Feticismo videoludico: il fenomeno delle Collector’s Edition

Collezionismo e videogiochi: un binomio perfetto, verrebbe da dire. Il Videogioco ha fatto storia al punto di generare, fin dai suoi albori, un fenomeno di ricerca sempre più esteso del pezzo raro, introvabile, sul quale spendere, da appassionati, anche ingenti risorse. Lo stesso fenomeno ha avuto una sua evoluzione trasversale nel corso dei decenni, generando un mercato parallelo che ha trovato il suo terreno più fertile proprio nel retrogaming: pezzi di storia che hanno fatto la storia del settore. Eppure, come ogni pratica ritenuta una potenziale fonte di introiti, anche quella del collezionismo ha catalizzato l’attenzione dei publisher che hanno acquisito l’abitudine di proporre, per i loro titoli di punta, delle edizioni da collezione costituite da un package del gioco in tiratura limitata, una copia del gioco stampata con una serigrafia più accattivante, oltre a tutta una serie di orpelli e gadget realizzati per soddisfare (?) l’acquirente ed innalzare, in modo sostanziale, il prezzo di vendita. Questo fenomeno è letteralmente esploso con la scorsa generazione ma, se non altro, ha sempre avuto il pregio di porre al centro dell’attenzione dell’utente il gioco stesso, esaltato dal contenuto delle edizioni limited o collector. Tuttavia, già con la ultimate collector’s edition di Mass Effect 3 qualcosa di strano era accaduto: l’edizione poteva essere venduta tranquillamente senza gioco e, qualora si fosse voluto acquistare anche il gioco, nella scatola era stato previsto un alloggiamento per la versione standard del prodotto. Un’edizione, gioco incluso ma scontrinato a parte, dal prezzo complessivo di 200 euro. Senza entrare nel merito del valore reale di quell’edizione, l’esempio appena citato è stato il primo caso, allora isolato, di un qualcosa che si è ulteriormente trasformato e che oggi sta diventando sempre più una tendenza consolidata: edizioni collector senza il gioco e vendute a prezzi astronomici.

La ultimate collector's edition di Mass Effect 3 era stata pensata per essere venduta anche senza gioco.
La ultimate collector’s edition di Mass Effect 3 era stata pensata per essere venduta anche senza gioco.

Mirror’s Edge: Catalyst, Gear of War 4, Battlefield 1 sono i primi esempi di ciò che sembra un trend annunciato. Un po’ come collezionare automobili in edizione limitata acquistandone i costosi accessori ma senza la macchina. Con l’ulteriore assurdità, nel caso dei giochi, di pagare le collector senza gioco più di quanto costi il gioco stesso. Analizzando la situazione, sembra davvero che il collezionismo di settore stia prendendo strade sempre più feticiste ed il cui feticcio è rappresentato proprio dalle edizioni collector. E, un po’ come accade per il feticismo sessuale, c’è il serio rischio che il feticcio stesso diventi ancor più importante dello scopo in sé, rendendo lo scopo un eventuale e non necessario orpello. Nel sesso, lo scopo dovrebbe essere l’amplesso, nel gaming dovrebbe essere giocare al gioco. Le degenerazioni feticiste (non il feticismo in sé), invece, rendono il feticcio stesso lo scopo. Perdonate, vi prego, l’esempio forte ma a mio avviso totalmente calzante (ovviamente con le giuste proporzioni), ma trovo personalmente indegno vendere a prezzi esorbitanti dei gadget racchiusi da una scatola con la scritta Collector’s Edition. Una Collector’s Edition che si possa rispettare, deve contenere principalmente il gioco e poi esaltarlo con altri contenuti.

La Collector's Edition di Mirror's Edge: Catalyst non conterrà il gioco.
La Collector’s Edition di Mirror’s Edge: Catalyst non conterrà il gioco.

Questa tendenza è, a parere dello scrivente, una assoluta degenerazione di quel comprensibile fenomeno rappresentato dal collezionismo. A cosa dobbiamo assistere ancora? Da giocatore, il mio scopo primo è godere di un prodotto usufruendone, per poi perdermi, se nella mia indole, in un completamento dell’esperienza con i contenuti dei package da collezione, ricercando in quei feticci qualcosa che esalti la mia esperienza complessiva, non che divenga l’esperienza stessa. Pensatela come volete, ma a mio avviso edizioni da collezione senza gioco sono delle mere manovre commerciali che trovo insopportabili, pur rendendomi conto che, in un mercato sempre più aggressivo, non c’è più il solo rapporto tra domanda e offerta ma, dopo le opportune analisi di mercato, i pubblisher tendono generare nuove necessità cui, inesorabilmente, seguirà una domanda puntualmente creata da loro. E se questo trend va consolidandosi sempre di più, è proprio perché la domanda arriva. C’è chi ci riderà su, ma è davvero come andare ad un pranzo di nozze o di comunione accontentandosi solo della bomboniera e magari di un sorbetto al limone, sentendosi soddisfatti, e ad un costo più alto di quello che avrebbe avuto il pranzo completo di antipasti, primi, secondi, contorni, dolci, torta, vini, spumante e confetti, ma senza la bomboniera. E, a questo punto, sono io a lasciarvi con una domanda: è giusto considerare “esperienza” la fruizione, in senso stretto, del videogioco (vero oggetto dell’esperienza) o è giusto relegare l’oggetto ad elemento marginale e non necessario, rendendo il suo contorno l’esperienza stessa?