Prologo

Erano le 19 di un pigro giovedì pomeriggio, il sole era già calato e nel Bar Nando si trovavano poche persone, alcune intente a giocare ai videopoker, altre occupate a bere in un angolino del locale, col cappello tirato sugli occhi. Flemmatici avventori, angustiati da una professione troppo stressante o troppo poco stressante, riversavano l'anima a brandelli in grossi bicchieroni, per intraprendere un viaggio fantastico, dimentichi di tutto il resto. D'un tratto, un uomo sulla trentina spalancò la porta e sferrò un pugno urlando "Gino, il solito". Il barista, un vecchietto ultrasettantenne, si chiamava Ferdinando Empedocle, coltivava una insolita passione per la pesca e non aveva mai visto quell'uomo prima d'ora.
Lo guardò torvo, lanciò una bestemmia e gli portò del liquido fetido ricavato dalle perdite del bagno. Il misterioso uomo bevve tutto d'un fiato.
Si schiarì la voce, cominciò a parlare; nessuno lo ascoltava, Nando era impegnato ad osservare le proprie estremità e ad interrogarsi sul mistero della vita: cosa lo spingeva a tirare avanti? Attribuiva la colpa alle sue scarpe e per questo non mancava giorno in cui non rinfacciasse ai propri stivali alpini di "trascinarlo troppo velocemente". Ne era però schiavo, tutte le sere li toglieva e li spazzolava meticolosamente, li baciava delicatamente, li accarezzava e rimboccava loro le coperte di cuio opportunamente ricamate dalla sua moglie, poi defunta, tale Liliana Germi.
L'uomo misterioso intanto continuava a parlare, il suo orifizio orale produceva infinite moltitudini di parole che volteggiavano nell'aria in attesa di essere colte da orecchio, ma rimbalzavano su pareti di indifferenza e si concentravano sul soffitto, proprio accanto al ventilatore.
Terminata la narrazione, l'uomo uscì di corsa, salutando Nando con un "Berto, tratterò bene tua figlia!". Occorre sapere che Nando aveva vinto la sterilità in una gara di sputo nel 63' ed ogni sua velleità di padre si riversava in quante azioni gli stessero a cuore.
La vita, al bar Nando, tornò come prima. Quasi. Il fiume di caratteri aveva formato un mostro che, sospinto dall'aria del ventilatore (questo ordigno infernale si metteva in moto da solo ogni sera), aveva preso vita. Si aggirava per i tavoli e li ribaltava, afferò i frequentatori del bar per la gola e li concentrò in un punto, che battezzò "Giuseppe" (il punto, eh!). Prese a schiaffi ogni uomo presente nella sala, gli ordinò di dimenticare il proprio nome e di aprire bene le orecchie. La narrazione vera ebbe inizio.

L'uomo parallelo

Si chiamava Mario, si crede. Forse Luca, per i più Marco. Noi, per questioni legate alla mancanza di tempo, lo chiameremo "Letizia".
Letizia era nato privo dell'udito, poi lo aveva riacquistato dopo due minuti. Ciò nondimeno, questa sua momentanea sordità lo aveva cambiato: quando capita, la persona non è più la stessa. Noi tutti, a partire dalla nascita, subiamo un processo di "insinuazione", nel nostro cervello, la finzione, in fasci lucenti, analizza e penetra nei nostri neuroni, dà loro una caramella e ne stabilisce il corso. In Letizia questo legame si era rotto, come una persona che abbia la testa e le gambe, ma non il busto.
Letizia quindi non capiva ciò che dicevano le persone. Gli creò qualche problema insino ai 7 anni: la gente sembrava parlare in un altro linguaggio incomprensibile, farfugliava cose senza senso o urlava a squarciagola frasi sconnesse che suonavano come una presa in giro.
Il giorno del suo settimo compleanno accadde qualcosa, come un flash nella testa che rivela mondi inesplorati e tesori nascosti. Continuava a non capire ciò che dicevano le persone, ma immaginava quel che intendevano.
Cominciò a frequentare una scuola normale, ad avere degli amici. Studiava insieme a loro ed otteneva ottimi voti, primeggiava nell'orale e nello scritto e d era l'obiettivo di ogni giovane pulzella. Già, si era fatto anche un bel ragazzo. Il suo sorriso, le sue parole, il suo sguardo fascinoso, le sue mani affilate come borse della spesa, i suoi capelli biondo cobalto, il suo fisico che sembrava scolpito in un meteorite alieno: questi attributi incantavano tanto i maschi quanto le femmine. Da emarginato per la sua menomazione, si trovò improvvisamente pieno di fama, amato da tutti e stimato dagli insegnanti. Sua madre fu convocata persino dai professori che, non conoscendo la sua menomazione, lo dipingevano come un giovane "saggio, arguto, maturo e dotato dell'incredibile capacità di dire la parola giusta al momento giusto".

Fine

Spoiler:
No, sto scherzando. Continua.