Black Mirror – Recensione

Chiariamo subito una cosa: nonostante il titolo sia lo stesso, Black Mirror non ha assolutamente niente a che fare con l’omonima serie TV di Netflix. Ciò non toglie che sia comunque una delle saghe che, almeno per chi scrive, ci ha segnato più di altre, principalmente per la qualità dello storytelling e le tematiche oscure che l’hanno caratterizzata fin da principio. Uscita per la prima volta negli Anni 2000, si tratta di un’avventura grafica punta e clicca molto canonica, che tuttavia negli anni è riuscita a guadagnarsi un seguito grazie ai suoi personaggi e alle sue vicende intricate.

Oggi, a più di dieci anni di distanza da quelle che per molti sono delle vere e proprie perle, ecco che un coraggioso team di sviluppo di nome King Art Games, sotto l’ala protettrice di THQ Nordic, decide di “rebootare la serie”. Ricominciare daccapo, in altre parole. Solitamente quando si sente la parola reboot i brividi cominciano a salire lungo la schiena e si è subito assaliti da mille preoccupazioni… e pregiudizi. In questo caso, tuttavia, potete dormire sonni  tranquilli, visto che hanno partecipato al progetto anche alcune delle persone chiave che lavorarono a suo tempo sulla trilogia originale. Lungi da essere un claim pubblicitario, la presenza di questi sviluppatori ha contribuito in maniera determinante a mantenere vivo lo spirito dell’opera originale anche nel reboot.

La storia inizia in Scozia, nel 1926, dove in seguito al suicidio del padre David Gordon decide di tornare nella casa che ha ospitato la sua famiglia per intere generazioni. Ben presto, tuttavia, Gordon si ritrova coinvolto in misteriosi eventi, che lo portano a indagare su quale forza oscura abbia portato col tempo alla follia molti dei suoi antenati. Pad alla mano, la prima cosa che salta subito all’occhio è l’efficacia con cui il team di sviluppo è riuscito a rendere più moderna l’esperienza di gioco, senza allontanarsi troppo dalle origini della serie. Per fare ciò, gli sviluppatori hanno ben pensato di abbracciare (in parte) il genere delle neo-avventure grafiche, come ad esempio i titoli targati Telltale Games o Until Dawn. Approviamo completamente questa scelta, che probabilmente allontanerà i puristi e i maniaci del punta e clicca tradizionale, ma permette al gioco di essere fruibile anche nel 2017, esaltando la qualità dello storytelling.

Dispiace notare, tuttavia, come la legnosità dei controlli influisca, e non di poco, sull’avanzamento nell’avventura. Vi potrà capitare infatti di dover ricaricare l’ultimo salvataggio, perché all’improvviso il vostro personaggio non si muove più, o semplicemente perché la telecamera si è inceppata. Nulla di estremamente grave, ma in un gioco del 2017 ci si aspetterebbe un maggiore controllo da parte del reparto quality assurance, soprattutto quando si tratta di correzioni e limature che si potrebbero effettuare con poco dispendio di tempo. Si segnalano anche alcuni sporadici bug grafici, che minano in parte la qualità cinematografica dell’avventura tutta. Peccato anche per i continui e lenti caricamenti presenti al varco di ogni singola porta, che spezzano e non poco il ritmo dell’avventura e rendono l’esplorazione abbastanza frustrante, considerato il backtracking richiesto in certi momenti dal gioco.

Fortunatamente ci sono tanti aspetti che salvano il gioco, su tutti la direzione artistica gotica e cupa, che riesce a trasmettere un costante senso di angoscia, pescando a piene mani dall’immaginario dei racconti di Stephen King. Il team non si è limitato a citare il Re di Portland, ma l’ha reso parte integrante della narrazione: molto spesso infatti, esplorando il gigantesco maniero in cui è ambientato il gioco, vi capiterà di sentire il protagonista parlare di alcune opere del grande scrittore. Al di là delle influenze letterarie, il gioco ha una grammatica visiva molto efficace, grazie anche a un motore grafico di buona fattura, che propone degli ottimi effetti di luce e una modellazione poligonale di personaggi e ambienti davvero molto ricca di dettagli, che esalta la pregevole direzione artistica (nonostante gli artist avrebbero potuto fare di meglio per quanto riguarda i volti). Degno di nota anche l’aspetto audio, con musiche in grado di accompagnare perfettamente l’azione su schermo e di rimanervi addosso anche quando chiudete il gioco.

A livello di game design, gli enigmi davanti ai quali vi ritroverete sono eterogenei nella natura e nella difficoltà. Alcuni metteranno a dura prova il vostro spirito d’osservazione, mentre in altri dovrete letteralmente prendere un foglio di carta, una penna e farvi qualche calcolo (nulla di eccessivamente complesso comunque). Infine, per altri ancora vi occorrerà esplorare per bene l’ambiente circostante in cerca di oggetti e indizi che possano aiutarvi ad andare avanti. Rispetto a quanto poteva accadere nel recente Broken Sword uscito su PlayStation 4, qui non vi ritroverete mai ad avere a che fare con enigmi privi di senso logico. Prendendo più di una lezione dalle avventure Telltale, il titolo di King Art diluisce la componente puzzle, miscelandola con lo storytelling senza soluzione di continuità. Va detto che nonostante il cambio di passo e l’orientamento verso le neo-avventure, il team di sviluppo è riuscito comunque a restare molto fedele al materiale di partenza.

Nonostante le forte tinte horror, a differenza di altre produzioni odierne in Black Mirror non ci sono jumpscare, in quanto il tipo di tensione che respirerete esplorando il gigantesco maniero è molto più psicologica, con dei momenti dove non saprete se quello che sta accadendo è un incubo o se invece stia accadendo solo nella vostra mente. In pratica a tratti, vi sentirete come se steste giocando al primo The Evil Within, ovviamente senza i mostri e tutto il sangue che caratterizza il lavoro di Shinji Mikami. E questo è uno degli aspetti che mi è piaciuto di più. King Art Games è riuscita nel non facile compito di riavviare una serie storica: il nuovo Black Mirror, infatti, non solo regge il confronto con la vecchia trilogia, ma riesce nel non facile compito di esserne un degno erede. Una nota: per giocare al reboot non è necessario aver giocato gli originali, anche se qualche strizzatina d’occhio è comunque presente per appagare i fan dei giochi precedenti.

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