Detroit: Become Human è stato uno dei protagonisti dello showcase PlayStation che si è tenuto prima dell’E3. Il gioco è ancora una volta riuscito a colpirci, per la qualità del suo storytelling e il fascino del setting cyberpunk. Ammaliati dalla distopica Detroit di Quantic Dream, in occasione dell’E3 di Los Angeles abbiamo deciso di parlare direttamente con il suo ideatore, David Cage, una delle figure più in vista del game development europeo, che con giochi come Fahrenheit e Heavy Rain ha alzato l’asticella per quanto riguarda la capacità di un videogioco di raccontare storie complesse ed emotivamente coinvolgenti. La sfida di Cage è molto difficile: si tratta di dover inventare da zero un inedito universo narrativo, rimanendo fedele alla sua ricerca artistica, ma allo stesso tempo cercando di esplorare nuovi territori. Un lavoro autoriale complesso, di cui abbiamo discusso direttamente con il brillante game designer francese. Che ci ha messo in guardia dal considerare Detroit solo una storia di robot.
Detroit è uno dei nostri giochi più attesi, per cui siamo molto emozionati di parlarne. Partiamo dall’inizio: quando hai deciso di trasformare la demo di Kara in un vero e proprio gioco?
Be’, subito dopo Beyond cercavamo nuove idee ed eravamo ancora colpiti dalla storia di Kara e dal successo che aveva riscosso presso il pubblico. La cosa che mi interessava è che molte persone al di fuori della sfera del gaming sono rimaste commosse di fronte alla storia di questo androide e volevamo scoprire che cosa le sarebbe successo una volta che abbandona il laboratorio e arriva in una nuova città. Così ho cominciato a lavorare su questo, pensando che Detroit sarebbe stata una città molto interessante per la storia; anche vent’anni da adesso è un timeframe interessante e ho immaginato che ci sarebbero stati altri androidi, per cui ho deciso di basare la sceneggiatura sulla vita in parallelo di tre sintetici. Tutti gli elementi così sono andati al loro posto.
Qual è stata la principale fonte d’ispirazione dietro Detroit, c’è qualche assonanza con lo scenario politico attuale?
In effetti, non volevo scrivere una storia che si concentrasse sui robot e sull’intelligenza artificiale in quanto tali, se devo essere onesto. Volevo raccontare una storia sulle persone, qualcosa che risuonasse con noi in quanto esseri umani, più di ogni altra cosa. So che ci sono tante storie là fuori sui robot, e non volevo limitarmi a scriverne un’altra. Per questo ho cercato di esplorare aspetti più profondi e ho usato il tema degli androidi come una scusa per parlare di altre cose, di cose che riguardano la nostra società e di quello che ci sta succedendo in questo esatto momento.
[quotesx]I videogiochi non devono parlare soltanto di fantasie[/quotesx]Guardando a Detroit, ci sembra una storia che tratta anche dei diritti umani. Oggi in Europa parliamo tutti dell’immigrazione, la cosiddetta “invasione” di persone che cercano aiuto. Credi che ci sia una connessione tra la storia di questi robot che vogliono essere trattati come umani, e queste persone, che cercano la stessa cosa?
Puoi sicuramente tracciare tante connessioni con quello che sta succedendo oggi, ed è sicuramente qualcosa che avevo in mente mentre stavo creando la storia, quindi non è involontario, so quello che stavo scrivendo. Sono sicuro che i giocatori faranno il parallelo da soli e troveranno le connessioni.
È pericoloso per un gioco trattare argomenti caldi del mondo reale? Perché ho questa impressione.
Questa è davvero una bella domanda! Lo è. È qualcosa che stiamo cercando di fare con Detroit, vogliamo capire se è possibile. Personalmente credo che i videogiochi siano un medium molto valido per parlare di qualunque cosa, incluse le problematiche del mondo reale. I videogiochi non devono parlare soltanto di fantasie o violenza e tutte queste cose… puoi parlare di tutto quello che vuoi e Detroit è il mio personale tentativo.
[quotedx]Ci sono sempre più videogiochi che puntano alle emozioni[/quotedx]Ricordo che fosti uno dei primi sviluppatori che osavano parlare dei videogiochi come di un qualcosa con un valore culturale, non soltanto giochi. Adesso con gli eSport e l’online, il multiplayer, i toys-to-life… ho l’impressione che i videogiochi non rincorrano più i film e vogliano essere solo giochi e divertimento. Può essere un bene, ma anche un male. Come procede la battaglia per la legittimazione del videogioco?
Questo è qualcosa che si sente raramente nell’industria dei videogiochi, in pochi si vogliono battere per farli riconoscere come prodotto o medium culturale. Le persone non sognano questo nell’industry, e non so se è una cosa buona o positiva. Quello che dici è vero, ma allo stesso tempo vedo che ci sono sempre più videogiochi che puntano alle emozioni e allo storytelling, anche nei giochi d’azione. Penso che tu abbia ragione, ma allo stesso tempo noto anche un progresso rispetto alla situazione di un paio di anni fa. Ma sì, il medium diventa quello che tu vuoi che diventi: quante più persone compreranno i giochi che hanno queste intenzioni, tanti più giochi che si muovono in quella direzione saranno creati. Tocca ai giocatori decidere il tipo di giochi che vogliono.
Ogni volta che vediamo la demo di Kara è molto difficile non piangere, perché è molto commovente e forte. Quanto è difficile scrivere e ideare un gioco in grado di suscitare emozioni così potenti nel giocatore?
È molto impegnativo. È molto difficile. Il punto è che non esiste una formula magica per far piangere qualcuno di fronte a un videogioco. È molto difficile anche perché c’è tutta una componente di meccaniche e di interattività, non si tratta solo di musica, immagini, sceneggiatura e prova attoriale, è un insieme di cose e la tecnologia ha le sue limitazioni. Voglio dire, quando hai un attore reale puoi semplicemente filmarlo, e la sua performance può essere molto commovente di per sé, ma in un videogioco non è così semplice, ti serve la tecnologia, la telecamera, l’illuminazione… tutto diventa un problema quando vuoi suscitare emozioni. E devi stare attento a ogni singolo dettaglio: un singolo pixel può allontanarti dall’emozione e attirare la tua attenzione su qualcos’altro. È un lavoro di passione, hai davvero bisogno di pensare, tentare e riprovare per ottenere l’emozione desiderata. È un lavoro lungo.
Nel campo dello storytelling interattivo, quanto vuoi spingerti in là con Detroit rispetto a Heavy Rain e Beyond?
Molto più in là. Voglio dire, il gioco è molto più complesso rispetto a quanto non lo fosse Heavy Rain o persino Beyond. È una grande struttura a tre elementi, è molto malleabile e ci sono intere parti della storia che puoi vedere o… non vedere. Ci sono intere scene che potresti non vedere, in effetti. I personaggi possono vivere o morire a seconda delle tue azioni e tutto è molto, molto complesso. Anche girarlo è stato folle, perché abbiamo dovuto pensare a tutte le combinazioni: questo personaggio è morto, questo personaggio è vivo… oltre a determinare cosa succede se fai o dici questo o quello. Quindi è molto, molto complesso.
Uno dei punti di forza dei tuoi giochi sono sempre state le scelte morali che devi fare, alcune delle quali molto difficili. Ma ci siamo accorti che a volte non stai davvero scegliendo, e tutto dipende piuttosto dal risultato del QTE. Se sbagli una combinazione il gioco va in una direzione, altrimenti in un’altra. È in effetti così che vanno le cose?
In realtà non avviene mai così, sbagliando un pulsante non ti capiterà mai nulla di terribile. Le scelte morali sono le tue decisioni. Possono essere un fallimento, ma non perché hai sbagliato un bottone, di solito è perché hai fatto delle scelte sbagliate o degli errori. È un punto molto importante, non avrebbe molto senso se assistessi a una storia completamente diversa solo sulla base di un errore. Quindi dev’essere una scelta consapevole.
Quindi ci saranno molte scelte consapevoli in Detroit?
Oh sì, tante scelte morali, e non possiamo parlare di tutto o mostrarlo, ma anche la scena che abbiamo presentato qui ha un dilemma morale molto importante che abbiamo scelto di non rivelare ancora; la difficoltà sta sempre nel non mostrare troppo, facendo vedere ai giocatori qualcosa per farli interessare ma evitando allo stesso tempo di spoilerare il gioco.
Mi ricordo che una volta hai detto che ricordo essere molto intelligente, ossia che i videogiochi hanno il problema che molte persone non finiscono i giochi, mentre non hanno problemi a completare i film o i libri. Hai mai avuto dei dati su quello che è successo con il tuo ultimo gioco, Beyond? Cosa ti aspetti da Detroit?
I giochi che creiamo rientrano sempre nel 75%-80% di persone che li finiscono, e speriamo di ottenere lo stesso risultato con Detroit se non addirittura migliore. Quello che sarà interessante vedere con Detroit non è tanto quante persone finiranno il gioco, ma piuttosto in quanti torneranno indietro a rigiocarlo per rivedere tutte le opzioni e i rami narrativi che gli sono sfuggiti. Tracceremo questi dati per capire il comportamenti dei giocatori.
Quindi consiglieresti ai giocatori di giocarlo più volte?
Suggerirei di completare un walkthrough senza mai tornare indietro, affrontando le conseguenze delle tue azioni. Alcuni giocatori sono venuti da me dicendomi: “Oh, mi hai consigliato di giocare in quel modo e ti ringrazio davvero, perché così sono riuscito a vivere un’esperienza grandiosa”. Per Detroit è la stessa cosa: vi consiglio di giocare un walkthrough completo e, una volta finito, tornare indietro per vedere tutto quello che vi siete persi.
Le strade che sceglieremo in Detroit saranno anche molto distanti l’una dall’altra? Voglio dire, se lo “story tree” lascia troppa libertà la storia rischia di diventare infinita.
Questo gioco è strutturato in maniera un po’ diversa. Se hai visto i video della scena dell’ostaggio che abbiamo presentato l’anno scorso, puoi avere un’idea dei diagrammi che animano i bivi narrativi. Sono diagrammi molto semplificati rispetto a quelli che vedrai nel gioco, ma ti danno un’idea della complessità di ogni scena. Ci sono tre storie, ognuna di questa è altamente modellabile e ha tantissime cose diverse che possono succedere, ma ogni personaggio può avere un’influenza e un impatto sull’intreccio di un altro personaggio, il che rende il gioco molto più profondo. Non si tratta di specchietti per le allodole, le differenze saranno davvero significative.
[quotesx]Cerco di trovare nuove risposte e nuove soluzioni[/quotesx]Possiamo aspettarci da Detroit un gameplay simile a quello degli ultimi giochi narrativi, dove c’è meno gameplay e più spazio per lo storytelling puro? Voglio dire, nei tuoi ultimi giochi (che mi sono piaciuti molto), non ci sono i puzzle tipici dei giochi vecchia scuola, che ti bloccano in una stanza facendoti dimenticare la storia!
Continuo a esplorare nuovi modi di raccontare una storia all’interno dell’interattività. Gioco dopo gioco, cerco di trovare nuove risposte e nuove soluzioni, provando nuove cose e sperimentando metodi migliori di coniugare l’interattività con lo storytelling. Con Detroit abbiamo trovato un diverso equilibrio, ossia continuare a coinvolgere le persone che amano i nostri giochi attraverso gli elementi che in primo luogo li hanno fatti appassionare, ossia la fluidità e l’accessibilità; allo stesso tempo, cerchiamo anche di attirare i giocatori che pensano che i nostri titoli non siano per loro, e ora invece potranno goderseli anche loro, grazie a meccaniche di gameplay. Vogliamo ottenere il meglio di due mondi, mantenendo l’impostazione cinematografica e allo stesso rafforzando l’unione con l’interattività.
Quindi ci sarà più gameplay classico questa volta…
Mi spiego meglio. Per esempio, controllare il personaggio in Heavy Rain era molto stravagante. In realtà, per molte persone non era un problema, perché te ne dimenticavi praticamente dopo la prima scena e diventava molto semplice. Ma alcuni giocatori non erano abituati a qualcosa del genere, volevano controllare la telecamera e il personaggio con l’analogico sinistro. Abbiamo quindi deciso di evitare tutte quelle piccole differenze che rischiassero di allontanare alcuni giocatori, per cui abbiamo rispettato delle convenzioni, ma allo stesso tempo abbiamo deciso di offrire nuove soluzioni e meccaniche non così comuni nei videogiochi. Sempre con l’idea che debbano supportare la narrazione, la storia e l’esperienza emotiva.
Vorrei avere la tua opinione su qualcosa che trovo molto divertente. Quando le persone giocano un bel videogioco dicono “oh, sembra quasi un film!”. E quando invece vanno a vedere un film ed è davvero brutto dicono che sembra un gioco. Perché?
È una domanda che mette in dubbio tutta l’estetica dei videogiochi in sé. Ci sono giochi che hanno un aspetto grandioso, e giochi che invece non ce l’hanno. A volte le persone pensano invece che tutti i videogiochi siano uguali. Penso che alcuni videogiochi stiano diventando sempre più belli da vedere, e credo che stiamo sviluppando un senso della cinematografia, che non è più una copia carbone di quella che vediamo sul grande schermo, ma stiamo bensì costruendo il nostro stile, il nostro genere, la nostra narrativa e le nostre storie. Ed è interessante. Sono sicuro che, paradossalmente, nei prossimi anni vedremo sempre di più film basati sulle storie proprio perché nei videogiochi le storie stanno diventando sempre migliori.