Il “crollo” di quaranta minuti di Google di qualche giorno fa ha avuto effetti curiosi, almeno nella piccola sfera di persone che conosco e che hanno avuto a che fare con il problema (io non sono stato tra questi, si vede che in quei tre quarti d’ora non ho fatto ricerche). Tutti, ma proprio tutti quelli che ho sentito, hanno pensato che fosse un..
Tutti, ma proprio tutti quelli che ho sentito, hanno pensato che fosse un problema loro: chi si è messo a fare pulizia nel PC per cercare spyware che sicuramente si annidava sul suo PC rendendogli inaccessibili i risultati delle ricerche e generando i messaggi di allerta sullo schermo, chi ha controllato il router perché doveva per forza essere un problema di connessione.
A nessuno è passato per l’anticamera del cervello che potesse essere un problema di Google. Troppo robusto, troppo preciso, troppo efficiente. Figurarsi. E invece…
Settimana scorsa ho vissuto un problema analogo: aprendo la casella di posta di Gmail, invece della inbox ho visto la scritta in Times New Roman su fondo bianco “Error 404 – Not Found”.
Per qualche istante è stato il panico.
Anche in quel caso, il problema è durato pochi minuti, ma l’angoscia è stata tanta.
Perché Google, ci piaccia o meno, diversamente dagli altri fornitori di servizi analoghi – posta, ricerche, ecc. – è diventato talmente pervasivo della nostra vita, è entrato così tanto a far parte del nostro modo di pensare, che l’abbiamo ormai dato per scontato. Come il sorgere del sole, come i solleciti del canone RAI, come le zanzare d’estate. E trovarsi senza di lui ci scopre indifesi.
Non siamo in grado – almeno non io, né le persone con cui ho parlato della cosa in questi giorni, ma sospetto che non siamo gli unici – di concepire l’idea che Google potrebbe sparire. Non siamo pronti a una simile evenienza.
Abbiamo sbagliato ad affidarci così tanto a lui? Abbiamo commesso un errore quando abbiamo deciso di lasciarci avvolgere dal suo confortevole abbraccio? Ci ha fatto piacere poter “demandare” a lui compiti che noi non volevamo più svolgere?
E se sparisse per qualcosa di più di mezz’ora? Siamo pronti ad affrontare questa eventualità?
Io no. E non lo nascondo, la cosa mi spaventa alquanto.
Quei quaranta minuti di blackout, il “page not found” sono eventi che gli americani chiamano “reality check”, lo scontrarsi con la dura realtà delle cose. Non credo sia giunta l’ora di passare al “piano B”, ma potrebbe essere una buona idea averne uno pronto. O almeno cominciare a pensarci.