Valiant Hearts – Recensione

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Con ogni probabilità, la Prima Guerra Mondiale è l’evento che ha segnato maggiormente l’età contemporanea; del resto si tratta di un conflitto combattuto su scala mondiale, capace di paralizzare per oltre un lustro le economie dei principali Stati del globo terracqueo. Analizzandola da un punto di vista macroscopico ci si dimentica quasi che, prima di tutto, è l’atrocità che ha sconvolto l’esistenza di milioni e milioni di uomini, persone ordinarie la cui unica colpa è quella di essere vissuti in un’epoca che di ordinario ha ben poco, costretti a compiere – volenti o nolenti – gesta eclatanti al solo scopo di sopravvivere. Alcuni di loro vengono ricordati come eroi, ma la maggior parte non ha lasciato alcuna traccia nei libri o nella memoria collettiva, a dispetto del loro valore.

I protagonisti (rigorosamente fittizi) di Valiant Hearts, le cui vicende sono state liberamente ispirate da memorie e cimeli appartenenti a diversi reduci della Grande Guerra, rientrano nella seconda categoria. Emile, contadino francese ormai in avanti con gli anni, viveva beato in compagnia della figlia Marie e del suo marito Karl, un soldato tedesco trasferitosi anni or sono in Bretagna. Nell’agosto del ’14 la loro tranquillità venne turbata dall’inizio delle operazioni belliche, che costrinse Emile e Karl ad unirsi agli eserciti dei rispettivi paesi: due amici fraterni costretti a combattersi per la sola ragione di trovarsi dalle parti opposte di una barricata che non avrebbero mai voluto erigere. Le loro storie ben presto si intrecciano con quelle di Freddie, facoltoso emigrato americano, deciso a vendicarsi delle truppe che avevano assassinato la sua consorte; e di Ana, crocerossina belga il cui padre, un abile scienziato, veniva tenuto prigioniero in un campo di concentramento.

Senza volervi guastare il piacere della scoperta, non posso non sottolineare che le disavventure che li coinvolgono rappresentano senza ombra di dubbio l’elemento saliente del gioco. Il merito va attribuito a una scrittura raffinata e particolarmente ispirata, capace di evocare con la giusta dignità eventi struggenti senza mai scendere nel melenso o senza puntare al provocare una lacrima facile allo spettatore. Gli sceneggiatori, con una scelta particolarmente felice, hanno optato per uno stile narrativo asciutto, (si pensi all’assenza pressoché totale di linee di dialogo), che non appesantisce lo story-telling con orpelli inutili, facendo risaltare ancora di più la profonda humanitas dei personaggi e la carica evocativa delle loro imprese. Si tratta di una soluzione esaltata da un’estetica altrettanto minimale che, con i suoi colori pastello e le linee volutamente grossolane, ricorda con pregevole fedeltà filologica lo stile dei grandi autori di fumetti delle Fiandre, Georges Remi su tutti. Potrà sembrare un paragone azzardato, ma per temi trattati e forza emotiva il titolo di Ubisoft Montreal non sfigura se paragonato a un capolavoro del calibro di Maus, celebre graphic novel di Art Spiegelman, il che è tutto dire.

Valiant Hearts ante 06
Momenti intensi come questo si sprecano copiosi.

Sul fronte del mero gameplay, Valiant Hearts si presenta come un’avventura grafica piuttosto semplice, il cui fulcro risiede nella risoluzione di una serie di enigmi ambientali che – in linea di massima – ci richiedono di scandagliare l’ambiente circostante e di interagire con esso, finché non avremo trovato lo strumento che ci permetta di accedere all’area successiva. Le missioni proposte, seppur non particolarmente banali, sono caratterizzate da un tasso di sfida estremamente basso, e non riescono mai a creare il benché minimo grattacapo agli utenti più scaltri. Come è facile intuire, si tratta di una precisa scelta di design, atta a rendere l’opera accessibile anche ai giocatori non abituali, come evidenziato dalla presenza di una serie di aiuti che diventano disponibili nel momento in cui si rimane bloccati troppo a lungo in una determinata area.

In fin dei conti, siamo di fronte ad un prodotto che, più che intrattenere, intende coinvolgere il fruitore e – cosa da non sottovalutare – educarlo. In un certo senso, Valiant Hearts è quanto di più vicino possa esserci in ambito videoludico a una docu-fiction, con tutti i pregi (e i difetti) del caso. La ricostruzione certosina della cronistoria della Guerra, nonché degli scenari e dei suoi eventi, non fa da mero orpello alle nostre peripezie, ma può essere vista come il vero protagonista del gioco, la cui presenza straborda da ogni singolo elemento dello scenario che, una volta raccolto, ci darà informazioni fondamentali sugli eventi in atto. La creatura di Julien Chevalier, in ultima analisi, non è soltanto uno straordinario viaggio fra le profondità dell’animo umano, ma anche un vivido affresco di un’epoca buia che, si spera, non saremo mai più costretti a rivivere.

In ogni caso, nonostante le magagne sottolineate, Valiant Hearts anche sul fronte ludico offre alcuni spunti da non sottovalutare. La varietà di situazioni è garantita non soltanto dalla presenza di ben cinque protagonisti, ma dal fatto che ognuno di essi padroneggia un’abilità peculiare. Per farvi degli esempi pratici, Emile è in grado di usare il proprio mestolo a mo’ di pala, mentre Ana è l’unica a poter curare le ferite di nemici ed alleati. Proseguendo nel corso dell’avventura non mancano sezioni in cui è necessario ricorrere contemporaneamente alle loro capacità, spesso avvalendosi anche dell’aiuto dell’adorabile cagnolino Walt, in grado di infilarsi in anfratti altrimenti irraggiungibili. Inoltre, la presenza di alcune sequenze di natura più action (che fanno da sfondo alle situazioni più concitate), per quanto non particolarmente entusiasmanti, riescono a rompere con efficacia la monotonia della routine e tenere viva l’attenzione durante le circa nove ore necessarie a giungere al meritato (?) epilogo.