NON TUTTO È PRONTO PER LA NUOVA AVVENTURA, MA MOLTO È GIÀ STATO FATTO PER PREPARARLA. MANCA ANCORA IL CASUS BELLI, MA FRA CAMPAGNA MEDIATICA SUL NUCLEARE IRANIANO, MANOVRE MILITARI E RUOLO DI ISRAELE, L’OBIETTIVO SEMBRA IDENTIFICATO.
da L’Ernesto di dicembre-novembre 2004
di Giulietto Chiesa
Venerdì 27 agosto 2004 la CBS rivela l’avvio di un’inchiesta su una talpa all’interno del Pentagono che avrebbe fornito informazioni e dati molto sensibili ai servizi segreti israeliani...
Si dice trattarsi di un funzionario di medio livello, ma il nome non emerge.
Sarà il Washington Post, due giorni dopo, a rivelare il nome della talpa israeliana: Larry, cioè Lawrence A. Franklin. In realtà, come scopriremo tra poco, Larry non è affatto un funzionario di medio livello, ma uno degli aiutanti in campo di Paul Wolfowitz, uno dei falchi dell’Amministrazione Bush, vice-segretario alla Difesa e parte del gruppo che fa capo ad altri due potenti neocon come Douglas J. Feith, sottosegretario alla Difesa, e Abram Shulsky, entrambi impegnati nell’Office for Special Plans, incaricato di orientare i media nella preparazione alla guerra.
Chi ha dato l’informazione a CBS e Washington Post non lo sapremo né presto né tardi, ma appare subito evidente che è in corso un’operazione di smascheramento guidata da altri ambienti del Pentagono e, probabilmente, della CIA e del Dipartimento di Stato. Gli uni e gli altri, insieme ad ambienti legati al Partito Democratico, avevano buone ragioni per temere sviluppi sgraditi. Settori militari già scottati dalla preparazione e conduzione della guerra secondo le modalità imposte da Donald Rumsfeld; alti livelli della CIA, a loro volta costretti a pagare prezzi per errori commessi da altri: è da lì, sicuramente, che escono le rivelazioni anonime. Ma l’odore di manovra politica non diminuisce la gravità delle rivelazioni. L’essenziale è sapere che c’è molto arrosto dietro quel fumo.
In realtà i due grandi organi d’informazione americani sono arrivati con grande ritardo su una pista che già era stata individuata sul web. Il 6 giugno il giornalista We b s t e r Griffin Tarpley aveva già individuato in Lawrence Franklin in un articolo intitolato "Rogue Bush Backers Prepare Super 9/11 False Flag Terror Attacks",1 dove veniva indicato lo scopo del lavoro della talpa e del gruppo di cui essa faceva parte: "espandere la guerra a paesi vicini, in particolare l’Iran".
In quel momento, nell’avvicinarsi delle elezioni presidenziali americane, l’idea sembrava quella di una "sorpresa di ottobre", da cucinare a uso e consumo elettorale. Nelle intenzioni avrebbe dovuto costituire un detonatore sufficientemente potente da innescare un’esplosione.
Come minimo elettorale. L’ipotesi di Tarpley era che una rete di funzionari direttamente legati ai neocon stesse predisponendo le pre-condizioni per far scattare una provocazione che avrebbe potuto, a sua volta, invischiare gli Stati Uniti in una guerra con l’Iran.
Come? Con un attacco preventivo dall’aria sugl’impianti nucleari iraniani. Compiuto da chi? L’ipotesi di lavoro è nelle cose. Larry Franklin lavorava per Israele. Naturalmente la questione (come è sempre, senza eccezione, in questi casi) richiedeva un casus belli per motivare l’offensiva.
E qui il gruppo Wolfowitz-Feith-Shulsky era proprio il centro operativo necessario, anche se non sufficiente. Era questo lo stadio in cui Franklin viene colto con le mani nel sacco: la preparazione dell’o ccasione e la sua copertura mediatica.
Il contorno dei fatti mediatici conferma del resto con assoluta puntualità questa ipotesi di lavoro. Tutti i media conservatori americani legati al Partito Repubblicano stavano infatti battendo da oltre un anno la grancassa iraniana; i toni si erano venuti accentuando con la ripresa delle ostilità sul territorio iracheno e mesi dopo la dichiarazione di vittoria, di "missione compiuta", dispiegata dal presidente in persona a bordo di una portaerei americana nel Golfo Persico. Chi lavora al nuovo progetto bellico si propone di rovesciare le sorti mediatiche, riportando l’Amministrazione all’offensiva. Chi rivela il retroscena vuo- le mettere in difficoltà il progetto, bloccarlo e costringere sulla difensiva Rumsfeld e Wolfowitz, Bolton e Condoleeza.
In effetti è probabile che nulla sia accaduto di più grave, prima delle elezioni, e che George Bush & Company abbiano dovuto accontentarsi della molto tempestiva apparizione in extremis di Osama bin Laden per racimolare i tre punti percentuali necessari per vincere, proprio perchè ad agosto scoppiò il caso di Franklin e costrinse i manovratori a schiacciare il pedale del freno.
Ma l’analisi dei dati dice che il progetto non è stato accantonato, e indica che le intenzioni del gruppo di cospiratori sono assai precise e hanno una evidente valenza strategica. Se ciò che progettavano si fosse realizzato prima del voto di novembre, il risultato elettorale di Bush sarebbe stato assicurato. Ma non si mette in moto una macchina del tipo che descriveremo tra poco solo per vincere una campagna elettorale. Così come si può essere certi che chi organizzò l’11 settembre non stava concependo soltanto un atto colossale di terrorismo, ma stava organizzando un cambio di marcia per l’intero pianeta.
Allarme esagerato? Ai fresconi di turno – assai numerosi nella categoria giornalistica – che a questo punto si affanneranno a denunciare la dietrologia, suggeriamo di pazientare un attimo e di leggere con attenzione fino in fondo. I primi a non prendere sottogamba queste informazioni sono infatti proprio i dirigenti iraniani. Il 18 agosto, una settimana prima delle rivelazioni della CBS e del Washington Post, il ministro della difesa iraniano, Ali Shamkani, dice ad Al Jazeera: "Noi non staremo ad aspettare ciò che altri si preparano a farci". E precisa: "Alcuni comandanti militari in Iran sono convinti che le operazioni preventive, di cui gli americani parlano, non sono un loro monopolio"2. Cioè comunica, sebbene ellitticamente, e attribuendolo a comandanti militari nervosi: state attenti, perchè se ci accorgiamo che state per attaccare, allora potremmo essere noi ad attaccarvi per primi.
A chi si rivolge Shamkani?
Sicuramente, in primo luogo ad Israele. E in secondo luogo agli Stati Uniti. I missili iraniani non possono raggiungere gli Stati Uniti, ma possono colpire Israele. E possono colpire anche, come vedremo, le forze aeronavali americane impegnate nel Golfo, e che lo sarebbero su scala di gran lunga maggiore in caso di guerra con l’Iran. Vedremo tra poco che l’Iran non è armato dei vecchi e imprecisi Scud di derivazione sovietica: ne ha molti e molto più moderni; non più sovietici ma russi. Il che, tra le altre cose, dovrebbe indurre a un maggiore scetticismo tutti gli entusiasti che interpretano in modo univocamente amichevole i sorrisi di Vladimir Putin mentre incontra George Bush.
Ma tornando ad Ali Shamkani, sarà utile ricordare che il ministro della Difesa iraniano parlava ad Al Jazeera il giorno dopo il discorso tenuto da John Bolton (sottosegretario di Stato per il controllo degli armamenti e la sicurezza internazionale) nelle aule dell’Hudson Institute di Washington. Il nocciolo del discorso di Bolton è contenuto in questa frase, con la richiesta imperiosa di portare il dossier del nucleare iraniano di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’ONU: "Noi non possiamo permettere che l’Iran, uno sponsor tra i principali del terrorismo internazionale, si procuri armi nucleari e i mezzi per farle arrivare sull’Europa, sua gran parte del Medio Oriente e dell’Asia Centrale, o addirittura oltre".
Di nuovo non viene nominato Israele, e anzi si parla in modo da distribuire la paura su un vasto numero di potenziali alleati, ma è chiaro che Israele è incluso tra coloro che devono avere paura.
Condoleeza Rice – che ora, a totale scorno degli ottimisti che si aspettano una svolta multilateralista della seconda Amministrazione Bush, va a guidare il Dipartimento di Stato al posto di Colin Powell – aveva ripetutamente sollevato il problema, con toni perfino più accalorati di quelli di John Bolton, nelle ultime riunione del Consiglio per la Sicurezza nazionale da lei allora guidato.
E a Teheran certo non potevano non avere notato l’articolo che Charles Krauthammer aveva pubblicato sul Washington Post 3: "La rivoluzione (in Iran, ndr) che noi attendiamo da lungo tempo non sta avvenendo. E ciò rende sempre più urgente la questione di un attacco preventivo. Se nulla sarà fatto, allora un regime fanatico e terrorista, che non fa mistero di voler distruggere il Grande Satana, disporrà sia di armi nucleari che di vettori per portarle sugli obiettivi. La scelta che noi abbiamo di fronte è questa: o una rivoluzione o un attacco preventivo". Poichè tutti sanno che Krauthammer va a cena tutte le sere con i Repubblicani e con alti funzionari del Pentagono, il segnale non poteva essere più esplicito.
Torniamo allora alla talpa Larry Franklin. Che aveva fatto di tanto grave? Aveva "passato" ai servizi segreti israeliani, per i quali lavorava, oltre a collaborare con Paul Wolfowitz, una serie di importanti, anzi cruciali documenti riservati. Vi erano connessi diversi "affari" poco puliti, come quello di Va l e r i e Plame, quello Chalabi, quello dell’uranio che Saddam avrebbe tentato di comprare nel Niger. La talpa – secondo un ex agente della CIA intervistato dalla CNN – aveva potuto scavare direttamente negli uffici della Sicurezza nazionale, del Pentagono e della CIA. Con una certa dose di probabilità era stato proprio Larry Franklin a far sapere a un giornalista che Valerie Plame era un’agente della CIA. Un funzionario del Pentagono che rivela un segreto del genere non è cosa così frequente. Tanto più se la spia che viene così smascherata è anche la moglie di un ambasciatore. Si trattava di una vendetta, infatti, scatenata contro Joseph Wilson, ambasciatore americano che si era rifiutato di avallare (dopo aver verifi- cato, per incarico ufficiale dell’Amministrazione USA) la notizia, falsa, che l’Irak di Saddam Hussein aveva cercato di acquistare una partita di ossido di uranio (yellowcake uranium) nello stato africano del Niger. Serviva per sostenere la tesi che Saddam aveva, o stava per avere, l’arma nucleare.
In realtà l’intera faccenda era risultata – come Wilson aveva potuto accertare andando di persona a Niamey, la capitale del Niger – una grossolana falsificazione. Ma, mentre Wilson comincia a rendere nota la bugia dell’ossido di uranio del Niger, ecco che qualcuno, dall’interno del Pentagono – per metterlo in difficoltà, spiattella la notizia della moglie spiona.
Lo scandalo fa da detonatore. Da qui scatta l’inchiesta indipendente, in cui incappa Larry Franklin e un altro personaggio noto al pubblico italiano per le sue apparizioni in alcuni talk-show durante la guerra irachena. Si tratta del prof.Michael Ledeen. Uomo ben noto in Italia, non solo al pubblico televisivo, Ledeen è ufficialmente un ricercatore e uno studioso di cose medio-orientali, ma ha avuto parte intensa nell’affare Iran-Contras, ai tempi di George H.W.Bush (padre), insieme al generale Pointdexter, a Oliver North e altri.
Nell’ambito dell’inchiesta su Larry Franklin la talpa, anche Michael Ledeen è indagato, e la ragione e duplice. In primo luogo: dove appaiono per la prima volta i falsi documenti sull’uranio del Niger?
Guarda caso, proprio in Italia, consegnati ai servizi di sicurezza italiani e fatti per venire alla CIA. Ma emerge anche che Ledeen è stato molto attivo, nel dicembre 2001, per rimettere in piedi la "connessione iraniana". Come? È stato accertato che in quel mese, appunto, Ledeen organizza, a Roma, un incontro lungo tre giorni tra due funzionari civili del Pentagono, di area neocon, e Manucher Ghorbanifar, un commerciante d’armi iraniano ben noto alla CIA per servizi resi in precedenza all’agenzia. All’incontro romano presero parte anche due funzionari (la cui identità non è stata rintracciata) del governo iraniano.
Ma i nomi dei due funzionari civili del Pentagono sono noti: Harold Rhode e (guarda chi si rivede!) Larry Franklin.
Harold Rhode non è personaggio di poco conto. Lo ritroviamo come inviato a Baghdad dell’Ufficio per i Piani Speciali del Pentagono e uomo di contatto con Chalabi, allora ancora molto amico degli Stati Uniti d’America, subito dopo la "vittoria" sull’Irak.
Da un’intervista rilasciata a News week4, il mercante d’armi Ghorbanifar rivela di avere avuto contatti molto intensi con Rhode e Franklin, al ritmo di "cinque o sei volte la settimana", nel giugno 2003, e di aver incontrato in seguito Rhode a Parigi. Cosa avevano da dirsi di tanto importante i tre personaggi? L’inchiesta è ancora in corso. Ma stiamo attenti alle date, e qualche cosa capiremo. Ghorbanifar e i due americani del Pentagono s’incontrano spasmodicamente a giugno. Poco più d’un mese prima, il 21 aprile, George Bush aveva pronunciato due discorsi che segnalavano una evidente escalation verbale e psicologica, tendente ad accrescere la quantità adrenalinica di paura nel grande pubblico.
[CONTINUA...]