Ero rimasto in debito con voi del giudizio finale su Ori and the Blind Forest, dopo la prima parte di recensione che è stata pubblicata ieri e che, nel caso vi fosse sfuggita, vi invito a leggere prima di proseguire oltre (la trovate in calce a questo pezzo). Le parole espresse in merito al gameplay permangono anche a gioco finito: Ori and the Blind Forest è un titolo dal level design sopraffino, con parecchio backtracking che però non disturba, visto che ogni volta che capita di passare per una locazione già conosciuta si ha a disposizione qualche nuova abilità che permette di spulciare per bene quanto lasciato indietro in precedenza.
Da metà avventura in avanti la difficoltà s’impenna non poco. Lungi da me vedere questo come un difetto, a tratti, però, l’insistenza sulla formula del trial & error mnemonico (ok, ho fatto così e non va bene… proviamo a fare cosà) si fa esageratamente marcata. Fortunatamente, il sistema di controllo di Ori è reattivo quanto basta per evitare che la frustrazione prenda il sopravvento, e anche i passaggi più complicati, con un po’ di insistenza, si portano felicemente a casa. Semmai c’è da storcere il naso per qualche bug di troppo. Per dire, in un paio di occasioni il mio piccolo spiritello stitchmorfico è sparito dietro al fondale e ha cominciato a cadere nel nulla infinito della matrice: nel primo caso Ori è atterrato su una piattaforma sottostante in una zona che non avrei potuto raggiungere in quel momento dell’avventura, mentre nel secondo ha proseguito infinitamente la sua corsa nell’oblio, costringendomi a tornare alla schermata iniziale e ricaricare la partita dall’ultimo checkpoint.
THE BEST 2D EVER
Ori and the Blind Forest è, tecnicamente e artisticamente, il videogioco 2D più bello che abbia mai visto. Davvero, neh. Roba che vince per distacco anche su perle recenti come Rayman Origins e Rayman Legends, per dire. La cosa incredibile è che il motore grafico che muove il tutto è il tanto vituperato Unity, che evidentemente è capace di stare al passo con i tool concorrenti più blasonati se messo in mani esperte come quelle dei ragazzi di Moon Studios. In Ori and the Blind Forest tutto, ma proprio tutto, è stato disegnato singolarmente: all’interno del mondo di gioco non esistono quindi due elementi uguali e ripetuti, tanto che ogni locazione fa davvero storia a sé dal punto di vista artistico. Più di una volta mi sono stropicciato gli occhi davanti alla maestosità di certi ambienti epici, piuttosto che al dettaglio incredibile del silenzioso e inquietante sottobosco. Da questo punto di vista ho il sospetto che Ori and the Blind Forest segnerà il passo da qui in avanti e si ergerà a vero e proprio punto di riferimento nel mondo dei videogiochi in 2D.
Non da meno è la colonna sonora, che accompagna le vicende di Ori con garbato distacco, entrando in scena con forza solo quando serve. In questo aiuta non poco il fatto che la OST del gioco sia stata registrata da un’orchestra e non prodotta artificialmente. Il compositore Gareth Coker ci sa evidentemente fare e ogni soldo messo sul piatto da Microsoft e Moon Studios, in questo aspetto, è stato speso più che bene.
Dopo aver completato circa il 65% di Ori and the Blind Forest, in circa 6 ore di gioco, mi è parso corretto non lasciarvi lì in sospeso e darvi una prima infarinata di quello che sarà il giudizio finale sul titolo di Moon Studios, fermo restando che il voto definitivo, così come la seconda parte di questa recensione, è rimandato al momento in cui completerò l’avventura nella sua totalità (il che mi auguro avvenga entro le prossime 24 ore, salvo imprevisti).
DIPINTI IN MOVIMENTO
L’incipit è di quelli strappalacrime, roba da far impallidire i primi 20 minuti di Up! della mai sufficientemente lodata Pixar, i sensibili di cuore sono avvisati. Il piccolo eroe Ori è l’ultimo baluardo di luce in un mondo caduto nell’oscurità per colpa del malvagio Kuro, un nero uccellaccio che vuole dominare con il buio la foresta che fa da teatro a tutte le vicende. Il nostro compito è guidare lo spiritello in lungo e in largo per il mondo di gioco assieme alla piccola fatina luminosa Sein. La struttura è quella tipica dei metroidvania in 2D, laddove, poco alla volta, Ori otterrà nuovi poteri e potrà quindi tornare sui suoi passi per tentare l’accesso a zone della mappa precedentemente precluse.
Il level design, almeno fino a dove sono giunto, alterna sapientemente il classicismo del genere a idee tutto sommato innovative, in un riuscitissimo mix di situazioni capace di mettere alla prova anche il videogiocatore più esperto. Non lasciatevi ingannare dallo stile colorato e fumettoso: Ori and the Blind Forest è un videogioco che richiede abilità non comuni, in particolare se siete completisti e volete spulciare a dovere ogni anfratto della mappa alla ricerca di segreti e upgrade.
Uccidendo i nemici, piuttosto che interagendo con la flora del luogo, possiamo raccogliere due tipi di cellule, quelle vitali e quelle energetiche. Le prime rimpinguano il cestone della vita di Ori, mentre le seconde vanno spese per compiere azioni speciali, come ad esempio attivare la Fiamma Caricata (una sorta di bomba ad area) o aprire alcuni portali, a patto di averne con sé un numero sufficiente. Soprattutto, però, le cellule energetiche permettono di salvare la partita in qualsiasi momento, aprendo quello che gli sviluppatori hanno chiamato Collegamento dell’Anima. Si tratta a tutti gli effetti di un portale che viene creato da Ori al duplice scopo di fissare al volo un checkpoint e di accedere al menù dei perk; questi ultimi vanno acquistati previo accumulo di punti Abilità, grazie all’uccisione dei nemici o alla raccolta di apposite cellule gialle.
Va da sé che questo sistema di salvataggio mobile costringe il giocatore a prendere delle decisioni importanti a ogni piè sospinto, vista anche la difficoltà a tratti elevata del gioco, che dopo il 40% di completamento subisce un’impennata notevole. Che fare quindi? Investire una cellula energetica per crearsi un checkpoint prima di un passaggio complicato, rinunciando però ad averne a disposizione in caso di emergenza? Oppure rischiarsela, sapendo di poter contare su qualche cellula energetica in più, ma consapevoli che in caso di morte toccherà ripercorrere una certa porzione di mappa? La scelta è libera e dipende sostanzialmente dal tipo di approccio che ciascuno ama tenere di fronte alla difficoltà. Quel che è certo è che questo strano sistema di salvataggio è geniale, funziona bene e si erge a colonna portante di una buona fetta di gameplay.
SPIRITELLO FUNAMBOLO
I perk, che vanno acquistati tramite la spesa di Punti Abilità, sono suddivisi in tre rami che aggiungono a Ori possibilità di danno maggiore, la capacità di identificare e raccogliere con maggior facilità le cellule sparse in giro, o infine bonus nell’utilizzo di quelle energetiche. Al 65% del gioco ho riempito per due terzi quest’ultimo ramo di talenti, per metà il primo e per un terzo il secondo. Stando così le cose, dubito di arrivare in fondo potendo fruire di tutti i perk disponibili, ma su questo potrò essere più preciso nella seconda parte della recensione. Va detto che Ori and the Blind Forest offre la possibilità di grindare un po’, visto che, allontanandosi da una zona e poi ripresentandosi in loco, i nemici precedentemente abbattuti tornano in vita grazie al più classico dei respawn.
[quotedx]Il level design alterna il classicismo del genere metroidvania a idee tutto sommato innovative[/quotedx]Al di là dei perk, proseguendo lungo l’avventura il gioco fornisce a Ori alcune proprietà tipicamente platform, che poi sono quelle che gli consentono di accedere alle nuove zone. Al punto cui sono arrivato ho sostanzialmente sbloccato quasi tutte queste abilità primarie (ne posseggo 8 su 9); tra le più utilizzate mi sento di citare quella che consente al nostro piccolo eroe di camminare sulle pareti, di planare usando una delle piume di Kuro e di compiere un doppio salto. A ogni modo, la più importante di tutte, almeno al momento, è quella che consente a Ori di agganciare i proiettili dei nemici e utilizzarli come fionda, mediante la pressione a tempo del tasto Y. Facendo le cose per bene, il tempo si ferma per circa tre secondi, durante i quali possiamo dirigere una freccia verso qualsiasi direzione: ripresa l’azione, Ori viene letteralmente lanciato nella rotta prescelta, mentre il proiettile viene sparato in quella opposta. Questa dinamica apre a diversi approcci interessanti, visto che, ad esempio, nulla ci vieta di abbattere un nemico utilizzando il medesimo colpo di luce che stava invece per terminare anzitempo la vita di Ori; allo stesso modo, i proiettili possono essere sfruttati per abbattere parti di scenario e aprire l’accesso alle zone segrete, numerosissime ed essenziali per accumulare un congruo quantitativo di cellule che, sovente, fanno la differenza tra un Ori felice e uno morto.
Direi che per ora posso anche fermarmi qui, non prima di avervi lasciato una prima impressione a caldo. Ori and the Blind Forest sembra al contempo un videogioco di altri tempi e un titolo che tenta di inventare qualcosa di nuovo nel campo dei metroidvania. Fino a ora mi sono divertito un sacco e, in tutta onestà, non ho trovato davvero nulla che possa minare un giudizio estremamente positivo nei confronti del lavoro di Moon Studios. Se proprio devo trovare un pelo nell’uovo, in un paio di occasioni ho avuto la sensazione che il gioco spinga eccessivamente sul trial & error, ma mi riservo di arrivare ai titoli di coda prima di decidere quanto peso dare alla cosa. Ci vediamo a breve, con la seconda parte della recensione di Ori and the Blind Forest, laddove vi parlerò anche della clamorosa direzione artistica che permea ogni singolo momento del gioco: roba da lasciare a bocca aperta anche il meno impressionabile di voi. Stay tuned.