Kingdom Hearts Re:coded – La Recensione

In attesa del vero Kingdom Hearts III, Square Enix pubblica l’ennesimo spin-off della serie. [Review]

Re:coded si colloca, a livello narrativo, tra la fine di Kingdom Hearts II e il terzo (fantomatico) episodio che ancora tarda a venire. È un capitolo che affonda le sue radici nel passato della serie, ma non spinge molto verso nuovi orizzonti, limitandosi invece a riempire alcuni spazi, alcune pieghe su cui era possibile ricamare più o meno facilmente. Questo incipit vi confonde le idee? È normale: si tratta pur sempre di un Kingdom Hearts, dove solo gli appassionati più fanatici riescono a seguire con un minimo di cognizione gli spericolati passaggi narrativi, evitando colossali emicranie. Agli altri, alle persone comuni, a coloro che magari si avvicinano alla serie per la prima volta, resta un gioco confezionato bene, ma per lo più incomprensibile a livello di intreccio, personaggi e situazioni varie. Resta invariato il tema ricorrente della serie, con l’eroe del caso che vaga per una manciata di universi, a cavallo tra i mondi Disney e luoghi cari all’immaginario Square Enix. Si combatte sempre armati di una chiave gigante (la famosa keyblade) e capita che alcuni comprimari aiutino nell’impresa, Pippo e Paperino prima di tutti.

Tetsuya Nomura ha seguito i vari titoli della serie ricoprendo i più svariati ruoli. In Re:coded è tornato in veste di Character Designer e Director, per un capitolo che può dirsi in gran parte riuscito, soprattutto a livello di gameplay. Le “genialate” non si contano e, nonostante una struttura fedele alle proprie radici, anche il giocatore smaliziato non resterà deluso dalle trovate e dai cambi di marcia repentini che costellano l’esperienza ludica. Salvo restare perplesso all’ultimo capitolo, realizzato non proprio benissimo e pensato a uso e consumo di un fan, a discapito di chiunque altro.

La premessa di Re:coded è abbastanza fuori di testa: Il Grillo Parlante si accorge che nel suo diario sono apparse delle annotazioni dal nulla. Allora, Re Topolino riversa testi e immagini del diario in uno speciale computer allo scopo di indagare la natura del contenuto misterioso, ma si accorge che una serie di pericolosi bachi rischiano di mangiarsi l’intero materiale. Topolino decide allora di chiamare la versione digitalizzata di Sora: il nostro, che ha la stoffa dell’eroe, lotterà per rimettere tutto al suo posto.
Non stiamo qui a svelare i colpi di scena, ma l’idea di un’avventura all’interno di un mondo elettronico ha permesso di sviluppare il viaggio in direzioni inedite e per lo più intriganti. Dunque, Sora viaggia attraverso una mezza dozzina di ambienti molto noti, snidando i bachi pericolosi e dando battaglia ai responsabili del guaio informatico, impersonati da boss terrificanti spesso duri come il ferro.

Ogni ambiente va ripulito dai blocchi (i bug) che lo infestano, cercando porte nascoste per accedere al “backstage”, una sorta di cyber mondo caratterizzato da forme geometriche e luci al neon stile Tron, laddove i bachi più pericolosi si annidano. Per lo più si tratta di un’esperienza in chiave action, condita da battaglie in tempo reale i cui tempi sono scanditi da esplosive abilità magiche e spettacolari combo multiple di keyblade. Sora si ritrova a scorrazzare per ambienti 3D stracolmi di bonus nascosti, di trappole e di creature ostili, tra cui i soliti heartless. Il ritmo è sempre sostenuto e la varietà non manca mai, grazie a una gran quantità di varianti che arrivano inaspettate a ogni pie’ sospinto. Quindi, capita che Sora debba affrontare un intero scenario strutturato come un classico GdR a turni, oppure vedersela con ondate di nemici in sezioni sparatutto, o ancora, che debba correre per labirinti bidimensionali dove l’abilità coi salti diviene essenziale.

Re:coded non è un’avventura sconfinata, ma segreti da svelare e livelli bonus non mancano mai… le venti (e poco più) ore necessarie per completarlo bastano solo per gli obiettivi principali. A ogni modo, si finisce per essere sospinti da un ritmo incalzante verso il capitolo conclusivo, avvinti da un gameplay ben fatto e a tratti persino sorprendente, mentre sullo sfondo viene narrata una storia farraginosa, facilmente dimenticabile.