroclash. A uno dei dischi che forse meritano il massimo dei voti.


  14. #29
    Kelvan
    Ospite
    Blind Guardian – Follow The Blind
    Power Metal
    1989






    1. Inquisition
    2. Banish from Sanctuary
    3. Damned for All Time
    4. Follow the Blind
    5. Hall of the King
    6. Fast to Madness
    7. Beyond the Ice
    8. Valhalla
    9. Don't Break the Circle
    10. Barbara Ann

    Hansi Kürsch: Voce e Basso
    Marcus Siepen: Chitarre
    Andre Olbrich: Chitarre
    Thomas Stauch: Batteria



    Secondo disco per i Bardi, datato 1989.
    Le sue maggiori qualità sono senz’altro l’assoluta immediatezza, con riff secchi, decisi, molta potenza e velocità. I difetti si presenteranno a chi, abituato da melodie più “mature” e ricercate degli album successivi dei Guardiani Cechi, storcerà più di una volta il naso dinnanzi alla mancanza della ricerca di certe melodie, per gli intrecci delle chitarre che sono il punto forte della loro musica. Ma comunque per apprezzarlo a pieno, in questo caso, è preferibile ascoltarlo più volte.
    Il primo brano che ci viene proposto è Inquisition, uno sfizioso intro composto da un coro in stile gregoriano. Non male l’effetto finale.
    Banish from Sanctuary ci fulmina con la sua potenza e la sua velocità, tipica song in stile Blind Guardian. E’ davvero una perla senza tempo.
    Non c'è pausa e Damned For All Time si presenta con un ottimo riff di chitarra. E' un pezzo cattivo e Hansi lo interpreta alla perfezione. Batteria e chitarre, Hansi e coro si alternano senza sosta, ma l'apice si raggiunge con il riff centrale, eccezionale e velocissimo.
    Follow the Blind con i suoi 7 minuti e 10 secondi, ci riparta alla mente i migliori Bardi del disco precedente, il primo, proponendoci un’atmosfera inquietante ed oscura ed è davvero suggestiva.
    Ci viene presentata Hall of The King che ci riporta violenza e velocità di esecuzione, però non è un pezzo che emoziona come i precedenti, velocissimo riff centrale a parte."
    Fast to Madness non è assolutamente una brutta canzone, ma rispetto alle altre non riesce ad emergere, nonostante la ottima prova di Thomas alla batteria.
    Nei suoi 3 minuti e mezzo lo strumentale Beyond the Ice sa emozionare come pochi altri suoi simili: un crescendo che tecnicamente non ha rivali all'interno del disco. All’improvviso il disco prende una piega ottima: veniamo rapiti da Valhalla (forse la mia canzone preferita). Ci presenta in qualità di singer aggiunto un certo Kai Hansen, magari giovane e con una voce spesso immatura, ma che fa si che la canzone si distingua dalle altre. Questa è forse la prima di un buon numero di collaborazioni tra l'onniprensente Kai e i Guardian o singoli musicisti del gruppo. Tecnicamente è davvero eccellente; potente, veloce, con un ritornello unico e che farà davvero la storia della band tedesca. Chi ha ascoltato un loro live, sa di cosa parlo. Ma comunque ascoltarla è la migliore cosa, credetemi perché è una canzone immortale e splendente fino all'ultima nota.
    Don't Break the Circle è un ottima cover dei Demon; pezzo molte veloce e orecchiabile. Al termine del disco troviamo una delle più convincenti canzoni dell’intero album, che strano a dirsi, ma è una cover (e siamo a 2). Barbara Ann, canzone storica dei Beach Boys, viene qui potenziata e velocizzata dai Blind, creando un cocktel davvero esplosivo e coinvolgente, nonochè un bel pezzo power da ascoltare e riascoltare.

    Un album mitico, forse un po’ acerbo rispetto a ciò che verrà successivamente, ma la sua “grezzagine” e la sua massacrante potenza, sono davvero caratteristiche che ne fanno un disco da avere. La presenza di Kai fa alzare il valore dell’album ancora di più.

    …e ora tutti insieme!!! – “VALHAAAAAAALLAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!”


  15. #30
    Kelvan
    Ospite
    Opeth - Ghost Reveries
    Death/Prog Metal
    2005






    1. Ghost Of Perdition
    2. The Baying Of The Hounds
    3. Beneath The Mire
    4. Atonement
    5. Reverie/Harlequin Forest
    6. Hours Of Wealth
    7. The Grand Conjuration
    8. Isolation Years

    Mikael Åkerfeldt: Voce e Chitarra
    Peter Lindgren: Chitarra
    Martin Mendez: basso
    Per Wiberg: Tastiere
    Martin Lopez: Batteria


    Aspettavo con molta ansia il nuovo disco degli Opeth,il mio gruppo preferito assieme ai Tool,per la loro genialità e capacità di cambiare sempre, disco dopo disco alla ricerca di nuove strade musicali,senza sbagliare mai un colpo. E' con molte aspettative e paure che quindi attendevo Ghost Reveries e sono state soddisfatte tutte e due purtroppo.I nuovi Opeth,con l'aggiunta del quinto membro il tastierista Per Wiberg,hanno cambiato ancora,rimanendo però sempre saldamente ancorati alle origini,in questo disco forse come non mai,sono forti infatti gli echi di Morningrise,ma qualcosa è cambiato dopo Damnation.
    Il primo ascolto è traumatizzante,mai sentite così tante tastiere in un disco degli Opeth, è stato veramente troppo strano ascoltarli così,non che le parti siano scritte male o altro,semplicemente non sembrano gli Opeth,è come se smorzassero troppo la loro naturale cattiveria,ovviamente però il primo ascolto è quasi sempre bugiardo e la mia convinzione è cambiata molto a riguardo,ma non sono solo le tastiere a sorprendere.
    Una delle cose più cambiate è la ricerca di nuove linee vocali da parte di Mikael Akerfeldt,alcune troppo catchy quasi in stile LaBrie,altre perfette nella loro calda malinconia,il growl invece è sempre quello ruggente e cavernoso,anche se viene un po' troppo centellinato a volte.
    Le chitarre sono rimaste pressochè inalterate a livello sonoro da Deliverance,quello che è cambiato sono ahimè alcuni riff.Per una band che si è sempre distinta per l'originalità dei riff è veramente oscena la presenza di un plagio praticamente in tutto e per tutto di The Grudge dei Tool,ma non è solo questo,è anche il fatto che ci siano alcuni riff e alcune linee melodiche che sanno troppo di già sentito,un peccatto imperdonabile per gli Opeth.
    A parte questo però le chitarre rimangono perfette con i classici riff disarmonici e schizzofrenici,gli arpeggi acustici folk e gli assoli malinconici che mai come in questo disco rievocano i Camel,in un'ipotetica versione dark,da ascoltare a tutti i costi l' "outro" Isolation Years.
    I cambi di tempo e la dinamicità che contraddistingue i 5 svedesi è come sempre strappa-applausi,si passa dal death,al folk,al progressive anni 70 alla psichedelia passando per il thrash,un esempio di tale versatilità è Reverie/Harlequin Forest,la miglio traccia del disco da questo punto di vista dove si passa attraverso tutti i generi sopracitati.

    Una menzione speciale per le parti di batteria.Il lavoro di Lopez alla batteria è a dir poco mostruso,versatile e perfetto in ogni situazione dalla più pesante come in The Grand Conjuration alla più soft e jazzy,il suo stile inconfondibile nel trattare i piatti lo inserisce di diritto tra i migliori nel suo genere.
    La precisione tecnica non è mai mancata al combo svedese e anche stavolta non manca la perizia e l'attenzione per i particolari.
    La sensazione è che però qualcosa manchi a questo disco ed è comunque difficile dire cosa,un disco che poteva essere l'ennesimo capolavoro inspiegabilmente perde colpi a tratti e ci consegna canzoni che non possono competere da vicino con capolavori assoluti come The Moor (Still Life) o The Drapery Falls (Blackwater Park) solo per citarne alcune.Un lavoro che rimane sospeso tra la grandezza e la delusione,un disco comunque ottimo che appassionerà molti fan degli Opeth,me compreso, ma che purtroppo non fa gridare al miracolo come altre volte.


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