Spremuta di Stregatto e carne di Bianconiglio!
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Alice nel Paese delle Meraviglie è una storia che tutti conoscono. Magari alcuni hanno visto solo l’interpretazione cartoonesca di Disney, altri hanno letto il libro, ma le gesta della piccola Alice sono tanto famose quanto quelle di Topolino. Provate però a pensare cosa accadrebbe se il bizzarro mondo raccontato da Carroll invece di essere il frutto della fantasia di un’innocente e ingenua bimba fosse il parto di una mente malata… cosa diavolo potrebbe venirne fuori? La risposta è American McGee’s Alice, una vera perla videoludica che a inizio millennio ha esaltato parecchi appassionati di PC.
Sono passati dieci anni, e American McGee nel frattempo ha prodotto solo robaccia. La sua occasione di riscatto è questo Alice Madness Returns. L’eclettico programmatore ha (saggiamente, diciamo noi) deciso di togliere il suo nome dal titolo, ma il nuovo Alice è a tutti gli effetti un seguito del precedente capitolo, e potremmo quindi aspettarci una sinistra rappresentazione di una Wonderland in disfacimento, un sacco di salti e delle armi piuttosto bizzarre. Rimane il coltello che Alice porta sempre con sé, ma l’arsenale è arricchito da un cilindro esplosivo e – soprattutto – da un utile macinapepe, che nella mani della pazza adolescente si trasforma in un potente mitragliatore. Se siete affezionati alle avventure della piccola Alice e non sopportate che vengano brutalmente stravolte, forse è meglio tralasciare Alice Madness Returns: nel filmato iniziale salta la testa al Bianconiglio e dal suo collo esce sangue a fiotti, mentre il Micio di Cheshire non è più un pacioccoso felino dal sorriso sornione, ma uno striminzito gatto ricoperto di piercing che ha uno sguardo ben poco rassicurante. Man mano che si prosegue si incontrano distorsioni di tutti i famosi personaggi: le tazze da tè sparano proiettili letali, mentre il cappellaio matto non è un simpatico nanetto che festeggia il non- compleanno, bensì uno psicopatico che ha perso il controllo delle sue stesse creature meccaniche.
Alice Madness Returns è per chi ama le tinte MOLTO forti. Per chi si chiede come sarebbe la Wonderland di un’adolescente problematica. Per chi non ritene un dileggio lo stravolgere in chiave gotica le storie che avevano accompagnato la sua adolescenza. A McGee piace giocare col lato oscuro delle cose, estremizzare le piccole fobie, disorientare il giocatore con trovate che non sfigurerebbero in un racconto di William Burroughs, e non nascondiamo che mentre giocavamo avevamo la sensazione che certe atmosfere fossero più vicine ai suoi romanzi Il Pasto Nudo o Il Biglietto che è Esploso, piuttosto che ai racconti di Carroll. La fantasia di McGee è tanto estrema che gli si perdona pure la povertà tecnica con cui Alice Madness Returns è realizzato: nonostante texture approssimative e animazioni non proprio da Oscar, lo stile è tale che non si fa quasi caso a queste pecche. Purtroppo, si inizia a farci caso quando si devono affrontare alcune sezioni un po’ più ostiche della media, dove la pessima realizzazione dell’ombra (praticamente invisibile durante un salto) impedisce di capire dove si andrà a cadere. E ripetere più e più volte un livello per errori di questo tipo infastidisce non poco, anche perché non sempre i checkpoint sono posizionati in maniera intelligente, e spesso tocca rifare lunghe sezioni… per poi magari morire di nuovo.
Purtroppo, sembra che American McGee in alcun aspetti non abbia imparato molto in questi dieci anni. Ai tempi del primo Alice i difettucci appena elencati potevano essere perdonati, in parte perché la piattaforma era il PC e si usava la tastiera, in parte perché il motore che animava il gioco era quello di Quake III, perfetto per fraggare, ma non proprio adatto ai platform. Dopo due lustri, però, con un motore nuovo e con le console come piattaforme di riferimento, queste imprecisioni vanno marcate con la penna blu. Ed è un vero peccato, perché i combattimenti, pur ripetitivi, sono tutto sommato piacevoli, grazie al minimo di strategia necessario per aver ragione dei vari tipi di nemici. Così come sono piacevoli i semplici ma divertenti enigmi da risolvere per proseguire l’avventura.
American McGee, insomma, non torna ai fasti del passato, e pur alzando nettamente la media rispetto alle sue ultime produzioni (non difficile, oggettivamente: anche guardare un monitor spento è più divertente di giocare a Bad Day L.A.), non riesce a esaltarci come avremmo voluto. Un vero peccato, perché la regia, lo stile grafico, il level design e le scene surreali presenti in Alice Madness Returns meritano di essere viste, tanto da tapparsi il naso di fronte agli errori di gameplay pur di sapere cosa dirà il Micio di Cheshire, o anche solo per incontrare il Millepiedi con il suo inseparabile hookah. Un’occasione non colta a pieno, insomma, ma non tutto il male viene per nuocere: insieme al gioco, viene fornito nelle versioni console il codice per scaricarsi il vecchio Alice che, nonostante i due lustri di età, rimane tuttora piacevole.