Anni ottanta, un periodo incredibilmente florido per la filmografia dell’orrore. E per l’intero cinema di genere, verrebbe da dire. Si tratta di un momento intellettualmente in fermento come pochi nella storia, in cui nascono alcuni personaggi che diventeranno seminali ed iconici per i decenni successivi. Una delle serie a cui i fan dell’orrore più estremo e trasversale sono maggiormente affezionati è senza dubbio quella celebre intitolata La Bambola Assassina. Chucky, un personaggio indimenticabile, che prende spunto da una delle figure maggiormente tipiche dell’immaginario infantile, legato quindi a sogni e speranze di quelli che saranno i futuri uomini e donne, per trasformarlo in una macchina mefistofelica e mortale. Icona parzialmente minore rispetto ai mostri sacri del settore, ci sovvengono, ad un primo esame superficiale della memoria, figure di culto come Freddy Krueger, Jason Voorhees o l’inarrivabile Pinhead, guida dei supplizianti, figure decadenti e legate alla perversa e sadica fantasia del visionario Clive Barker. Eppure Chucky, nel suo infantile candore e pur semplice simulacro dell’anima di un fin troppo concreto serial killer, è rimasto nei cuori degli appassionati. Il relativamente recente Stan Helsing, film parodia intitolato in Italia Horror Movie, per cavalcare l’onda del successo degli Scary Movie, ha reso onore al simpatico bambolotto, citandolo al pari dei “mostri sacri” (nel vero senso della parola) appena citati.
Un bambolotto assassino di pezza è per sempre
La saga di Chucky non è tra quelle più prolifiche, poiché in circa trenta anni ha prodotto appena sette film. Pochi, rispetto agli standard di saghe infinite dell’orrore, quali ad esempio Venerdì 13, la cui serialità, di fatto, ha inficiato necessariamente sulla qualità narrativa e di realizzazione. Dopo una indimenticabile tripletta datata 1988, 1990 e 1991, con i primi Child’s Play, la saga ha centellinato le uscite, come una diva di teatro consolidata, che concede appena il minimo ai suoi fedelissimi, perché sa già di essere orma entrata per sempre nella leggenda. Il quarto capitolo abbandona, per primo, il marchio storico, con una nuova titolazione che farà da modello per i successivi. La sposa di Chucky, film del 1998 girato in un inedito setting nel territorio canadese, segna l’ingresso di un nuovo personaggio femminile, intrigante e divertente, peraltro citato in questa ultima pellicola di Don Mancini. Gli ultimi tre film, infatti, sono una vera e propria “seconda trilogia” e sono successivamente stati direttamente gestiti dal leggendario creatore del personaggio. Bisogna aspettare il 2004 per vedere arrivare sul grande schermo il bizzarro Glen, nel film Il figlio di Chucky, che sarà seguito nel 2013 da una ultima ed emozionante prova, La maledizione di Chucky, nel quale troviamo il conturbante personaggio di Nica, la ragazza paraplegica attorno al cui mondo mentale distorto ed estemporaneo ruota anche questo ultimo film del 2017, intitolato Il culto di Chucky. Noi di Movie Village abbiamo visionato l’opera durante un importante evento romano, imperdibile per i fan dei due mondi Horror e Sci-Fi, ovvero il celebre Fantafestival, giunto quest’anno alla sua trentasettesima edizione.

L’insostenibile pesantezza dello splatter
L’ultimo film della saga di Chucky è un vero e proprio ritorno al passato, un sano e liberatorio Grand Guignol dei bei tempi andati, un festival del sangue che riporta davvero alla gloria pionieristica e sfrenata dei tempi d’oro dello splatter più eroico. Tempi in cui anche un regista oggi fin troppo blasonato come Peter Jackson, noto al grande pubblico per la trasposizione filmica del tolkeniano Il Signore degli Anelli, faceva pellicole estreme e di culto come Splatters, Gli Schizzacervelli. L’anno era il 1987. Una citazione su tutte merita di essere ricordata per la sua forza espressiva e scenica. Una rossa ed inquietante pozza di sangue con una scritta che dice semplicemente “Chucky did it!” Nel film abbondano particolari macabri, effetti speciali truculenti, scene distorte e piene di viscere degne dei più crudi torture movie indipendenti in stile anni ottanta. E che dire dell’apparizione della sola testa interattiva della Bambola Assassina originale? Quel che resta dell’oscuro essere viene conservato in una sicura cassaforte, come una sorta di reliquia perversa, temuta ma allo stesso tempo affascinante. Teste trapanate, schiacciate, vituperate , pestate fino allo schiacciamento con scene gore degne di un capolavoro videoludico quale Dead Space. Ovviamente il troppo gore da solo avrebbe stonato, ed ecco che viene stemperato da battute comiche ai limiti del demenziale, in pieno stile umoristico alla Nightmare. Chucky è senza dubbio un classico simbolo dell’orrore a basso costo basato su posticci, mascheroni imprecisi ed effetti speciali casarecci tipico degli anni 80, ma arriva a divertire in modo genuino come altre pellicole di culto del settore, quali il mai troppo lodato Zombie Strippers o la saga splatter cult The Toxic Avenger prodotta dal leggendario studio cinematografico indipendente statunitense Troma.

Perché mi attraggono sempre le donne pazze?
Il Culto di Chucky è un film catartico, liberatorio, unico. Una pellicola che è sempre in bilico tra umorismo macabro, citazioni ricercate e semplice analisi psicologica della follia. L’ospedale, ad esempio, è il luogo topico e tipico dove si svolgono spesso strane analisi intellettuali tra il proprio io e la realtà che ci circonda. Perché in fondo sapete cosa è la pazzia? Semplicemente il distacco da quello che si percepisce attorno a noi, e la creazione di un mondo alternativo in cui vivere. “Posso ancora sentire Chucky dentro la mia testa!!!” Si sente urlare nel film. E se Chucky non esistesse e fosse stata solo la protagonista ad uccidere semplicemente i suoi compagni d’avventura? Si tratta banalmente di una teoria legata al Rasoio di Occam, noto in latino con il nome di Novacula Occami, ovvero che la spiegazione più semplice è automaticamente la più giusta. La pazzia di Nica, come del resto degli altri personaggi è evidente. Il dottore stesso, in una sorta di auto parodia, o semplice ammissione rassegnata dell’evidenza dice nel film “Perché mi attraggono sempre le donne pazze?” come non capirlo. Il destino di uno psichiatra, del resto, è sempre quello di restare intrappolato in uno dei tanti mondi fantastici creato da un suo qualsivoglia paziente. La paraplegico Nica potrebbe semplicemente essere una killer, ed il tutto avvenire solo nella mente di chi sta vivendo la storia. Ognuno dei personaggi proietta la sua follia sui pupazzi, la Madre, Nica, il Dottore, sono tutti ingranaggi dello stesso orologio oscuro. L’uccisione di una bambola, che avviene durante il film in un preciso momento, altro non è che una proiezione di un male interiore di un persona, che potrebbe essere ognuno di noi che vediamo il film. I veri mostri non sono le bambole, ma i residenti in quel tetro ed irreale ospedale. Forse. Una alternativa che spiazza lo spettatore, poiché ci rendiamo conto che la schizofrenia sia il filo portante della pellicola. Ma non solo, anche il comparto audiovisivo del film è decisamente funzionale alla bizzarra trama.

Il citazionismo d’autore. Quando meno te lo aspetti.
Sono presenti inquadrature tagliate asimmetriche, che paiono quasi una citazione dei classici jap-horror dei primi anni novanta, quali The Ring, Ju-On e derivati. Ma non solo, ecco che, nel momento in cui ci aspettiamo ben altro, arrivano citazioni veramente colte e ricercate. Una ombra distorta che incede lenta sulla scena pare citare quasi l’iconica apparizione di Nosferatu nel film omonimo. Ed il sonoro non è da meno, oltretutto. Le urla mute provenienti da un personaggio su una sedia a rotelle, già di per se topos fin troppo abusato e canonico del genere, con tanto di rallenty che rende il tutto più angosciante, sono uno dei momenti più riusciti del film. Quello stesso urlo che il Dolby Surround, tipico del rumore ambientale di una sala cinematografica, amplifica aumentando l’angoscia. La scena ricorda i primi brividi provati degli anni ottanta vedendo la serie originale, e la citazione finale del personaggio femminile fa quasi scendere una lacrima nostalgica nei veri fan della saga. Il film è ricco di citazioni, di una decisa simbologia, di temi quasi edipici come l’uccisione del figlio, traslato nella uccisione di una semplice bambola, peraltro malvagia. Uno dei momenti migliori a livello visivo si ritrova nella apparizione di più Chucky insieme, che grazie al loro “potere risveglio” generano nuovi mostri e sono capaci persino di far camminare di nuovo Nica. Il fatto che della saga si stia occupando direttamente Don Mancini, il creatore dei personaggi originali è una garanzia sotto tutti gli effetti. Un film imperdibile dunque, non solo per i fan della serie, ma per chi ama l’horror in stile anni ottanta, che la pellicola vuole, a suo modo omaggiare e far risorgere in un mercato del fantastico cinematografico ormai così diverso come quello attuale.
A volte mi faccio paura da solo! (Chucky)