Lost Planet 3 – Recensione

E siamo arrivati al terzo Lost Planet, titolo che ha esordito quasi al lancio di questa generazione di console e che ora ne chiude il ciclo, in una sorta di cerchio della vita digitale. Certo, ne sono passati di anni da quell’estate in cui Capcom piombò nei nostri uffici per mostrarci cosa stavano combinando dall’altra parte del mondo: e c’era di che essere entusiasti, perché una grafica così non si era mai vista e poi, insomma, l’emozione del nuovo che avanza è sempre qualcosa di unico. Certo, non è che Lost Planet fosse un gioco perfetto, con le sue meccaniche che a rivederle oggi farebbero indemoniare anche un fervente pacifista, ma insomma, era il 2006 e non avevamo ancora realizzato che da lì a poco saremmo stati invasi da dozzine di sparatutto e action game in terza persona.

Del secondo episodio non stiamo manco a parlarle, perché sarebbe uno spreco di caratteri, quindi passiamo al sodo, perché di Lost Planet 3 ci sono alcune cosette da raccontare. Anzitutto è un po’ il titolo emblematico di una Capcom da tempo alla ricerca di una nuova identità. Dopo aver pescato quasi ogni possibile franchise dal passato (mancava giusto Strider), i giapponesi sembrano ancora indecisi sul da farsi. Di bei titoli ne hanno lanciati, Street Fighter IV e Dragon’s Dogma ne sono due esempi lampanti, ma onestamente la politica esterofila applicata a determinate produzioni mi ha sempre lasciato piuttosto perplesso. DmC ha funzionato abbastanza bene, ma non così tanto come speravano in patria; ben peggio hanno fatto con i vari reboot di Bionic Commando, per non parlare di Dark Void. Ed è difficile ignorare che questo Lost Planet arrivi dagli studi americani di Spark Unlimited, anche se in questo caso sono state prese le dovute precauzioni: Capcom, infatti, ha affiancato al direttore dello sviluppo (Matt Sophos) un veterano della saga, Kenji Oguro, che E.D.N. III lo ha visto nascere negli uffici di Osaka.

Scelta saggia, verrebbe da dire. Specialmente quando, piuttosto di dare seguito allo scempio del secondo capitolo, si è deciso di creare un prequel, qualcosa in grado di fare un po’ di chiarezza in una trama fin troppo ingarbugliata per una produzione del genere. Ed è così che è nato Jim Peyton, un colono terrestre giunto sull’ostile pianeta ghiacciato per conto della NEVEC, potente multinazionale, anzi multiplanetaria, intenzionata a sfruttare le enormi risorse nascoste al di sotto della superficie di E.D.N. III. Parlo dell’ormai nota Energia Termica, la stessa che scorre nelle vene degli Akrid, le feroci creature che in qualche modo si sono perfettamente adattate a questo violentissimo clima gelido. Impareremo a nostre spese cosa vuol dire andare a stuzzicare questi bestioni e, ancor di più, presto apprenderemo segreti che la NEVEC si è ben vista dal raccontarci.

Non scenderò in ulteriori dettagli, anche perché onestamente i trailer sono fin troppo spoilerosi, quindi se proprio volete rovinarvi la sorpresa, andate a cercarveli. Quel che mi preme in questo momento è mettervi al corrente del perché Lost Planet 3 non funziona come dovrebbe, nonostante i buoni propositi. La buona volontà c’è e lo si vede fin dalla realizzazione tecnica: nonostante il cambio di motore grafico (si è passati dall’MT Framework all’UE3), lo stile non ne ha risentito affatto e in un certo senso si nota una sorta di rispetto per l’opera originale. Però insomma… un po’ di originalità non avrebbe guastato: le ambientazioni in particolare, vuoi perché è sempre tutto ghiacciato, vuoi perché le strutture sembrano fatte con lo stampino, tendono ad assomigliarsi un po’ tutte fra loro.

A parte questa noia visiva, tutto sommato accomunabile a molteplici produzioni del genere, il problema vero è un altro, ma lo affronterò più avanti (ah, la suspense, che bella!). Il gameplay richiede infatti una certa digressione, perché si nota chiaramente che il gioco era partito con certe idee, per poi perdersi lunga la difficile strada dello sviluppo. E forse questo è anche il motivo per il quale lo abbiamo visto rimbalzare da una data di uscita all’altra.

C’è un misero concetto di hub, la base NEVEC iniziale, dalla quale è possibile intraprendere missioni primarie e secondarie di vario genere. Ho detto “misero” perché questo non è un oper world game, neanche lontanamente. Le varie aree hanno dimensioni piuttosto contenute e spesso spezzate da caricamenti lunghi e tediosi. Questi, in particolare, sono davvero una piaga con la quale tocca convivere per tutto il tempo, compresi gli spostamenti nella base principale. Gli sviluppatori hanno avuto la geniale idea di dividerla in tre piani, stile Normandy di Mass Effect: una scelta insensata, che non aggiunge nulla all’atmosfera e che alla lunga si rivela solo un’enorme scocciatura.

Le missioni in sé, poi, tendono ad assomigliarsi un po’ tutte e quelle secondarie hanno il sapore di un riempitivo poco riuscito. La solita caccia all’insetto, insomma: poco cambia che vi troviate appiedati o a bordo del vostro RIG. Questi robottoni bipedi, disarmati ma decisamente potenti, potevano rappresentare la variabile più interessante di tutto il gioco, ma alla fine non sono poi una gran cosa. Al decimo Akrid raccolto e tritato con il nostro trivellone (ehm), si capisce quanto sia limitato questo bestione dal lento incedere e dalla resistenza incerta. Già, perché dopo qualche colpo si viene espulsi dalla cabina e tocca arrangiarsi fin quando, per volontà divina, il RIG riprende a funzionare. Che poi a ben vedere, questi mech sono davvero sotto-utilizzati e alla fine il loro ruolo è più quello di mezzo di trasporto che altro: il grosso del lavoro tocca farlo sulle proprie gambe.

E qui entra in gioco la componente shooter, il fulcro del gameplay. Ci si aspetterebbe quantomeno qualcosa di dignitoso, e in effetti non si può dire che Lost Planet 3 sia terribile sotto questo aspetto, ma nemmeno esente da difetti, alcuni dei quali alquanto macroscopici. A parte la manifesta ripetitività dell’azione, ancor più evidente per i veterani della saga, gli scontri appaiono mediamente piatti e persino i boss non rappresentano una vera e proprio sfida, se non per il fatto che tendono a frustrare il giocatore con pattern di attac
co continui e fastidiosi. Nel mezzo c’è un serio problema di lag dei comandi, specialmente quando l’engine perde colpi e il frame rate cala, cosa non rara quando vi si piazza davanti un Akrid alto 15 metri e poligonalmente complesso. Il risultato è quello di trovarsi a premere il grilletto sul pad e attendere oltre mezzo secondo prima di vedere Peyton sparare: una roba da far saltare i nervi a un santo, figuratevi a me.

Le poche armi a disposizione entusiasmano poco e anche gli upgrade non aggiungono certo chissà quale spessore al tutto. Insomma… l’esperienza generale rimane decisamente insoddisfacente e Lost Planet 3 finisce con il trascinarsi di ora in ora senza entusiasmo, come un compitino portato a termine svogliatamente e senza crederci davvero. Amici di Capcom, davvero, chiudiamola qua che è meglio.