Certo, il paragone è possibile, ma classificarla come eutanasia no, qui la morte è legata al rifuto d'intervento, non viene ricercata attivamente come nell'eutanasia, se la malata avesse la possibilità di mantenere la sua integrità fisica sottoponendosi ad un intervento lo farebbe, non cerca "attivamente" la morte anche se il risultato alla fine è il medesimo, questo è un formalismo, ovviamente, ma in questo caso è decisivo...gorman
Mah... onestamente, pur ammettendo che si tratti di situazioni differenti, trovo che il parallelo con l'eutanasia ci stia tutto.
Se si cercano sottigliezze il paragone non ci sta, se si ragiona con una prospettiva un po' allargata, invece, trovo che sia pertinente.
Qui non si tratta di rifiutare una cura per rallentare il decorso di una malattia incurabile. Qui si tratta di rifiutare un intervento risolutivo, decidendo consciamente di morire. Sono dilatati i tempi, ma a conti fatti si chiede in ogni caso di morire. Un suicidio dilatato nel tempo.
Ma se sono in ospedale e sto morendo di cancro fra atroci dolori *non* posso chiedere e ottenere di suicidarmi con un'iniezione letale o cose del genere, nemmeno se sono io stesso a praticarmela. E qui, nella mia personalissima opinione, scatta un filo di ipocrisia...
Sull'ipocrisia che c'è alla base di questo, siamo d'accordo; trovo quantomeno stridente che per una scelta di non intervento si sia liberi di morire, mentre vivendo con una malattia terminale ineludibile, non si possa decidere autonomamente quando porre fine alla propria agonia..