Tre ore di full immersion nel nuovo mondo fantasy di Bethesda: provato per voi in anteprima Skyrim, l’atteso quinto capitolo della serie The Elder Scrolls.
Con Skyrim ho usato la tecnica che amo chiamare “l’apnea”. Facendo questo lavoro mi trovo a seguire il 99% dei giochi a tripla A in sviluppo, provando codici di anteprima, partecipando a eventi e visitando studi. In pratica, il mio mestiere prevede delle abbondantissime dosi di spoiler, specie per quel che riguarda le caratteristiche del gameplay e le nuove feature architettate dai programmatori. Non mi lamento – nossignore – ma non posso nascondere come questo tran tran lavorativo tolga un po’ di mistero e magia all’attesa di un gioco. Per dirne una, non vedo l’ora di dedicarmi a Mass Effect 3, ma l’ho già visto più volte, e i designer mi hanno mostrato interi livelli e sezioni di dialogo. Mi divertirò lo stesso, ma parte della sorpresa è andata a farsi benedire. Per Skyrim, grazie a una serie di coincidenze, non ho dovuto scrivere neanche un articolo, e quindi sono entrato in modalità apnea: con uno strappo alla professionalità, mi sono concesso di non leggere le news in proposito, di non guardare i filmati dell’E3, di skippare le interviste e le indiscrezioni. È bello, ogni tanto, godersi un videogioco in quanto tale, senza la deformazione della vita redazionale. E ora, di ritorno da un viaggio a Londra, dove ho giocato a Skyrim per tre ore in completa libertà, vi racconto le mie prime impressioni. Sono vergini, schiette, e senza hype.
CIAO MONDO
Me lo aspettavo più avanzato, più sofisticato, questo Skyrim. Il primo impatto, soprattutto a livello grafico, mi ha lasciato un po’ tiepido: avevo sentito parlare delle meraviglie di un nuovo motore, di animazioni più realistiche, di volti più decenti, e invece ho trovato un Oblivion pompato e aggiornato, con gli stessi pregi e soprattutto con gli stessi difetti. Certo, il miglioramento c’è ed è nettissimo (provate a riavviare Oblivion, la grafica è peggio di come la ricordate), ma la sensazione è la stessa. Si passa da momenti di stupore, con meravigliosi paesaggi fantasy, a sezioni di sconforto, con orrende animazioni e movimenti che rompono l’illusione dell’avventura. Per dirne una, attivando la visuale in terza persona, ho visto il mio eroe muoversi peggio di un soldato in un FPS multiplayer (e non mi riferisco certo a Battlefield 3), e il mio cavallo è salito su una parete rocciosa ripidissima come una possente Range Rover medievale. Sono lo stesso tipo di sbavature di Oblivion, ma a distanza di anni è un po’ più difficile chiudere un occhio e non farci caso. Eppure, dopo i primi minuti di arrabbiatura da nerd pignolo, ho proprio smesso di farci caso. Accettata la prima quest, ho realizzato di essere in un mondo enorme, pieno di storie e segreti, tutto da esplorare. E avevo solo tre ore! Non c’era proprio tempo da perdere in “divagazioni” mentali sugli shader.
I CONVENEVOLI
La mia avventura inizia dopo la prima mezz’ora dell’introduzione, non appena il mondo si apre davanti al giocatore. Scelgo di impersonare un elfo scuro, abile nella furtività e nella magia, e mi armo con una daga e una classica spell della palla di fuoco. Aggirarsi per le gelide montagne della regione di Skyrim è affascinante: ci sono rifugi nascosti, bestie selvatiche, fiori ed erbe da raccogliere, e un’infinità di dettagli che chiariscono sin dai primi minuti che si è alle prese con un gioco enorme, con una quantità di contenuti che richiederà decine di ore per essere goduta al 100%. Mi ci vuole almeno mezz’ora prima per trovare la concentrazione e la voglia di affrontare una quest: senza limiti di tempo, conoscendomi, sarei andato avanti a bighellonare per tutto il pomeriggio.
Giunto a una piccola cittadina, un cordiale negoziante mi chiede di recuperare un prezioso artefatto, rubato da un’oscura setta. Qualcosa del tipo: “Ciao, sconosciuto mai visto prima, andresti per cortesia in quel dungeon pieno di trappole e morti viventi a recuperarmi una chincaglieria da rigattiere?” Proposte così non capitano tutti i giorni, quindi mi armo e parto per la montagna, invitando un abitante del paese a venire con me. Qualcosa del tipo: “Ciao, abitante del villaggio, verresti con me a rischiare la pelle in una grotta spaventosa? Ti manderò avanti nei momenti più pericolosi e ti sparerò palle di fuoco per mio diletto personale”. Ovviamente l’abitante non se l’è fatto ripetere due volte.
Camminando verso il dungeon, comodamente indicato dall’interfaccia, faccio amicizia con il sistema di controllo, che ripropone lo stesso stile di Oblivion, ma con scorciatoie più potenti (basta toccare il D-Pad per aprire la lista delle magie e delle armi preferite) e una struttura molto più chiara e organizzata.
DUNGEON E DRAGHI
Giunto all’ingresso mi preparo agli scontri che mi attendono, mollando la daga e dedicando entrambe le mani alla magia. Il mio eroe ha molta magicka (leggasi: mana), e un amuleto che indosso velocizza la rigenerazione, quindi posso castare senza paura di rimanere a secco. Normalmente, ho tenuto la palla di fuoco nella mano sinistra e la guarigione nella destra, ma per i combattimenti più tosti ho usato la palla da entrambi i lati: usando la stessa magia contemporaneamente, infatti, se ne ottiene una versione potenziata, che si è rivelata letale per buona parte dei non-morti che io e il mio socio abbiamo affrontato. Tra una scazzottata e l’altra ho continuato a esplorare il dungeon, dotato di una struttura decisamente lineare, fino a imbattermi in un paio di enigmi ben congegnati. Per risolverne uno ho dovuto osservare le statue di una stanza per capire l’ordine in cui orientare dei dischi, mentre per l’altro mi è toccato esaminare uno degli oggetti nel mio inventario, girandolo e decifrando i simboli che recava. Il bello è che ho capito di doverlo fare solo dopo aver letto il diario di un altro esploratore, che conteneva un velato riferimento a ciò che andava fatto. Al termine del percorso mi sono imbattuto in una sorta di boss, messo a difesa di un altare. L’ho sconfitto e ho imparato una parola di potere, un devastante incantesimo di alto livello. Potevo forse castarlo subito? Certo che no! Per farlo avrei dovuto trovare un drago, ucciderlo e assorbire il suo spirito. Ma fuori dal dungeon mi attendeva una spensierata vita fantasy, e un signore alla locanda mi aveva consigliato di fare visita alla torre dei maghi se avessi voluto fare buon uso della mia magicka. Ho guardato la mappa: la torre è praticamente dalla parte opposta. Ce l’avrei fatta prima della scadenza delle tre ore a mia disposizione? Challenge accepted.
DAGLI APPENNINI ALLE ANDE
Il mio giovane eroe ha iniziato a correre, guadando fiumi, attraversando villaggi, e addirittura zompando giù da vertiginose ca
scate (così). Ho visto castelli, insediamenti, rifugi, ho lottato contro briganti, ucciso lupi famelici, e sono persino scappato da un gigante che si faceva un baffo delle mie palle di fuoco. Ho camminato per una buona mezz’ora, fermandomi di tanto in tanto per riposare e far tornare la luce del giorno, e alla fine sono arrivato alle pendici di una catena montuosa, avvolta dalle gelide nevi perenni. Il mio obiettivo era un valico indicato vagamente sulla mappa, che mi avrebbe condotto sull’altopiano della gilda dei maghi, ma lungo il cammino ho individuato grotte, capanne e Personaggi Non Giocanti, tutti associati a diverse quest. È difficile quantificare i contenuti, ma quel che è certo è che sono tantissimi, e che a ogni piè sospinto si scopre qualcosa di nuovo da fare. Resta da capire se ci saranno tante sezioni fatte con lo stampino, come in Oblivion, ma a prima vista sembra che ci sia molta varietà in più. Manca poco più di un quarto d’ora allo scadere del tempo, ma sono finalmente arrivato alla mia meta: arroccata su una spettacolare torre rocciosa, la scuola di magia mi attende. Per entrare, però, devo dimostrare il mio talento, lanciando un incantesimo di “Paura”. Per farlo richiamo il menu dedicato ai livelli, scegliendo di far crescere il mio intelletto in modo da avere abbastanza magicka per l’impresa.
Il sistema di punti esperienza è simile a quello di Oblivion, ma senza sviste e con più sfaccettature. Ogni volta che si porta a termine un’azione particolare si aumenta il punteggio dell’abilità correlata (per esempio, sgattaiolando dietro a una guardia si ottengono punti in furtività), avanzando nel frattempo verso il successivo scatto di livello, che sarà legato a un potenziamento delle caratteristiche e alla scelta di un “perk”, un’abilità passiva simile a quelle di Call of Duty. Ce ne sono a decine, e sono divisi in costellazioni legate alle varie filosofie del mondo di Skyrim. Parlandoci chiaramente, dopo la delusione grafica dei primi momenti, sono stato catturato da questa nuova fatica di Bethesda: a tratti sembra più un’espansione di Oblivion che non un seguito vero e proprio, ma poco importa. È tanta roba, e se vi piacciono il fantasy e i GdR all’occidentale, allora sarete dei videogiocatori felici. Brava Bethesda!