π-retro #0 – Prefazione

La magniloquente ouverture, dove il Poeta del Vintage sussurra: “Io c’ero. E voi?”

Benvenuti a questa nuova rubrica sui giochi vecchi. Già, pare che a qualcuno ancora interessino i giochi vecchi. Questo nonostante esistano Gears of War 2, Crysis, Uncharted e quant’altro. Eppure esiste effettivamente una piccola ma tenace cerchia di giocatori che, per varie ragioni, non riesce, né vuole, dimenticare il passato videoludico. Qualora voi non apparteniate a questa cerchia, siete pregati di andarvene da un’altra parte, perché qui sì parla di retrogaming. Diamine, avete fior fior di sezioni, proprio qua dovevate capitare? Ma no, dai, scherzo! Tutti sono, ovviamente benaccetti. Questo spazio non vuole essere l’ennesima enclave di maniaci asserragliati nella convinzione che esistano solo i “bei vecchi tempi andati”, di integralisti che vaneggiano di un’età dell’oro oltre la quale c’è stato solo l’oscurantismo del 3D e delle texture. Non è così. Viviamo nel migliore dei mondi videoludici possibili: indefinitamente migliorabile, certo, ma hey, non ce la passiamo poi così male, la varietà di sistemi e di modi di videogiocare non è mai stata tanta. Come siamo arrivati a questo punto? Che diavolo è successo agli albori della storia dei videogame, quali aminoacidi si sono ibridati nel brodo primordiale digitale, per far sì che l’evoluzione dei giochi sia stata tale? Il presente non è altro che l’intreccio dei passati percorsi possibili da cui è emersa una strada evolutiva, e per capirlo è proprio al passato che occorre guardare. È valido in generale, è valido per i videogame: chi non conosce la storia è schiavo delle mode.

Questo è l’approccio di π-retro (che si legge Pi-Retro): gettare uno sguardo al passato per capire il presente, e magari azzeccarci qualcosa del futuro dei videogame, facendo quadrare il cerchio dei corsi e ricorsi videoludici.

Per quanto possibile, eviterò di sciorinarvi una pura e semplice sequela di recensioni di questo o quel classico del passato. Andiamo, esistono migliaia di siti, così, alcuni splendidi, enciclopedici, feticistici, maniacali. Il che è ottimo, perché così potrò dedicarmi a qualcosa di un po’ differente: ricostruire, almeno un po’, l’atmosfera che si respirava in quegli anni. Pensateci: i videogame, più di altri mezzi di comunicazione, risentono del contesto. Con quale periferica si giocava ad Arkanoid? Quanto costava, nel 1972, una partita a Pong? Ma è vero che per giocare in sala giochi a Dragon’s Lair nel 1984 bisognava fare file anche di mezz’ora? Davvero è esistita un’epoca in cui i videogame orientali ci mettevano anni per farsi vedere anche qui da noi? (Ok, in questo caso è vero anche per il presente, cazzarola!). E ancora: com’è che nell’Italia degli anni Ottanta potevano uscire in edicola collection di giochi perfettamente localizzati nella nostra lingua eppure fatti senza il permesso dei publisher originali? E quali sono i giochi che sono stati acclamati come classici all’epoca della loro uscita, salvo poi cadere rapidissimamente nel raggelante dimenticatoio videoludico, a torto o a ragione?

Li scrivo un po’ a casaccio come mi vengono in mente, i tanti modi di “ritrarre” i videogiochi in azione nella loro epoca. E a voi? Ve ne vengono in mente altri? Avete curiosità in merito a questi ultimi quaranta e passa anni della storia dei videogame? Be’, io c’ero, magari posso aiutare. Sono del 1974, non c’ero proprio fin dagli albori, e in alcuni casi c’ero ma non capivo niente (ricordo ancora lo shock della mia prima partita a Space Invaders, a sei anni con immancabile volo giù dallo sgabello). Ma di certo c’ero quando le ragazze in sala giochi impazzivano per Frogger, c’ero quando i sequencer per Amiga rendevano la musica un gioco più intrigante di molti giochi propriamente detti, c’ero quando gli ultrà nel bar davanti allo stadio ti rispettavano se sapevi giocare a Circus Charlie nonostante tu avessi 11 anni e non ne capissi niente di calcio. C’ero quando in sala giochi per tutto il pomeriggio ascoltavi sempre lo stesso disco dei Van Halen, assieme a un sovrapporsi dodecafonico di suoni provenienti da quaranta coin-op. C’ero quando l’amico smanettone aveva scaricato Doom shareware con un modem che arrancava a pochi bit/secondo. C’ero in infiniti mondi, in infinite vite, a volte anche in vite infinite se il cheat code funzionava. E c’ero anche quando arrivarono gli emulatori, commerciali e non, e qualcuno cominciò a parlare di retrogaming, e molte persone si resero conto che avere una 3DFX e una Vodoo non era così per forza di cose vitale, e che non è tutto next-gen quello che luccica.

C’ero, e se state ancora leggendo, forse c’eravate anche voi, a partecipare alla creazione collettiva di questa storia, fatta di giochi, è vero, ma fatta allo stesso tempo di giocatori. Se c’eravate, spero vi unirete a questo racconto. E se non c’eravate, beh, mettetevi comodi se vi va, perché io – e gli altri vegliardi che scriveranno su questo canale – abbiamo un sacco di cose da raccontarvi.

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