Akiba’s Trip: Undead & Undressed – Recensione

La casa di sviluppo giapponese nota in occidente per aver dato i natali a titoli del calibro di Shinobido, e i primi due capitoli della serie Tenchu, riprova a rientrare nella storia del videoludo con un picchiaduro a scorrimento basato… sullo svestire gli avversari. La premessa sopra le righe e lo stile narrativo spiccatamente ironico rendono Akiba’s Trip: Undead & Undressed un prodotto unico nel suo genere e sicuramente attraente agli occhi di chiunque amasse l’estetica anime e i media figli della cultura “cool Japan”. Ma sarà davvero tutto oro quel che luccica?

Il protagonista è un comune giovane giapponese in cerca di lavoro in una Tokyo contemporanea dai toni pastellosi. Suo malgrado il giovane Nanashi (ma il nome è ovviamente sostituibile con il proprio) si trova coinvolto in uno scontro fra Synthister, esseri sovrannaturali simili a vampiri. Per salvargli la vita, una misteriosa ragazza dall’aspetto etereo finisce per tramutarlo in un “vampiro” buono con il classico escamotage del bacio salva-vita. Fra un susseguirsi di cliché e situazioni tanto strampalate quanto familiari a chiunque abbia un minimo di esperienza con la narrativa giapponese, prende il via la missione del protagonista. Coadiuvato da un gruppo di amici “otaku”, il giovane rinato come essere sovrannaturale si mette sulle tracce delle malvagie creature per la salvezza di Tokyo. L’unico modo per sconfiggerle? Togliere loro i vestiti.
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Come è intuibile già dalla breve sinossi, la linea narrativa chiarisce fin da subito il tipo di pubblico a cui Akiba’s Trip vuole rivolgersi. Il titolo Acquire non nasconde mai la sua natura di prodotto fortemente voluto per compiacere i fan del mitico quartiere di Tokyo, Akihabara, da cui il gioco stesso prende il nome. Gran parte dei contenuti corrono, quindi, il rischio di risultare incomprensibili ai più, partendo dalle terminologie utilizzate a più riprese nei dialoghi e finendo ai messaggi lasciati su Pitter, la parodia di Twitter e della board online giapponese “2ch” integrata nel cellulare del protagonista. Anche l’intera impalcatura tecnica e ludica si dimostra talmente flebile da rischiare di spazientire chiunque non si sia sparato almeno una volta nella vita l’intera prima stagione dello show Super Sentai, “Hikonin Sentai Akibaranger”. Non sapete cos’è un super sentai? Ecco uno dei tanti piccoli esempi di scogli culturali che si presenteranno durante il gioco.

Fortunatamente il gameplay è decisamente più approcciabile, per quanto bizzarro. Affidando a triangolo, cerchio e croce gli attacchi rivolti rispettivamente verso testa, torace e gambe, sarà compito del giocatore riuscire a indebolire le specifiche zone del corpo degli avversari per poi eseguire le manovre di “strip” che andranno a svestirli. Pur integrando un rudimentale sistema di combo basato sui quick time event, gli scontri si dimostrano piuttosto approssimativi e non particolarmente gratificanti.
[quotedx]Gran parte dei contenuti corrono il rischio di risultare incomprensibili ai più[/quotedx]
Un sistema di livelli di esperienza sulla falsariga degli RPG assicura una sensazione di crescita che rimane tuttavia legata alle invisibili statistiche che muovono le botte per le strade digitali di Akihabara. Se non altro la grande quantità di animazioni esilaranti (quanto grottesche) e la possibilità di usare improbabili armi ed equipaggiamenti per andare in battaglia controbilanciano una struttura ludica che, di per sé, risulta talmente sottile e ripetitiva da lasciare l’amaro in bocca. La presenza di diversi epiloghi e la possibilità di “prezzemolare” le protagoniste femminili assicurano una longevità del prodotto abbastanza buona e l’inclusione di tre livelli di difficoltà non fa altro che alzare l’asticella della sfida nel caso ci si volesse cimentare nella raccolta di tutti i trofei disponibili.

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Chiaramente gran parte del fascino di Akiba’s Trip è rappresentato dall’atmosfera anime-like, perfettamente ricreata, e dagli scorci che definiscono le squadrate architetture della città elettrica, altro nome con cui Akihabara viene chiamata dagli aficionados. Un’offerta contenutistica simile è comprensibilmente inadatta a chiunque non abbia mai sognato di camminare sull’asfalto battuto da personaggi come Rintaro Okabe di Steins;Gate o dalle quattro protagoniste dell’anime Lucky Star, mentre chi ha fatto di Maid Cafe e Arcade Center la propria ragione di vita vedrà nel videogioco una sorta di tour digitale nella mecca dell’intrattenimento a occhi a mandorla.

Seguendo la pubblicazione lampo delle versioni PS3 e PS Vita di qualche mese fa, il titolo arriva anche su PlayStation 4, in un’operazione assimilabile a quella dei sempre più prolifici HD Remaster. Tuttavia è opportuno segnalare come la natura low budget non si smentisca nemmeno alla sua terza riproposizione su console Sony. Se il comparto cosmetico rimane per lo più invariato, seppur sensibilmente più definito, caricamenti più veloci e numero di personaggi a schermo quadruplicato riescono a giustificare una resa tecnica che, in ogni caso, non insegue il sempre più richiesto counter FPS fisso alla granitica cifra di 60. La produzione Acquire preferisce “accontentarsi” di una risoluzione di 1080p e 30FPS garantiti, ma introduce nel gioco diverse caratteristiche inedite che vanno a colmare quell’inspiegabile gap tecnologico.
[quotesx]Un applauso lo merita la mastodontica opera di localizzazione[/quotesx]
Oltre all’inclusione di tutti i DLC precedentemente pubblicati su PS3 e PS Vita, la versione PS4 permette di applicare all’immagine una serie di filtri preimpostati, come se l’azione fosse filtrata dalle lenti della popolare applicazione per smartphone Instagram. Nel caso ci si sentisse particolarmente ispirati, è possibile anche andare ad agire manualmente sui singoli elementi cromatici, creando filtri personalizzati. Decidendo invece di giocare in rete attraverso l’opzione “share” e utilizzando servizi come Twitch o UStream, il pubblico potrà agire sulla partita del giocatore richiamando nemici o pepando la situazione. Infine, una modalità toybox permette di affrontare l’avventura saggiando fin dall’inizio tutti gli elementi collezionabili, al comprensibile prezzo dei trofei, che non verranno sbloccati col prosieguo della storia.

Plauso, infine, per la mastodontica opera di localizzazione, purtroppo nella sola lingua inglese. Riuscire a tradurre o semplicemente a rendere comprensibili determinati passaggi delll’otaku culture giapponese non era semplice, ma XSeed Games è riuscita a consegnare ai giocatori occidentali un’edizione che non ha nulla da invidiare a quella originale, con tanto di doppia traccia audio in lingua inglese e giapponese.