non ho letto il libro nero del comunismo.
vorrei iniziare una discussione partendo da questa critica
Minimo storico ha deciso di affrontare periodicamente la discussione collettiva su un testo di particolare importanza. L'importanza può essere determinata da diversi fattori: la rilevanza scientifica, il rilievo del tema scelto, la ripercussione sui media, o una sintesi delle varie motivazioni.
La discussione collettiva su Il libro nero del comunismo ha visto emergere una duplice modalità di lettura del testo. Una tendente a valutare il lavoro di ricerca storica che è alla base delle ricerche, l'altra a discutere il progetto editoriale e culturale che ne sta alla base, e che ha suscitato un intenso dibattito sugli organi di informazione. Per quanto riguarda il primo livello della discussione, le valutazioni sono state piuttosto concordi. Riconosciuta la dignità storiografica del lavoro di Werth, vero libro nel libro (oltre 200 pagine) e sintesi informata delle <<Violenze, repressioni e terrori nell'Unione Sovietica>>, hanno lasciato molto più perplessi gli altri scritti e soprattutto il quadro d'insieme con cui le ricerche sono state presentate. L'introduzione e la postfazione, nonché molti dei saggi, operano una semplificazione della storia, una decontestualizzazione dei fatti e una uniformizzazione dei fenomeni che non solo sono poco utili alla comprensione degli stessi, ma inducono a generalizzazioni assai poco consone al dovere di distinzione e di spiegazione che deve avere lo storico. In particolare, è stato evidenziato come Il libro nero del comunismo si pone in realtà come una ambiziosa storia del comunismo, riassunto nell'unica categoria indistinta di crimine. La molteplicità di esempi e di studi locali addotti vale allora come semplice elencazione e disseminazione geografica del fenomeno, ma non comporta nessuna specificazione dello stesso. Il termine crimine è stato sottoposto a discussione: soprattutto è stata discussa la sua possibilità di essere usato come categoria storiografica. E' emerso che, posta la necessità e l'utilità di utilizzarlo per alcuni fenomeni particolarmente efferati (il gulag, lo sterminio dei kulaki, gli stermini in Ucraina), l'uso del termine crimine nel libro appiattisce e unifica fenomeni diversi allorché, ad esempio, la guerra civile seguita alla rivoluzione viene inquadrata nella stessa categoria del gulag, discussa come crimine, allorché vengono poste come crimine le carestie senza differenziarne la genesi e il contesto storico (una cosa è la carestia seguita all'ininterrotto periodo bellico 1914-1921, una cosa la carestia dei primi anni trenta seguita alla collettivizzazione forzata delle campagne). Soprattutto, comunque, il volume è sembrato un lavoro regressivo dal punto di vista delle acquisizioni storiografiche, in quanto ignora tutta la storiografia sui campi di concentramento sovietici e si pone come novità. laddove la novità sta soprattutto nell'operazione di macabra contabilità. E' inoltre stato messo in rilievo come la base documentaria utilizzata dalla maggior parte dei contributi sia assolutamente insufficiente per un serio lavoro di ricerca, mentre qualche saggio è addirittura privo di documentazione. Il discorso è dunque passato sul tipo di operazione culturale ed editoriale posta in opera dagli autori. L'operazione di Courtois (che due degli autori, Werth e Margolin, non hanno accettato) ha portato ad una semplificazione storiografica utilizzabile sia a fini politici sia a fini editoriali. E stato notato come il libro abbia avuto ampia diffusione in Francia e Italia, paesi la cui storia recente è stata caratterizzata dalla presenza di forti partiti comunisti. Sono emerse delle linee differenti di giudizio sul carattere dell'operazione editoriale. Secondo alcuni, nonostante la scarsa rilevanza storica di molti saggi e dell'introduzione, il libro ha comunque una validità data dall'essere soprattutto un'opera di divulgazione. Il libro cioè sfonda un muro di omertà che in Francia come in Italia ha impedito a lungo di considerare la natura criminale del comunismo e ha impedito la diffusione di notizie sulle reali atrocità commesse dai regimi comunisti. Si è evidenziato anche come negli stessi testi scolastici e nella vulgata storiografica certe informazioni e certe nozioni sono sempre state ignorate. Altri negano invece ogni valore divulgativo al volume, considerandolo invece, oltre che un'operazione commerciale scaltra e furba, anche un'operazione di uso strumentale della storia che, oltre ad essere orientata politicamente, è diseducativa dal punto di vista della stessa divulgazione. Omette infatti la necessità della contestualizzazione (che non è giustificazione ma comprensione) e della distinzione. Compito di uno storico, e su questo punto si è avuta una unità di opinioni, è quella di indirizzare ad una lettura più corretta del volume. Il gruppo di Minimo storico ha così deciso di contribuire al dibattito offrendo una lettura più meditata del testo, passando in rassegna le basi documentarie del Libro nero, offrendo approfondimenti storiografici basati su testi già noti in occidente da leggere prima o insieme al Libro nero, suggerendo tracce per ulteriori ricerche. La constatazione di una scarsa cultura storiografica esistente anche nel lettore medio più informato ha portato a valutazioni sulle difficoltà della divulgazione storica in Italia, sul fatto che essa finisce con l'essere fatta solo a suon di scoop e di "revisionismi" culturalmente poco dignitosi e puliti, sul fatto che effettivamente libri e materiali che pur contenevano le informazioni date dal Libro nero, benché esistenti, sono in realtà state lette solo da specialisti. Il gruppo ha concordato che la discussione sul libro, a parte la scarsa validità storiografica dell'oggetto, è stata utile in quanto persone con differente specializzazione e con differenti interessi e oggetti di ricerca hanno potuto confrontarsi su un tema che pone in gioco la questione dell'uso pubblico del lavoro degli storici.
Carmelo Adagio