Sniper Elite 3 – Recensione

Sniper Elite 3 Ultimate Edition

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Ridendo e scherzando sono passati quasi nove anni dall’uscita del primo Sniper Elite. Era il lontano settembre 2005 quando Rebellion pubblicò su PC questo vero e proprio simulatore di cecchino, ottenendo fra l’altro discrete votazioni, seppur caratterizzate da una forbice abbastanza ampia. Una situazione che si riconfermò, con discrepanze ancor più eclatanti, in Sniper Elite V2, il quale ottenne comunque i favori del pubblico, tanto che gli sviluppatori pubblicarono due espansioni stand alone a tema horror, Nazi Zombie Army e relativo seguito.

La forza di questi titoli è da sempre riconducibile all’estremo realismo legato alla balistica dei colpi. Se nella maggior parte degli FPS basta inquadrare un nemico al centro del reticolo per farlo fuori con un singolo colpo, nella realtà le cose si svolgono in maniera ben differente. Occorre infatti tenere conto di tutta una serie di fattori in grado di influenzare il comportamento del proiettile come la postura, il vento, la distanza, l’accelerazione e la traiettoria discendente. Una faticaccia che in Sniper Elite, almeno a partire dal secondo episodio, è sempre stata premiata attraverso delle uccisioni tanto spettacolari, quanto macabre. Parliamo delle famose Kill-Cam, che utilizzando una sorta di visione a raggi X, permettono di ammirare il percorso della pallottola che attraversa varie parti del corpo, mostrandone visivamente le drammatiche conseguenze. Un aspetto, questo, ulteriormente potenziato in Sniper Elite 3, con dettagli ancor più raccapriccianti, che comprendono una visuale completa degli organi interni (gioielli di famiglia compresi), lo scheletro nella sua interezza e persino i vasi sanguigni principali. Non proprio una robetta per stomachini delicati insomma.

Ma le Kill-Cam sono solo una parte delle novità introdotte dagli sviluppatori. La più importante infatti riguarda l’ambientazione, che abbandona in toto gli angusti vicoli e i diroccati paesaggi urbani della Berlino di fine conflitto in favore degli enormi e assolati spazi della striscia nordafricana. Toccherà insomma avere a che fare con le celeberrime Afrika Korps di Rommel, nel tentativo di fermare un misterioso piano, atto a… beh, non mi sembra proprio il caso di rovinarvi la sorpresa, ma a scanso di equivoci sappiate che non c’è di mezzo nessuna arca e tanto meno un calice di legno.

Un colpo preciso al serbatoio e... BOOM BABY!
Un colpo preciso al serbatoio e… BOOM BABY!

Dicevamo delle ambientazioni. Ebbene, queste meritano un doveroso approfondimento, poiché rappresentano di fatto l’elemento portante di tutto il gameplay, che prende tutto un altro taglio rispetto a quanto proposto dai precedenti Sniper Elite. Anche se non possiamo considerarlo un titolo open world a tutti gli effetti, essendo diviso in livelli ben precisi, ci troviamo comunque al cospetto di mappe davvero enormi, non solo come estensione, ma anche (e soprattutto) come possibilità offerte. Ogni location è ricca di passaggi, naturali e non, alture, edifici e asperità rocciose; insomma… tutto il necessario per rendere la vita di un cecchino molto più semplice. In teoria. Perché in pratica uno spazio così vasto implica la presenza di un numero superiore di unità nemiche, quindi scordatevi di scorrazzare allegramente come se niente fosse. Il vantaggio di livelli così complessi e articolati è comunque evidente, poiché permette approcci estremamente liberi e, particolare non da poco, di stravolgere completamente le proprie tattiche a ogni partita.

In fondo è un po’ lo stesso concetto che c’è alla base del prossimo capitolo di Metal Gear Solid, The Phantom Pain, dove occorre conciliare un gameplay tipicamente stealth a vasti spazi aperti, creando un contrasto tutt’altro che banale e prevedibile. Certo, rispetto all’opera di Kojima qua ci troviamo di fronte a un titolo ben più asciutto e realistico, dove la trama è poco più di un antipasto, atto a mettere in piedi una giocabilità dura e pura, caratterizzata da una scarsa tolleranza agli errori. A conferma di ciò, le presenze ostili sono visualizzate nel piccolo radar in basso a sinistra solo quando ce le ritroviamo a pochi passi di distanza, mentre per individuare i soldati più lontani tocca affidarsi al buon vecchio binocolo, che permette di “taggarli” in modo da poterne seguire i movimenti, anche quando si trovano dietro qualche ostacolo.

Giocare di fino insomma è una prerogativa irrinunciabile, che si traduce in un approccio stealth con ben pochi compromessi. Tocca muoversi come un’ombra, quasi perennemente accucciati, sfruttando l’abbrivio di una corsa giusto il tempo di raggiungere una copertura più efficace. I soldati non sono stupidi e da lì a ritrovarsi in mezzo a una gragnola di proiettili è davvero un attimo. Pur disponendo di un fucile semi-automatico (dal tedesco MP40 all’americano Thompson), lo scontro diretto è assolutamente sconsigliabile, anche perché nella maggior parte dei casi l’epilogo rischia di risultare assai spiacevole.

Per evitare questo triste finale si deve quindi agire d’astuzia, evitando ove possibile il “face to face” e, tutt’al più, ricorrendo alla Welrod, l’unica pistola silenziata fra le tre disponibili (la Luger P08 e la Webley MK. IV generano un fracasso insostenibile). Per il lavoro sporco però occorre sempre affidarsi all’amato fucile da cecchino, che per la prima volta nella serie presenta anche una parziale customizzazione. Con l’avanzare dei livelli si sbloccano infatti nuovi pezzi, in particolare mirino, canna, cassa (ovvero il calcio del fucile) e il meccanismo stesso di fuoco. Le possibilità offerte in realtà sono piuttosto risicate e in tutta onestà questa parte appare un po’ scialba.

Ogni tanto anche il ragdoll ci regala momenti piuttosto comici.
Ogni tanto anche il ragdoll ci regala momenti piuttosto comici.

Poco importa comunque, perché eliminare i nemici a suon di headshot è sempre una soddisfazione. Ovviamente la balistica varia a seconda del livello di difficoltà selezionato. Se di base non serve far altro che inquadrare il bersaglio al centro del reticolo, man mano che si sale le cose si fanno via via sempre più complesse. I maniaci del cecchinaggio potranno anche spegnere completamente tutti gli aiuti e persino il salvataggio automatico, che è una roba da suicidio, considerando che mediamente ogni missione dura non meno di un’ora. Ma al di là della follia individuale, ogni singolo colpo va ponderato, anche perché il rumore generato dall’arma è udibile a enormi distanze e inevitabilmente finirà con l’attirare attenzioni indesiderate. Spostarsi velocemente in un altro punto sicuro è quindi una priorità, indicata a schermo con una distanza metrica, da percorrere il più velocemente possibile in modo da far perdere le proprie tracce. Compito tutt’altro che semplice ed è qui che entrano in gioco le mine, da piazzare nei punti strategici in modo da coprire l’eventuale fuga con una sicurezza in più, anche se rimane un’arma a doppio taglio, come per ogni cosa che genera rumore.

Rumore che potremo però usare anche a nostro favore, approfittando del fragoroso passaggio di un aereo oppure sabotando un generatore diesel. Occorre però essere molto scaltri e approfittare di queste interferenze sonore per premere il grilletto senza essere notati. Questione di pochi attimi, non più di un paio di secondi nella maggior parte dei casi. Meno male che esiste il tasto per trattenere il fiato mentre si prende la mira, che di fatto rallenta leggermente lo scorrere del tempo. Elementi di distrazione possono essere anche i mezzi, che non sono utilizzabili attivamente, ma che è plausibile far saltare per aria centrandone il serbatoio o il motore. Idem per i blindati dell’Afrika Korps, carri armati compresi, anche se questi ultimi – come potete ben immaginare – risultano davvero difficili da ridurre in un ammasso di lamiere fumanti.

In un contesto più generale si fa notare la buona intelligenza artificiale, determinata anch’essa dal livello di difficoltà. In particolare le milizie più alte sono in grado di avvistarci a grandi distanze, inseguendoci caparbiamente per tutta la mappa, quasi giocassero a gatto col topo. Non è Call of Duty insomma, ma chi acquista un titolo del genere probabilmente cerca ben altre emozioni. In linea generale non ci si può lamentare, sebbene emerga qualche compromesso, anche per mere questioni di giocabilità. Una sensazione che si accentua nel momento in cui si va ad analizzare da vicino la resa grafica. I Rebellion hanno ancora una volta utilizzato il loro engine proprietario, l’Asura, con risultati decisamente convincenti. Tolta qualche incertezza in merito al caricamento iniziale delle texture (un problema spesso riscontrato con l’Unreal Engine 3), il motore fa il suo sporco lavoro e su PS4 in particolare il tutto gira a un frame rate mai al di sotto dei 30 fps, a 1080p reali (presenti anche su Xbox One, è bene sottolinearlo). Non è certo un titolo che tira per il collo le nuove console, anche se l’aspetto più fastidioso rimane l’impossibilità di potersi muovere in completa libertà. Non mancano muri invisibili, pozze d’acqua inesplorabili e ostacoli di varia natura, che per evidente volontà dei designer, risultano inattaccabili. Va da sé che questi particolari finiscono con lo scontrarsi in maniera evidente con la natura semi open world di Sniper Elite 3.

Il gameplay inoltre non si può certo definire estremamente vario. Le cose da fare, stringi stringi, sono piuttosto limitate, il che è comprensibile nell’ambito di un titolo così settoriale, ma considerate le dimensioni di gioco, un po’ più di coraggio in tal senso non avrebbe guastato. Rebellion comunque ha messo assieme un prodotto valido, che non mancherà di regalare autentici momenti di esaltazione a tutti i cecchini in erba là fuori.