Wolfenstein: The Old Blood – Recensione

Da adoratore di Wolfenstein: The New Order, ho cominciato a sbavare al pensiero di giocare a The Old Blood il giorno stesso del suo annuncio, ormai un paio di mesi fa. E come accade sempre quando si attende qualcosa con grande ansia, il rischio delusione è sempre dietro l’angolo. Un po’ perché è nell’ordine delle cose, un po’ perché quest’espansione stand-alone dello shooter di MachineGames e Bethesda è meno riuscita dell’originale. Ecco, l’ho detto. Via il dente, via il dolore.

RITORNO A CASA

The Old Blood, per stessa ammissione di MachineGames (nell’intervista che abbiamo pubblicato qualche settimana fa) è un collage di due DLC, che ruotano attorno a un faldone estremamente prezioso da recuperare, al cui interno si trova l’ubicazione del castello del generale Deathshead, il mega-villain che avremo modo di conoscere meglio – fin troppo – in The New Order. Sappiate che non sarà per niente facile, e che per arrivare a metterci le mani sopra dovrete infiltrarvi nel castello di Wolfenstein, prendere la funivia, saltare sui tetti, guidare robot enormi e ammazzare centinaia di zombi nazisti.
[quotedx]la componente narrativa non si avvicina neanche lontanamente ai livelli di The New Order[/quotedx]
Come promesso, infatti, The Old Blood si occupa di indagare un po’ di più su uno degli aspetti “trascurati” del primo capitolo, ossia l’ossessione dei nazisti per l’occulto e la scoperta di strane forze soprannaturali, che di fatto trasformano la seconda parte del gioco in una variazione sul tema di Sniper Elite Nazi Zombie Army, ma senza il fucile da cecchino. Che poi, intendiamoci, ammazzare zombi nazisti è sempre divertente! Purtroppo la componente narrativa, uno degli elementi per cui tanto mi era piaciuto The New Order, così curata e piena di sequenze e protagonisti memorabili, non si avvicina neanche lontanamente ai livelli dell’originale. La sceneggiatura si riscatta un po’ nella seconda parte, con alcuni momenti piuttosto forti e un B.J. molto più sul pezzo, ma rimane una generale sensazione di “si poteva far meglio”.
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Citazionismo d’annata

Ogni livello contiene una discreta quantità di secret ed easter egg, compreso un omaggio a Wolfenstein 3D: in ogni mappa si trova infatti un letto nel quale addormentarsi e affrontare un livello diverso dello shooter del 1992 di id Software. I più attenti troveranno citazioni sparse un po’ ovunque: dal portachiavi con il rocket launcher di Quake 3 Arena al peluche del cacodemone di Doom, passando per uno scatolone con la copertina di Wolf3D e l’elmo con le corna rovesciate di Skyrim.[/box_articoli]
I personaggi, in particolare, così curati e tratteggiati in TNO, vanno e vengono senza che ci sia tempo di conoscerli e di affezionarcisi, rendendoli poco più che elementi di contorno; per essere sicuri di non sbagliare, c’è persino un incontro a quattr’occhi con una importante donna nazista, che ricorda fin troppo quello con Frau Engel sul treno per Berlino, senza però la stessa tensione. Dal punto di vista della costruzione del mondo di gioco, il fatto che The Old Blood sia ambientato nel 1946 lo priva – in gran parte – del fascino “distopico” e visionario di The New Order, con le sue ardite architetture belliche e la retro-tecnologia-futuristica dei nazisti. Non mancano spunti interessanti e divertenti, come il passaggio sulle funivie sospese davanti al castello di Wolfenstein o la “pioggia” di nazisti zombi nella seconda parte del gioco, ma il feeling generale è decisamente meno accattivante.

È IL MOMENTO DI FAR PARLARE IL PIOMBO

wolfenstein the old blood news

Quel che non è cambiato, rispetto all’originale, è la straordinaria capacità di B.J. Blazkowicz di cavarsela con le armi da fuoco: che si tratti di “normali” rivoltelle o fucili d’assalto, shotgun a canne mozze o mitragliatori pesanti, le sparatorie sono una vera festa per gli amanti degli sparatutto in soggettiva: tante, frenetiche e dal fresco sapore “old-school”, sottolineate di quando in quando dagli immancabili one-liner del mascelluto protagonista.
[quotesx]le sparatorie sono una vera festa per gli amanti degli FPS: tante, frenetiche e dal fresco sapore “old-school”[/quotesx]
L’implausibilità di imbracciare due enormi fucili e di scaricarne i caricatori contenuto su nemici tanto grossi quanto coriacei non ha praticamente eguali, nel panorama moderno, e riesce ancora una volta a coniugare perfettamente la dinamicità degli scontri degli shooter più recenti con la frenesia di quelli di vent’anni fa. Ai livelli di difficoltà più elevati la AI dei nemici si fa un tantinello più furba e meno prevedibile, ma soprattutto più resistente ai nostri colpi.
Delude invece la componente stealth del gioco, o meglio la scelta lasciata al giocatore di decidere se affrontare un’arena in maniera (relativamente) tranquilla, eliminando un nemico alla volta senza farsi beccare dagli altri, o entrando a fucili spianati affrontandoli tutti assieme. E questo per diversi motivi: le mappe, innanzitutto.
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Sfida a B.J.

Man mano che si avanza nel gioco, le mappe vengono inserite nelle Sfide, inedita modalità di gioco che permette di affrontarle nuovamente con l’unico obiettivo di fare più punti possibili, e confrontare così i propri risultati con quelli degli amici. Niente di sconvolgente, ma un gradevole incentivo a non dimenticarsi del gioco subito dopo averlo finito.
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Contrariamente a quanto ci diceva il game designer di MachineGames nell’intervista, sono molto più lineari rispetto a The New Order, più piccole e con meno passaggi nascosti che favoriscano lo stealth. Il secondo motivo è la struttura piuttosto ripetitiva degli scontri: tolta qualche eccezione (e la lunga parte iniziale in cui si è di fatto costretti per mancanza di alternative a muoversi furtivamente), la regola di base è che quando si entra in un’arena ci sono tipicamente due comandanti in allerta, pronti a chiamare rinforzi se veniamo scoperti. Eliminarli entrambi è in molti casi al limite dell’impossibile: di fatto, più che puntare a uscire “puliti” dal livello, si finisce per andare avanti cercando di rimanere invisibili il più a lungo possibile, sapendo perfettamente che a un certo punto sarà inevitabile passare alle maniere forti. Non che non sia divertente farlo, sia chiaro, ma si avverte nettamente quanto minore sia la libertà d’approccio che tanto avevo apprezzato in TNO. Tra le nuove armi di B.J., oltre al già citato shotgun a canne mozze, c’è il prezioso tubo multifunzionale, adatto per stendere i nemici alle spalle, aprire botole e arrampicarsi sui muri. Ci sono novità anche sul fronte degli avversari, anche se si tratta in larga parte di versioni meno avanzate tecnologicamente di quelli incontrati in TNO; divertenti gli zombi nazisti armati, che si muovono erraticamente e sparano in maniera ugualmente confusa, rendendo la probabilità di essere colpiti più casuale del solito.