Traduco un estratto da un articolo dell'Economist, per far capire che l'eccesso di laureati e la mancanza di manodopera qualificata causa un contrasto tra l'offerta e la domanda di lavoro che rappresenta un problema non solo in Italia, alla faccia del "laureatevi tutti e lottate per le università gratis!" (dove università gratis = sempre maggior degrado del valore del titolo di studio che già oggi è in molti casi equiparabile a un diploma aggiuntivo).
All'inizio di quest'anno Manpower, un'agenzia di collocamento, ha riferito che più di un terzo dei datori di lavoro in tutto il mondo non riesce a colmare i posti di lavoro di cui dispone. (...) Questa settimana McKinsey, una società consulente, ha riferito che solo il 43% dei datori di lavoro nei nove Paesi studiati in profondità (Stati Uniti, Brasile, Regno Unito, Germania, India, Messico, Marocco, Arabia Saudita e Turchia) pensano di poter trovare abbastanza manodopera qualificata da formare. Le aziende di medie dimensioni (tra 50 e 500 dipendenti) hanno una media di 13 posti di lavoro vacanti per chi comincia da zero, mentre le grandi aziende ne hanno 27.
Cosa sta succedendo? E come dovremmo agire? McKinsey insiste nel dire che gran parte del problema risiede nel fatto che l'istruzione e i datori di lavoro operano in universi paralleli — e buona parte della soluzione consiste nell'unire questi due universi: mettere i responsabili dell'istruzione nei panni dei datori di lavoro, e i datori di lavoro nei panni dei responsabili dell'istruzione, con gli studenti che si muovono tra i due.
Il miglior modo per farlo è rinnovare l'istruzione professionale che, al di fuori dei paesi a lingua tedesca, è stato trattato come il parente povero del sistema educativo. Gli Stati hanno versato denaro nelle università. Le università hanno fatto gara a chi si autocompiace di più. Il risultato è che genitori e figli hanno snobbato le scuole professionali: vari studenti interrogati da McKinsey hanno scelto un percorso accademico nonostante sapessero che con una scuola professionale avrebbero avuto più possibilità di trovare lavoro.
Ma alcuni Paesi, scuole e aziende lungimiranti si stanno impegnando nel rinnovamento della scuola professionale, afferma McKinsey. La Corea del Sud ha creato una rete di scuole professionali — chiamate scuole "meister", dal tedesco per "maestro artigiano" — per ridurre la scarsità di operatori meccanici e idraulici. Lo Stato paga agli studenti vitto, alloggio e retta. Inoltre si rivolge a loro come "giovani meisters" per contrastare l'ossessione del Paese con i titoli accademici (la Corea del Sud ha una delle più alte percentuali di iscrizioni all'università).
(articolo intero: http://www.economist.com/news/busine...rd-highs-great)
Certo non è una cosa semplice, servono investimenti (come sempre, in tutto) ma possibilmente privati visto che da noi lo sappiamo che fine fanno gli investimenti pubblici. Inoltre serve abbattere quella barriera culturale che spinge i genitori a far iscrivere i propri figli al liceo e poi all'università per una mera questione di prestigio quando è inutile negare che, in Italia più che altrove, gli istituti tecnici e le scuole professionali sono le opzioni migliori per trovare lavoro essendo il nostro un Paese non in grado di assorbire laureati in quantità mancando la struttura industriale adeguata. Ovviamente le scuole stesse, grazie agli investimenti, devono sapersi evolvere perché se si presentano esse stesse come scelte di bassa lega o con ambienti non tutelati né amichevoli non si va da nessuna parte.