Orbene, tutto comincia anni fa, in quel di Milano, durante l'allora grandiosa fiera dei cabinati (non mi ricordo... si chiamava JAMMA, o quello era il nome della fiera americana? Bho), che, é bene ricordarlo, al tempo erano la vera fonte del guadagno per le case software in Italia. Io, pischellino di nemmeno-mi-ricordo-quanti-anni-avevo, mi aggiravo estasiato in mezzo a quell'orgia videoludico-meccanica, fra cabinati che si muovevano, ruotavano, altri a tre schermi, altri a forma di moto (Hang-on! che figata!). Dopo aver dilapidato un pò di soldi qui e là, mi fermai davanti ad un cabinato che sapevo essere in giro, ma che non avevo mai provato prima: aveva due enormi pulsanti in gomma, e il classico joystick. Sullo schermo due tizi si menavano fra loro in maniera assolutamente spettacolare e coreografica, con balzi enormi, mosse spettacolari, colpi forti a seconda di quanto uno colpiva i punchingball che erano al posto dei tasti; e uno dei combattenti si mise pure a lanciare palle di fuoco! Street Fighter, bel nome mi dissi (manco sapevo che volesse dire all'epoca). Lo provai appena me lo laciarono libero, e mi esaltai moltissimo, anche se non avevo idea di come fare la palla di fuoco. Dopo un paio di scontri, ecco un tizio vicino a me, che infila il gettone ed entra in partita con un biondazzo vestito di rosso: mi mena e mi sbatte fuori. Tristo me ne vo, pensando alle mie 200 lire perse. Allora i picchiaduro ad incontri eranoo all'origine, per nulla diffusi, l'unico che conoscevo simile era il vecchio Karate Champ con le sue due manopole, ma non reggeva assolutamente il confronto con SF, sebbene condividesse con esso molte caratteristiche, fra cui i colori dei personaggi utilizzabili. Osservai per un pò alòtri tizi giocare, e capii come fare quella mossa speciale della palla infuocata, un calcio rotante e vidi che c'era un'altra mossa, un pugno con salto in alto, ma non capii come farla. Riprovai, e vinsi contro i primi due con cui lottai, ma persi con il terzo. Capii la magìa di quel sistema: se eri bravo, giocavi in continuazione con una sola moneta! Geniale. Mi allontanai dal cabinato, per osservare meglio, ed un signore si avvicinò a me e mi disse:"ti é piaciuto?". Mi girai a guardarlo: era italiano, e stava lì dietro ad osservare la piccola folla attorno a quel gioco con altri due uomini, giapponesi evidentemente. Si girò a parlare con loro (in giapponese! che figata!) e poi mi disse se poteva farmi delle domande. Dissi sì. Mi chiese che ne pensavo del gioco, cosa mi era piaciuto e cosa no, se perdere i soldi per colpa di un altro mi aveva infastidito e cose così. E poi mi chiese:"cosa ti piacerebbe che ci fosse, nel gioco? cosa potrebbe migliorarlo, secondo te?". Ci pensai un attimo. E venne l'idea. "Più personaggi. Giocare da solo é bello, ma in due é più divertente perchè combatti con qualcuno di vero, non finto. In quel gioco ci sono tanti personaggi diversi, ma tu puoi usarne solo due, e per di più uguali nelle mosse, cambia solo il disegno. Io vorrei poter usare il monaco, o magari il ninja, e avere una mossa per sparire, come quella che ha il karateka per tirare la palla di fuoco. Sarebbe bello se ci fossero molti personaggi fra cui scegliere, con tante mosse diverse fra loro, così uno può scegliere quello che gli piace di più o con cui gioca meglio, e se si stanca di fare sempre le stesse mosse può cambiare omino (ah, omino, che nostalgia )". L'italiano si girò a tradurre anche quest'ultima risposta ai due giapponesi; i due ebbero una specie di soprassalto, si guardarono e confabularono fra loro nella loro strana lingua, poi uno dei due (quello che non prendeva appunti) mi si avvicinò e, messasi una mano in tasca, mi mollò una manciata di gettoni (o monete, non ricordo... ricordo solo che erano quasi ventimila lire! Negli anni '80, ragazzi! e a 200 lire a partita facevano 100 partite!!!). L'italiano mi disse di prenderle, io sbavavo vistosamente ma mi vergognavo e diffidavo anche un pò, ma lui mi convinse dicendo che erano una ricompensa per i consigli. alla fine l'avidità sorpassò il dubbio e allargai le mani per acchiappare quella pioggia di dischetti metallici, che quasi non riuscivo a tenerli tutti. Un lieve inchino e i giapponesi con l'italiano se ne andarono via, ed allora mi accorsi che insieme alle monete c'era sulle mie mani un rettangolino di carta. Li avevo visti in tivù, era un biglietto da visita, come nei film americani. Solo che questo era tutto in giapponese, non si capiva nulla; c'era solo una parola sopra comprensibile, la stessa parola che avevo visto spesso sui monitor di tanti giochi in sala, una parola che allora era indizio che c'era un bel gioco dietro quello schermo: quella parola era Capcom. Buttai il biglietto, di cui non me ne fregava nulla, e giocai tutto il resto del giorno allegro come una pasqua.