Film al cinema
W. di Oliver Stone
Cast: Josh Brolin, James Cromwell, Richard Dreyfuss, Elizabeth Banks
Distribuzione: Dall’Angelo Pictures
Voto: 65
In fondo avrebbe solo voluto essere presidente della Major Legue di baseball… Né biopic né mocumentary, l’ultimo film di Oliver Stone si prefigge di offrire un ritratto di George W. Bush (comunemente detto W. in famiglia Junior), 43esimo Presidente degli Stati Uniti, autodefinitosi “misunderestimated”.
Il limite di queste operazioni risiede sempre nel fatto che si devono riprodurre conversazioni e rappresentare eventi ai quali non si era naturalmente presenti, cosa che tende sempre a dare una credibilità relativa a tutta la narrazione.
Quando poi si parli di personaggi così contemporanei, sui quali la cronaca ci ha minuziosamente edotto, si avverte la necessità di argomenti forti per giustificare il trattamento, uno sguardo innovativo sul personaggio o rivelazioni interessanti sui fatti, dal momento che i dialoghi riprodotti sono chiaramente fiction.
Niente di tutto questo avviene nel film di Stone, lasciando perplessi sulla portata dell’ostracismo che il film ha subito a livello produttivo e distributivo, perché non si tratta affatto di un’operazione tanto scandalistica quanto le polemiche lasciavano intendere.
Senza il bisogno di diffamare pesantemente nessuno (anche per non incorrere nelle temibili ire legali dei soggetti), sembra che la figura di questo controverso Presidente, responsabile di atti che hanno segnato e segneranno pesantemente il corso della storia contemporanea, avrebbe meritato un approfondimento maggiore.
Alternando flashback del passato alla storia più recente, a partire dal 1971 arrivando fino al 2003 con la dichiarazione di guerra all’Iraq, Stone disegna un personaggio già ben conosciuto, senza nulla aggiungere a quanto era di dominio pubblico, evitando con cura invece di gettare qualche flash più illuminante anche sui suoi più stretti collaboratori, che tanto influsso hanno avuto sulla sua presidenza. Di fatti assodati e qui nemmeno adombrati ce ne sarebbero parecchi, perché parliamo di Dick Cheney, Karl Rove, Donald Rumsfeld, del gruppo al potere dietro il Presidente. Vedremo Bush, dopo l’11 settembre e l’occupazione dell’Afghanistan, alle prese con la decisione di estendere il conflitto all’Iraq (e, perché no, anche all’Iran), con la creazione del termine “Asse del male” e lo scandalo delle false informazioni relative all’arsenale di distruzione, da lui stesso ammesse di recente in un’intervista di fine mandato. Intanto assisteremo a scene del suo passato, la solita sadica iniziazione universitaria a Yale, le prime ubriacature e le avventurette nei locali di infimo livello, il crescente problema di alcolismo, l’incapacità di mantenere un lavoro serio, l’incontro con la donna della sua vita, Laura, i primi passi in politica e tutte le varie fasi, sempre in salita, che lo hanno portato alla più alta carica del mondo.
Elemento costante fra i due periodi, prima e dopo la conversione ai movimento cristiano/evangelico dei “rinati” nel 1985, è il sofferto e conflittuale rapporto col padre, oltre allo schiacciante complesso di inferiorità nei confronti del fratello Jeb, da sempre preferito del “papino”. Un padre scomodo perché molto importante, severo e autoritario, Presidente a sua volta, rappresentante di quell’ambiente di grande borghesia affaristico/imprenditoriale dal quale Dabliù era sempre stato snobbato, per essere stato, fino a quasi quarant’anni, un fallito senza problemi economici. La sceneggiatura di Stanley Weiser, mai troppo impietosa, ce lo mostra con i suoi penosi tentativi di “essere all’altezza”, le pose da texano, l’arroganza da parvenu in un ambiente che non gli è mai appartenuto ma che è arrivato a comandare, oltre che gli strafalcioni di grammatica, l’incapacità di rispondere adeguatamente ad una domanda non
Una lode al cast, di incredibile aderenza fisica, con un Josh Brolin, attore sulla cresta dell’onda dopo American Gangster, Nella Valle di Elah e Non è un paese per vecchi, fin troppo bello e virile per il ruolo, mentre perfetti sono James Cromwell nel ruolo di Bush padre, la grande attrice Ellen Burstyn che è la madre Barbara Bush, Thandie Newton, una Condy Rice dagli sguardi velenosi, Richard Dreyfuss, un perfetto Dick Cheney, Scott Glen il cinico Donald Rumsfeld, e Dennis Boutsikaris, il Vice Segretario alla Difesa Paul Wolfowiz. Toby Jones interpreta ottimamente Karl Rove, la vera eminenza grigia, mentre Colin Powell ha il volto di Jeffry Right e Stacy Keach interpreta il sacerdote di riferimento. Più vivace e carina del suo personaggio è invece Elizabeth Banks, che interpreta Laura. La riflessione che dovrebbe perciò colpire lo spettatore che sa di chi stiamo parlando, è che in ben fragili mani sono poste le sorti del mondo, perché se è vero che il nostro destino sta sulle ginocchia degli dei, è pur vero che in grado intermedio siamo succubi delle decisioni di tali signori, assurti a incredibile potenza ma del tutto immeritatamente, personaggi deboli, afflitti da pesanti condizionamenti psicologici alla stregua del più misero dei proletari (e spesso anche meno colti od informati). Qui sta la tragedia, che dopo i Grandi Padri Fondatori si sia arrivati a questo punto. Ma forse bisognerebbe smettere di indirizzare strali contro certi uomini politici e, dato che siamo ancora in democrazia, cominciare a prendersela con le masse che li hanno votati e rivotati.