Ritrovarsi in una buia cella sotterranea assieme a uno scheletro e un materasso malconcio non dev’essere proprio una bella esperienza, soprattutto quando si riesce a fuggire da quello sporco cubicolo solo per scoprire di essere stati rinchiusi nel seminterrato di una casa abbandonata da quello che pare essere un serial killer. È così che inizia l’avventura del protagonista senza nome di ENKI, il nuovo gioco sviluppato dagli italianissimi Storm in a Teacup, già creatori dell’esclusiva Xbox One NERO.
REPETITA IUVANT?
Sulla carta, ENKI si propone come un’esperienza horror dotata di un innovativo sistema di randomizzazione, che farà sì che ognuna delle brevi partite sia diversa dalle precedenti, a prescindere dal fatto che l’avatar del giocatore sia riuscito o meno a fuggire dalla prigione improvvisata nei trenta minuti a sua disposizione. Perché sulla carta? Il motivo è presto detto, e ci tengo a precisarlo sin da subito: la generazione random, di fatto, non esiste.[quotedx]il tutto viene narrato attraverso una decina di documenti e libri buttati lì[/quotedx]Le componenti influenzate da questo meccanismo sono estremamente ridotte: a parte la posizione di alcune chiavi e degli oggetti essenziali per la risoluzione degli enigmi, tutto il resto non subisce alcuna trasformazione, che si parli dei banalissimi puzzle, dei documenti che celano le motivazioni che muovono l’assassino, o degli indizi sulla sua identità. Almeno i jump scare saranno disposti in maniera casuale, no? Neanche per sogno, anche questi si presentano sempre negli stessi punti e nelle medesime, telefonatissime occasioni, con la conseguenza che il gioco smette di provocare quel poco di tensione già dopo il primo playthrough, esaurendo in una ventina di minuti appena tutto l’appeal che ogni buon horror che si rispetti dovrebbe avere. E che dire della trama? Un minestrone al cui interno viene buttato di tutto e di più, dall’esoterismo, alla mitologia, passando per le pseudoscienze come l’alchimia e arrivando addirittura all’occultismo praticato attraverso dispositivi hi-tech: il tutto viene narrato attraverso una decina di documenti e libri buttati lì, senza alcun senso logico.
DIECI ANNI FA, OGGI
Come se non bastasse, da un punto di vista prettamente tecnico ci troviamo di fronte a un completo disastro: il gioco è afflitto da crash continui e, quando si ha la fortuna di non finire per direttissima sul desktop, ci si “gode” un’esperienza minata da un frame rate altamente instabile. La frequenza di aggiornamento ballerina, poi, non è neanche giustificata da chissà quale dettaglio grafico: tutto sembra essere uscito direttamente da una console della scorsa generazione all’inizio del suo ciclo vitale.[quotesx]da un punto di vista prettamente tecnico ci troviamo di fronte a un completo disastro[/quotesx]Per non parlare del comparto sonoro, composto dai quattro o cinque rumori ripetuti allo sfinimento a intervalli regolari, senza nemmeno una traccia musicale al di fuori di quella derivativa che si può ascoltare mentre si naviga tra i menu. Ecco, parliamo anche dei menu: non è accettabile che nel 2015 manchi la possibilità di personalizzare il livello di dettaglio grafico al di fuori della scelta della risoluzione e del livello del filtro antialiasing. Preferisco non usare mezzi termini: ENKI è un gioco brutto da qualsiasi lato lo si voglia analizzare. Non solo, è un prodotto abbozzato che pare sia stato lanciato sul mercato in fretta e furia per non si sa bene quale motivo. Sembra quasi il prototipo in pre-alpha di un progetto ben più grande, e se fosse stato presentato in questo modo non ci sarebbero stati problemi: il guaio è che vengono richiesti 9,99 euro, un prezzo esorbitante per un titolo che si può tranquillamente portare a termine in una decina di minuti ottenendo l’epilogo “migliore”, un paio di ore al massimo se vorrete dare un’occhiata a tutti i sei finali e sbloccare ognuno dei quindici obiettivi, ma per questo bisogna essere dei veri masochisti.