cc84ars
Sull'ultimo numero della rivista che non si può nominare (oppure ora si può? mah) c'è uno spettacolare articolo del buon Adso da Melk sulle conseguenze del cross-platform sulle community online. Sostanzialmente, Adso sostiene - parole sue - che l'hardcore gamer pc asfalterà il consollaro in tutte le salse possibili. E secondo me ha ragione. Vi spiego pure perchè. Innanzitutto, prego di notare che questo topic NON incita al fanboysmo. Non sono mai stato un fanboy, e se non compro una console dai tempi del master system è solo perchè su console praticamente non uscivano rts, fps, wargames ed rpg occidentali, non per odio radicato. Mai fatta guerra di piattaforme, mi sentirei ridicolo. Voi siate altrettanto sobri nelle risposte, ve ne prego. Questo, però, è un topic reazionario, un topic scritto da uno che ha avuto il suo primo pc quando ancora, incredibile a dirsi, non tutti lo avevano. Uno che videogioca da quindici anni su ventitre e, da vecchio sclerotico, non vede di buon occhio certe novità della next-gen (ma pure un po' della old, eh). Mi perdonerete. Nella descrizione che fa Adso dell'HC gamer con il suo cuffione in testa e l'anima nello schermo, io vedo la difesa di una passione. Nell'immagine del boxaro stravaccato sul divano - sempre Adso, prendetevela con lui semmai - vedo quella passione diminuita a passatempo. L'HC gamer che si sputtana la tredicesima per l'ultima scheda grafica, quello che si sente morire dentro quando lo fraggano, ma anche quello che passa il sabato sera a inghiottire 300 pagine di manuale sul comando simulato degli u-boote, quello che si dimentica la fidanzata alla stazione per colpa della sindrome dell'ultimo turno - tipi diversi ma stessa lucida follia - questo soggetto tendenzialmente sociopatico incontra, sui campi di battaglia del cross-platform, l'utente console che passeggia bel bello - come il don abbondio di manzoniana memoria - e tra una pringles e l'altra cerca di non farsi sfuggire di mano il pad unticcio. Lo incontra, e lo asfalta. E questa vittoria che in sè e per sè non andrebbe oltre una soddisfazione da tiro al tacchino diventa il simbolo della ricompensa che una passione offre a chi la ama davvero. Come il primo notturno venuto bene per chi ha sputato sangue al conservatorio, mentre gli altri sono rimasti a suonar la tromba nella banda parrocchiale.
Eccolo quindi il cavaliere d'altri tempi, l'eroe senza macchia, saldo col suo razer in mano contro orde di nintendogs inferociti, party gamers vestiti alla malgioglio, cooking mamas che brandiscono il controller del wii a mo' di mattarello, enigmisti elettronici laureati alla big brain academy, bimbetti nutellosi che-la-ps3-cià-più-grafica. Contro l'allargamento del mercato anche a chi non c'azzecca niente, contro i giochini-DivertimentoPerTuttaLaFamiglia, contro il casualgamerismo del cuor leggero.
Eccolo lì a ricordarci - senza bisogno di scomodare Schiller - che il gioco è una cosa seria, serissima. Uno che ha sacrificato tempo, soldi, forze ed anche un pizzico di equilibrio mentale al videogioco - la cui unica ricompensa è un carniere pieno di tacchini impallinati. E, difficile da credere, gli basta.
p.s.: prego i mod di notare che qui si parla di archetipi e simboli, non di persone: per offendersi ci vorrebbe impegno.